«Dove siete tutti? È quasi mezzanotte!».
Camminava nervosamente, ma agilmente nonostante le sue evidenti e goffe rotondità, attraversando, uno per volta, i numerosi e ampi magazzini in assi di legno in cui erano impilati migliaia e migliaia di pacchi dalle dimensioni più varie, con i loro involucri policromi, destinati alla partenza di lì a pochi minuti.
«Stekkjarstaur! Giljagaur! Dove vi siete cacciati? È ora di caricare la slitta!».
Ma dei due folletti preposti a tale mansione neanche l’ombra.
Proseguì, allora, rapidamente il suo giro di perlustrazione raggiungendo l’edificio in cui i regali venivano materialmente realizzati. Tutte le luci erano spente, allo stesso modo le macchine. Un silenzio irreale regnava nel luogo solitamente più vivace tra i numerosi padiglioni che cingevano la grande dimora di Babbo Natale, l’unico edificio abitativo esistente in migliaia di chilometri quadrati di imbiancata Lapponia.
«Hurðaskellir! Skyrgámur! Bjúgnakrækir! Dove vi siete nascosti? Se è uno scherzo sappiate che è di cattivo gusto! O, almeno per questa notte lo è!» e nella situazione al limite del drammatico, trovò anche il tempo per sorridere.
E pure i responsabili del reparto produttivo non si palesarono.
Abbandonato anche quel luogo, attraversò un ampio corridoio lungo il quale si aprivano varie aperture, giungendo dinanzi alla porta dell’ufficio di Kertasníkir, l’addetto alla ricezione e lettura delle lettere dei bambini.
Bussò una volta, due, tre, poi aprì la porta. All’interno silenzio e buio. Azionò l’interruttore per guardare meglio e si ritrovò riflesso in uno specchio contornato da una rilucente ghirlanda. Fissò il suo volto rugoso, la candida barba lunga, l’occhio di ghiaccio, il collo taurino che scompariva tra la lana bianca che ornava il colletto del voluminoso abito rosso fiammante. Pochi secondi, poi spense le luci, chiuse la porta e proseguì.
Meno di un minuto dopo raggiunse il sontuoso portone di legno intarsiato a due ante che, aprendosi, conduceva nell’ampio cortile esterno circondato dalle stalle.
La slitta era parcheggiata lì, ancora anonima (Stúfur era l’addetto agli addobbi). All’appello mancavano anche le renne. Solo il vento riempiva quella strana quiete.
«Ma dove siete? Mancano pochissimi minuti a mezzanotte! Non ce la faremo mai a consegnare tutto!» urlò ormai senza convinzione.
Si guardò intorno, smarrito. Allora decise di rientrare.
“Non è possibile, dove ho sbagliato? Sono stato abbandonato la vigilia di Natale. Come faranno i bambini domattina?”. Quei pensieri si ripercossero sul suo volto.
Affranto, quasi trascinando il passo, si portò verso il suo ufficio. Era ormai davanti alla porta quando il primo rintocco della mezzanotte suonato dal grande orologio lo fece sussultare.
“Tutto finito” pensò mentre la sua mano cadeva lentamente sulla maniglia.
«Buon Natale!».
Aperta la porta, fu avvolto da un calorosissimo augurio. Stekkjarstaur, Hurðaskellir, Skyrgámur, le renne. C’erano tutti. Tutti lì per augurare Buon Natale a chi aveva dedicato la sua vita a rendere unico quel giorno a tutti i bambini del mondo, e non solo ai bambini.
«Ma… ma…» le parole faticarono ad uscire dalle sue labbra mentre gli occhi divennero lucenti immediatamente.
«Ecco, questo è per te» disse Kertasníkir porgendogli un pacchettino scintillante, dopo essersi staccato dal gruppo festante e averlo raggiunto.
Emozionato, e un po’ impacciato, aprì l’involucro estraendone il contenuto. Una sciarpa rossa con i bordi in lana bianca.
«È… è bellissima! Grazie di cuore a tutti!» disse con voce rotta dopo averla indossata.
«E ora un brindisi!» urlò Stúfur.
«Sì, ma è tardi! Dobbiamo andare!» gridò a sua volta Babbo Natale dopo aver incrociato con lo sguardo l’orologio a cucù che ornava la parete di fondo.
Una grossa risata inondò l’ambiente, questa fu la risposta.
Quell’anno, più di un bambino, svegliandosi la mattina del 25 dicembre, giurò di aver visto Babbo Natale in pieno giorno risalire sorridente dal camino.
(pubblicato nell’antologia “Parole sotto l’albero 2018” – Eterna, 2018)
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