«OH MIO DIO!» esclamò scandendo lentamente le parole il dottor Moris, tra lo stupore e lo smarrimento.
«Ce l’abbiamo fatta dottore!» ribadì l’assistente Harat, prima che un tremendo conato di vomito lo abbattesse.
Davanti ai loro occhi i resti di quello che fino a pochi secondi prima era stato un Mus musculus, un piccolo topo bianco. Schizzi di sangue e brandelli di carne tappezzavano la tecnologica teca a chiusura ermetica collocata al centro del grande laboratorio di genetica della città di Ostranil, capitale dell’impero di Ostrelaas. Solo un occhio attento avrebbe potuto notare quel piccolo puntino nero svolazzante, una Culex pipiens. Una zanzara.
«Sommo imperatore, siamo giunti alla svolta. L’arma finale è finalmente nelle nostre mani!» disse con enfasi Moris.
Nella grande sala privata del palazzo imperiale, la tozza figura del dottor Moris, capelli sparuti sui lati, occhiali spessi e vistose macchie rosse sul viso, era pronta per esporre i risultati definitivi della sua ricerca all’imperatore Pakal III.
L’alta e agile figura del sovrano, dal candido abbigliamento privo quasi totalmente degli ornamenti imperiali, non era un’occasione ufficiale, lo osservava in silenzio. Sul viso, sulla guancia destra, il segno che contraddistingueva la dinastia Pakal: un giaguaro nero che tra le proprie fauci serrava una stella ad otto punte. Accanto a lui pochi alti dignitari, anche loro in silenzio.
«Dottor Moris mi illustri la nuova situazione» disse pacatamente il sovrano.
«Si, sommo imperatore, l’idea che le esposi quasi due anni fa è finalmente realtà. Abbiamo la nostra zanzara!».
Circa ventiquattro mesi prima, mentre la guerra tra gli imperi di Ostrelaas e Estalfaas continuava senza sosta e senza vincitori, la situazione non mutava da alcuni decenni ormai, nella stessa sala il dottor Moris proponeva la sua idea risolutiva: la modificazione genetica di una zanzara che avrebbe sconfitto il nemico in modo invisibile e cruento.
Ora il pubblico della sala non era cambiato. Moris armeggiò sulla tastiera collocata sul tavolo dinanzi a lui e grafici e immagini comparvero sulla parete posta di fronte agli astanti.
«La farò breve. Come ipotizzato all’epoca, siamo riusciti ad intervenire sul DNA dell’insetto modificando in modo sostanziale delle, diciamo, informazioni. Innanzitutto impartendo l’ordine di chi attaccare e chi no, poi creando un’anima indistruttibile e, infine, l’arma vera e propria, un virus plasmato nel nostro laboratorio che colpisce le cellule umane portandole letteralmente all’esplosione nel giro di pochi minuti e che viene introdotto nel corpo del nemico al momento della puntura».
Il pubblico presente osservò senza, in realtà, comprendere molto i dati offerti dalle immagini, mentre comprese pienamente il senso delle parole del dottore: la vittoria poteva essere prossima.
«Quali sono le garanzie della riuscita del suo esperimento?» chiese il sovrano.
«Queste» disse Moris sollevando il lenzuolo bianco che copriva la teca contenente i resti del topo.
Esclamazioni di stupore e ribrezzo pervasero la sala.
«Questo cosa sarebbe?» chiese impassibile l’imperatore.
«I risultati finali, ciò che resta di un topo “estalfaasiano”».
«Topo “estalfaasiano”?».
«In questo topo abbiamo inserito geni estalfaasiani rendendolo a tutti gli effetti uno di loro. La zanzara lo ha riconosciuto e ha colpito il bersaglio. Il risultato dell’attacco è questo».
«E cosa ci dà la sicurezza che questa zanzara non attacchi anche noi?».
«Il gene Statin, scoperto dall’illustre Venor Statin alcuni decenni fa, un elemento genetico presente esclusivamente nel DNA estalfaasiano».
«Capisco».
Al commento dell’imperatore seguì il silenzio in sala.
«E non c’è un deterrente per questi insetti?».
«No. La zanzara è praticamente inattaccabile da qualsiasi insetticida o altra arma».
«E dal fuoco?».
«Idem. È l’arma perfetta».
Pakal III non chiese altro. Si alzò dal suo seggio e si avvicinò alla teca. Osservò i resti del topo e, dopo alcuni secondi, notò quel puntino nero svolazzante.
«È lei?» chiese indicandolo.
«Si, sommo imperatore».
«Quanto ci vorrà per l’attacco definitivo?».
«In un mese credo di riuscire a creare una flotta sufficiente per permettere al nostro amato giaguaro di fare un sol boccone della stella ad otto punte».
«Venti giorni» disse categorico.
«Si, sommo imperatore. Venti giorni».
«Ecco, ci mancava solo la puntura di un insetto» disse l’uomo dalla stella ad otto punte tatuata sulla fronte alla sua compagna mentre insieme passeggiavano lungo il viale alberato che tagliava in due Estalin, la capitale di Estalfaas.
«Strano, in questo periodo zanzare e mosquitoes non dovrebbero esserci, non in città almeno» rispose la donna contraddistinta dallo stesso segno sulla fronte.
«Sarà stato qualche altro insetto» disse lui grattandosi dietro la nuca.
«Povero» rispose carezzandolo.
«Guarda quelle scarpe in vetrina? Ti piacciono?». L’uomo cambiò discorso.
«Si, molto carine».
«Dai, entriamo così le provi e…», l’uomo non riuscì a terminare la sua frase. Il suo corpo deflagrò in mille brandelli investendo la donna e la vetrina.
Erano trascorsi esattamente ventuno giorni dall’incontro con Pakal III, Moris era riuscito a mettere su un discreto esercito sufficiente a portare la prima tranche di morte ad Estalfaas.
Nel giro di tre settimane le esplosioni umane divennero incalcolabili. Estalfaas era al collasso, inerme contro un nemico invisibile. In ogni parte dell’impero estalfaasiano il rosso divenne il colore predominante sostituendo il giallo, la tonalità che da secoli contraddistingueva la casata regnante, quella dei Kurtin.
«Sommo imperatore, le comunico che la guerra è prossima alla fine. Estalfaas è nostra!» esclamò Tulex, il capo dell’esercito.
Poco più di due mesi dopo il primo attacco, di Estalfaas restava solo il ricordo e una marea di resti umani. Anche il sovrano di Estalfaas, Kurtin XII, dopo aver supplicato Pakal III di terminare l‘orribile strazio che stava martoriando i suoi sudditi, era stato sorpreso dal piccolo killer.
«È un grande onore per me conferire la carica di principe non ereditario ed eroe imperiale ad Antuz Moris, artefice della vittoria definitiva contro Estalfaas».
Dinnanzi ad una folla smisurata e festante, l’imperatore Pakal III, ornato dal caratteristico copricapo in oro e giada che rappresentava le fauci del giaguaro e dai paramenti in ossidiana e giada che ricoprivano dalle spalle alla cintola il suo candido abbigliamento, insigniva del prestigioso titolo il dottor Moris una settimana dopo la conclusione definitiva del conflitto. Il boato della folla sottolineò il gesto rituale.
«Grazie, sommo imperatore. Grazie a voi tutti compatrioti. È grazie al nostro sovrano e a voi se oggi siamo qui. Viva il nostro imperatore! Viva Ostrelaas!» disse un emozionato Moris.
Il popolo rispose sonoramente.
La cerimonia era quasi terminata, l’imperatore, Moris e alcuni alti dignitari confabulavano sul palco imperiale mentre si dirigevano verso l’uscita privata quando un urlo terribile squarciò la folla. Alcune persone ricoperte di sangue e brandelli di carne umana diedero il via al panico generale. Fu un massacro, centonove persone rimasero schiacciate dalla calca, migliaia i feriti.
«Moris, cos’è successo?» chiese il sovrano cercando di mantenere la calma.
«Non me lo so spiegare, sommo imperatore» rispose tremante.
Quasi mezz’ora dopo l’accaduto, Pakal III e il suo nuovo principe non ereditario vennero a conoscenza dell’esplosione molto probabilmente dovuta alla zanzara.
«Mi avevi assicurato fosse impossibile potesse colpire anche noi».
«E infatti è impossibile, sommo imperatore. Forse la nostra creatura ha scoperto un infiltrato di Estalfaas».
«Voglio sperarlo. Fai tutti gli esami del caso e portami quanto prima dei risultati».
La polizia imperiale riuscì ben presto a rintracciare uno degli uomini investiti dalla deflagrazione umana e a fornire Moris di resti della vittima.
Intanto altre sporadiche esplosioni si verificarono nella capitale, mentre notizie simili iniziarono a giungere anche dalle province.
«N-non è possibile!». Uno sconcertato Moris cadde a peso morto sulla sedia.
«Sta colpendo anche noi? Perché?!».
«E così sta colpendo anche noi?» chiese Pakal III con voce insicura, la sua proverbiale calma, dopo la notizia, iniziava a dare segni di cedimento.
«Si, purtroppo, sommo imperatore» rispose disperato Moris.
«Hai capito il perché?».
«Non ancora. Servirebbe catturare un esemplare vivo di zanzara».
«Credi sia possibile?».
«Con gli strumenti e gli uomini giusti sì».
«E attiviamoci subito allora».
Fu organizzata una task force impressionante, migliaia di militari impegnati nella strana caccia alla zanzara. In quattro giorni furono consegnate a Moris decine di migliaia di esemplari da analizzare, nella speranza che almeno uno di quei minuscoli esseri fosse quello modificato dallo scienziato.
Nel frattempo le esplosioni umane nell’impero si moltiplicavano senza sosta e l’isteria aveva avvolto l’intero territorio di Ostrelaas.
Senza sosta, notte e giorno, Moris esaminò gli insetti coadiuvato dalla sua squadra e dopo tre giorni lo individuò. Era la sua creatura anche se qualcosa non quadrava.
«Sommo imperatore, l’ho individuata. È la mia creatura ma ha qualcosa di strano. Sembra, come dire, cambiata».
«Cambiata?».
«Non saprei dirle con esattezza. La analizzerò subito così capiremo».
«Nel frattempo cosa possiamo fare?».
«Per ora dica al suo popolo di non uscire di casa. Altro non possiamo fare».
«Figli di Ostrelaas, figli del giaguaro. Sono qui per annunciarvi che un nuovo nemico è in mezzo a noi».
Erano trascorse all’incirca due ore dall’incontro con Moris e Pakal III, dopo aver indossato le insegne imperiali, aveva raggiunto la sala dei comunicati video per parlare al suo popolo.
«La sconfitta definitiva del nostro eterno nemico ha colpito il nostro popolo con una maledizione. Vi ordino, dunque, di non uscire di casa e di tenere porte e finestre chiuse sino a nuova comunicazione. Il vostro sovrano ha già incaricato gli uomini giusti e la soluzione arriverà molto presto. Non temete!».
Milioni di persone ascoltavano in silenzio e carichi di paura le parole del proprio sovrano dai proiettori d’abitazione.
«Intanto pregate i nostri sacri dei e…» il sovrano interruppe il suo discorso e si voltò all’indietro alla ricerca di una figura invisibile, poi portò la sua mano destra dietro la nuca per grattarsi.
«Come dicevo, pregate i nostri sacri dei e le anime dei nostri antenati. Loro sapranno proteggerci. Ora anch’io, umile figlio degli dei, umile figlio dei nostri antenati, torno a prendermi cura di voi, dei miei figli. Prometto ai figli di Ostrelaas buone nuove molto presto. Che i nostri…».
La frase non fu mai terminata, tutti gli schermi dei proiettori furono inondati dal sangue dell’imperatore, da brandelli di carne e di non più candida stoffa, da frammenti di oro, giada e ossidiana.
«Oh mio Dio!».
Moris era in laboratorio e non aveva assistito all’ultimo, definitivo, messaggio del suo imperatore.
«N-non è la mia zanzara, non più. È… è… impossibile!».
Sotto la lente del suo microscopio il piccolo insetto giaceva inerme ma vivo.
«È successo qualcosa… d’imprevisto. Sono un idiota!» urlò lo scienziato nella stanza vuota.
La zanzara davanti ai suoi occhi era un incrocio tra la sua creatura e una comune zanzara. Nel suo processo “creativo”, Moris non aveva considerato l’apparato riproduttivo dell’insetto. Ora vi erano in circolazione un numero indefinito di zanzare che possedevano parte del codice genetico dell’insetto killer. Nel caso specifico il virus “esplosivo” e l’indistruttibilità, non l’obiettivo estalfaasiano.
«Ho annientato l’intera umanità!» esclamò prima di colpire violentemente il microscopio che volò sul pavimento frantumandosi in più parti.
Si accasciò poi sul pavimento, ammutolito. Fissò per alcuni secondi un punto indefinito, poi di scatto colpì con uno schiaffo la propria nuca. Troppo tardi, pochi minuti dopo le bianche pareti del laboratorio furono inondate dai resti dello scienziato.
Poco più di un mese dopo anche di Ostrelaas rimaneva solo il ricordo.
(pubblicato nell’antologia “I mostri non mangiano seitan” – SensoInverso Edizioni, 2017)
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