La scommessa

«Solo due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana… e non sono sicuro della prima».
«Cosa vai blaterando?».
«Niente, pensieri in libertà».
«No, tu ti riferivi a me. Ripeti quello che hai detto».
«Solo due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana… e non sono sicuro della prima».
«E con questo cosa vuoi dire?».
«Ciò che ho detto. O meglio, ciò che ha detto Albert Einstein».
«Io sarei stupido?».
«Di certo non sei l’universo».
«Ma vai a cagare va».
Il piccolo siparietto si consumò dinanzi alla cassetta delle elemosine che, ornata nella parte alta da tre file di gocciolanti candele, piuttosto eterogenee in fatto di altezza, occupava parte della minuscola cappella dedicata a San Sebastiano nella deserta chiesa dei Santi Martiri a Castelluccio.
Dopo aver terminato di armeggiare con il vetusto lucchettino che rendeva comicamente inespugnabile il contenitore per le offerte, Sauro Varcelli, ventitré anni, viso smunto e butterato, capelli radi, fisico minuto e lieve ingobbimento della schiena, reso fin troppo evidente dalla magliettina una volta bianca ed aderente, lo aprì, ne osservò il contenuto e lo svuotò fulmineo. Nelle sue tasche confluirono sette euro e sessantadue centesimi in monete di piccolo taglio.
Pericle Lanzi, stessa età ma una ventina di centimetri e di chili in più, volto rubizzo e folta chioma corvina, lo osservò incuriosito. Non era la prima volta che assisteva ad uno spettacolo del genere.
«Perché l’hai fatto?» chiese Pericle già conoscendo la risposta.
«Perché mi diverto. E poi a loro non servono. Sono ricchi abbastanza» ribatté sicuro Sauro uscendo senza fretta dalla chiesa.
L’amico scosse la testa seguendolo.
«Sbrigati, devo andare un attimo al Tabacchi».
«A fare cosa?».
«M’è venuta voglia di patatine».
Superato un breve ma intricato dedalo di viuzze, la coppia raggiunse la piazza su cui s’affacciavano il Tabacchi Carmelo, il Bar Santini e le sedi dei due partiti politici principali in cui s’affollavano, per scambiarsi battute o giocare a carte, i pensionati del paese.
«Guarda come si fa».
«Come si fa cosa?».
«Zitto ed entra».
Superati i due gradini discendenti, la coppia si ritrovò nell’antro magico del Tabacchi Carmelo, un ambiente di tre metri per due dall’aspetto di una wunderkammer. Gli scaffali che rivestivano tutte le pareti del piccolo spazio erano stracolmi sino al soffitto degli oggetti più disparati, dai giocattoli al cibo, passando per una sconfinata serie di cineserie. Dietro al bancone, incorniciato da decine di Gratta e Vinci, spuntava il viso tondo e rugoso di una donna vicina ai settant’anni.
«Ciao Carmelo!» esclamò Sauro una volta dentro.
«Carmelo non c’è. Cosa vuoi Sauro?» chiese con voce aspra la donna.
«Ah, pensavo di trovarlo».
«Non viene da almeno un anno, lo sai. Oggi non c’è manco quel mascalzone di Nicola, nostro figlio, quindi devo starci io qua. Cosa vuoi?».
«Va bene. Niente, avevo visto quel… quel… quel piccolo mappamondo lassù e volevo vederlo più da vicino, oltre a conoscerne il prezzo» disse cercando con lo sguardo l’oggetto più difficile da prelevare.
Pericle lo osservò incuriosito senza aprire bocca.
«Dove sta?».
«Lì, nella parte alta» rispose Sauro indicando lo scaffale alla sua destra.
«Ah, va bene. Aspetta che prendo la scala».
«Sì, fai con comodo Angelina».
Mentre la donna recuperava, solo lei sapeva da dove, la scala, Sauro gettò l’occhio sull’espositore di patatine collocato alla sinistra della porta che, nell’insegna scolorita e negli evidenti segni di ruggine, mostrava tutti i suoi vent’anni di onorata carriera.
«Dove sta?» chiese nuovamente la donna comparsa alle spalle del duo.
«Lì» disse Sauro indicando l’oggetto con l’indice della mano destra.
«Ma che ne devi fare?».
«Un regalo».
Non senza difficoltà Angelina raggiunse l’oggetto, poi ridiscese e lo porse a Sauro.
«Bello è bello, però trentuno euro mi sembrano un po’ troppi» dichiarò il ragazzo valutando l’oggetto tra le mani.
«Il prezzo quello è. Se lo vuoi lo prendi, altrimenti lo rimetto a posto».
«Ma uno sconto?».
«Ma quale sconto. Dammelo va che lo rimetto su».
«Vabbè, torno quando c’è Carmelo».
«Fai come vuoi».
La coppia attese che la donna ricollocasse l’articolo al suo posto. Poi la seguirono con lo sguardo tornare verso il bancone.
«Noi andiamo. Ciao Angelina».
E mentre la donna faceva scomparire nuovamente la scala, Sauro, uscendo, allungò la mano verso la busta di patatine più vicina, l’afferrò e poi raggiunse con calma il mondo esterno seguito dall’amico.
«Sempre più d’accordo con Einstein» sentenziò Pericle dopo essersi seduti su una panchina posta alla giusta distanza dal Tabacchi.
«Tu e questi tuoi amici intelligenti. Ce li avessi io i soldi di Einstein non starei qui a rubare».
«Einstein è morto nel ‘55».
«E vabbè, i soldi di quelli come lui. Vivi».
«Sarà».
«E poi mi diverto».
«Contento tu. Prima o poi ti metterai nei guai».
«Ma va va. Io sono più abile di Lupin!» esclamò Sauro.
«Convinto».
«Scommettiamo che per il prossimo mese riesco a vivere senza spendere un euro?».
«Ma tu non hai mai un euro in tasca!».
«Appunto!» disse Sauro esplodendo poi in una grossa risata.
«Vabbè, una birra».
«Vada per una birra!».

Il mese che seguì Sauro riuscì davvero a sopravvivere di piccoli furti. Pericle lo seguì quasi tutti i giorni nelle sue attività notando una sempre più affinata tecnica e una crescente inventiva. Il mercato che si svolgeva il martedì e il venerdì nell’arteria principale del paese era il vitello grasso di Sauro. Nei giorni migliori riusciva a portare a casa il cibo utile a sfamare sé e sua madre per almeno una settimana.
«Visto? Scommessa vinta!» esclamò precisamente trenta giorni dopo davanti alla birra pattuita e vinta al Bar Santini.
«Devo farti i miei complimenti. Sei davvero un mago del furto ma non devi esagerare» disse a voce bassa Pericle, mentre il suo amico sorseggiava la fresca bevanda seduto presso uno dei tre tavolini in legno posizionati all’esterno, a pochi metri dall’ingresso del bar.
«Se vuoi possiamo alzare la posta e scommettere qualcos’altro».
«Tipo?».
«Cento euro».
«Cento euro? E per cosa?».
«Due mesi senza spendere un euro».
«E che gusto c’è per me?».
«Per te non lo so, per me c’è!».

Due mesi dopo, stesso bar, stesso tavolino.
«Amico, se non ricordo male hai un debito da onorare!» esclamò Sauro.
«Io mantengo sempre i miei impegni. Eccoteli» e così dicendo Pericle estrasse dalla tasca dei pantaloni una banconota spiegazzata da cento euro.
«E questa te la offro io!» disse enfatico con un sorriso a trentadue denti, non proprio il massimo da vedere, il vincitore porgendo all’altro una bottiglia di birra.
«E comunque penso sempre che Einstein abbia avuto ragione».
«Ancora con questo Einstein!».
Nei minuti seguenti Sauro narrò delle sue avventure cui Pericle non aveva partecipato, dal furto di una bici, poi riconsegnata al proprietario in cambio di un “riscatto” composto da un sacco di noci da cinque chili e una cassetta di zucchine, all’indigestione dovuta alla ruberia, e al seguente avido ingurgitamento, di oltre mezzo chilo di caramelle al mou.
«Bravo, eh».
«Lo so!».
Terminata la birra, la coppia s’incamminò lentamente lungo le sonnolenti stradine che costituivano l’intricato groviglio del centro storico di Castelluccio.
«Guarda lì» disse ad un tratto Sauro.
«Dove?».
«Quella è la casa, o dovrei dire il palazzo, di Agnello. L’avvocato».
«E quindi?».
«Sai quanti soldi ha quello? Tanti».
«Lo so. E quindi?».
«Secondo me è giusto che una parte dei suoi soldi sia mia».
«Per quale logica?».
«La logica che lui ne ha troppi e io zero».
«Una logica inattaccabile» rispose beffardo Pericle.
«Esatto» replicò Sauro senza scorgere l’ironia.
«E cosa vorresti fare? Chiedere la tua parte, quella che ti spetta?».
«Chiedere è da perdenti. Io andrò a prendermela».
«Ma non dire stronzate».
«Sì, ho deciso. Devo solo studiare bene il piano».
«E piantala. Vanno bene i furtarelli di cibo e cavolate varie ma qui stai esagerando».
«Vuoi fare una scommessa?» chiese con sguardo da duro Sauro.
«Questa volta non ti assecondo».
«Pensaci, è un colpo con cui potrei sistemarmi per sempre. O almeno per un paio d’anni».
«Smettila, non fare lo scemo».
«Ti stupirò».

«Pericle! Pericle!». L’uomo dalla stazza imponente, oltre un metro e novanta e quasi cento chili di peso, bussò veemente alla porta della cameretta del ragazzo. Era suo padre.
«Che c’è? Entra».
«Che stai facendo?» chiese con la sua voce profonda.
«Niente di particolare, ascolto della musica. Cosa c’è? Perché urlavi?».
«Pericle, te l’ho sempre detto io che quell’amico tuo, Sauro, è un tipo pericoloso».
«Perché?».
«Mi chiedi perché? L’hanno beccato mentre entrava in casa dell’avvocato Agnello per derubare. Con sé aveva anche un coltello».
«Un coltello?». Il ragazzo sbiancò.
«Sì, è proprio matto».
«E ora dov’è?».
«Dove devono stare quelli come lui. In galera».

Pericle impiegò quasi un mese per convincere suo padre, consigliere regionale, a richiedere una visita in carcere e ad accompagnarlo in macchina alla casa circondariale provinciale.
«Sauro, ma che cavolo hai combinato?».
«Niente. Un piccolo errore di valutazione. Non pensavo ci fossero i due cani e suo figlio in casa» rispose con una strana serenità in viso il ragazzo.
«Te l’avevo detto di non rischiare».
Sauro rispose con un sorriso.
«E ora?».
«E ora devo stare qui per un po’».
«Un po’ quanto?».
«Un po’. Però hai visto? Ho vinto la scommessa anche questa volta!» esclamò all’improvviso.
«Hai vinto? Ma se sei in carcere».
«Appunto! Per i prossimi due anni non spenderò un euro!».

(pubblicato nell’antologia “Racconti pugliesi 2018” – Historica Edizioni, 2018)  

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