«Ed ora è il turno del piccolo Angelino Mafalda, sette anni. Un applauso!».
Nella piccola aula magna della scuola elementare Parini, satura di battimani, una folla di genitori in ghingheri assiepava ogni spazio disponibile assistendo alla manifestazione “Alunno dell’anno”, premio istituito cinque anni prima dal nuovo direttore, Ugo Bruni, per celebrare il bambino che più si era distinto durante l’anno scolastico.
«Ciao Angelino! Sei contento di essere in lizza per il premio?» chiese il direttore, presentatore dell’evento, con la sua faccia rubizza e il capello argenteo in un impeccabile gessato blu.
«Si, tanto» rispose un po’ emozionato il bimbo.
Dopo qualche altra domanda di rito, Ugo Bruni chiese: «E tu cosa vuoi fare da grande?».
«L’uomo ricco» rispose deciso Angelino che, col passare dei minuti, era diventato padrone della scena.
«L’uomo ricco?». La domanda fu accompagnata dalle risa del pubblico.
«Si, come quelli che hanno le ville, le Ferrari e fanno la bella vita».
«Ha le idee chiare il nostro giovanotto!».
Angelino sorrise beffardo.
Undici anni dopo
«Vai Angelì! Sfondalo!».
In un vecchio deposito abbandonato, un pubblico selezionato di professionisti e gente di malaffare attorniava un improvvisato ring realizzato con tubi metallici e corde di canapa.
Al suo interno due ragazzi dai fisici scolpiti non lesinavano nello scambiarsi colpi proibiti. Uno dei due era Angelino Mafalda.
«Dai Angelì, ci sei quasi! Ho puntato diecimila euro su di te! Non deludermi!» urlò un uomo in giacca e cravatta, con gli occhiali dalla montatura in oro e una valigetta in mano.
«Non ascoltarlo, Vipera! Ce l’hai in pugno!» ribatté il più alto di un gruppo di quattro ragazzotti muscolosi dalle facce poco raccomandabili.
Poco meno di trenta secondi dopo, l’ennesimo pugno sul volto stendeva definitivamente Paolo Pigna, detto Vipera.
«Bravo, bravo!» esclamò parte del pubblico che poi s’aprì in due ali al passaggio del campione.
«I miei soldi» disse duro Angelino, asciugandosi il viso, all’allibratore.
«Eccoli, ci sono tutti» rispose l’uomo con la voce cavernosa e un occhio grigio.
Angelino prese il suo guadagno e s’avviò verso l’uscita. Poco prima di abbandonare quella che nell’ultimo anno era stata la sua preziosa fonte di guadagno, fu avvicinato da un uomo col sigaro in bocca.
«Non sei male, ragazzo. Vieni con me, ho una proposta da farti».
Quattro anni dopo
«Ho deciso di non fare più il vostro cassiere».
Nel sontuoso ufficio dell’uomo col sigaro, Angelino Mafalda, in piedi, dava le proprie “dimissioni”.
«E cosa vorresti fare?» chiese con sorriso di scherno l’uomo.
«Mettermi in proprio».
«Angelì, non scherzare. Dalla mia squadra si esce solo quando lo decido io e spesso si esce in orizzontale».
«E chi scherza».
Un attimo dopo un colpo calibro 22 raggiungeva in piena fronte l’uomo seduto sulla poltrona in pelle nera mentre il sigaro volava via.
Sedici anni dopo
«Signore e signori benvenuti! Diamo il via alla nostra serata di beneficenza!».
Nell’immenso giardino di Villa Della Rocca, dame scintillanti dal cane microscopico nascosto in borsa rigorosamente firmata e cavalieri di cachemire fieri del proprio rotacismo presenziavano all’evento annuale organizzato dal nobile padrone di casa.
Sul palco Gigi Basulli, il famoso uomo di spettacolo scelto quest’anno per la presentazione, annunciava alcuni degli ospiti che avrebbero allietato la serata, mentre sullo schermo alle sue spalle passavano le prime immagini dei progetti finanziati dai benefattori presenti.
Dopo tante parole fumose e un andirivieni di facce tirate e sorrisi a trentadue denti orgogliosi delle proprie azioni, seguiti da gente fintamente assorta che addentava il proprio bottino carpito al buffet, il noto presentatore annunciò l’ennesimo ospite.
«Ed è ora giunto il momento di invitare sul palco un grande uomo e un gran benefattore, nonché mio grande amico: Angelino Mafalda!».
Tra gli applausi convinti Mafalda salì i cinque scalini collocati accanto al palco e raggiunse il centro della scena.
«Buonasera a tutti e grazie per l’accoglienza».
«Veniamo al tuo nuovo progetto: dopo la scuola, il sistema idrico e quello elettrico, costruire un ospedale in un villaggio del Ruanda» disse Basulli dopo una serie di domande di rito e frasi fatte.
«Sì, è il minimo che si possa fare».
Ancora appalusi.
Seguirono altre domande vacue, poi Angelino Mafalda poté finalmente raggiungere sua moglie al tavolo.
«Sei stato bravo» disse la donna avviluppata dalla sua pelliccia di visone e dall’intenso trucco.
«Grazie, cara».
Uno squillo s’intromise nel dialogo dei due.
«È fuori dai giochi? perfetto» disse l’uomo prima di terminare la conversazione.
«Ma almeno stasera potresti non badare al cellulare?».
«Era importante, cara».
Trent’anni dopo
«Come ti senti, caro?» chiese la donna dai capelli tinti di nero scuro, identici al colore di gioventù, e con quel filo di trucco che mai l’aveva abbandonata negli anni.
«Lo sai, siamo al capolinea» rispose Angelino Mafalda, disteso nel suo letto a baldacchino di fine ‘700 finemente intagliato e avvolto da coperte di seta e broccato d’oro. Il viso emaciato e pallido ne mostrava le pessime condizioni di salute.
Il viso della donna fu solcato da una lacrima.
«Cara, c’è una cosa che devi fare quando non ci sarò più».
«Si, dimmi» rispose singhiozzando.
«Lì, nel terzo cassetto del comodino, c’è una chiave che apre il primo cassettino di destra dello scrittoio del mio ufficio. All’interno troverai una busta indirizzata a te. Dopo la mia morte aprila, leggila e poi decidi tu cosa farne».
Il giorno successivo Angelino Mafalda esalò il uso ultimo respiro.
Sei giorni dopo
Non aveva ancora realizzato di esser rimasta sola dopo oltre trent’anni di matrimonio e una vita trascorsa nel lusso quando le tornò in mente l’ultima richiesta del marito. Presa la chiave e aperto il cassettino dello scrittoio, vi trovò una busta bianca con vergato in rosso il suo nome: Per Anna.
La aprì.
Cara,
se stai leggendo queste mie righe è perché il mio passaggio sulla Terra è terminato. Purtroppo.
Da piccolo avevo un sogno e l’ho realizzato. Quale? Come dicevo spesso da bambino: fare l’uomo ricco.
Sì, ci sono riuscito ma non è stato facile e, soprattutto, non è stata un’ascesa luminosa.
È un peccato ora dover lasciare tutto. Sì, lo so, non siamo immortali, ma alla morte non ci si pensa se non nel suo approssimarsi e io ho iniziato a pensarci solo dopo la malattia. C’è sempre un nemico più forte di te e in tanti l’hanno capito a proprie spese. Io sono stato sconfitto da questo male, per altri il male sono stato io. Nel mio piccolo anch’io ho svolto il compito della morte e non mi pento di averlo fatto. Ricordi l’incidente dell’imprenditore Zicchi? Senza quella spiacevole sciagura non avrei mai mosso il mio primo passo nel mondo dell’edilizia. E la tragica fine di Mundi? È grazie alla sua “misteriosa” scomparsa se il mio nome è oggi uno dei colossi dell’editoria. E poi Taleggi, Uggiu, Calafa e altri ancora. Tanti regali che ho fatto alla mia persona lungo la mia vita.
Mi chiedi se mi sono mai pentito per il male che ho fatto? La mia risposta è no. Ho imparato molto presto sulla mia pelle che senza fare del male si viene travolti e allora ho deciso di fare del male io stesso e travolgere chi prende la vita come viene.
L’ho fatto soprattutto per me, ma poi l’ho fatto anche per te. Hai vissuto da regina, non ti è mancato mai nulla. Quindi non puoi biasimarmi.
E tu mi dirai che ho fatto anche del bene in vita. Sì, ho fatto del bene a me, a noi. Il resto era tutta facciata utile per allungare ancor di più i miei tentacoli.
Voglio solo dirti, infine, che ti ho amato tanto e mi spiace soprattutto lasciare te.
Non odiarmi.
Il tuo Angelino
(pubblicato nell’antologia “Lo scheletro nell’armadio” – Montegrappa Edizioni, 2018)
Lascia un commento