Volti di pietra

«Nonno! Nonno! Armando vuole picchiarmi!».
«Fate i bravi».
«Nonno! Aiuto!» e, urlando, il piccolo Diego, sei anni e pochi chili sparsi su un corpicino esile, si rifugiò tra le gambe del nonno che, seduto sul divano, cercava di rilassarsi guardando una puntata del tenente Colombo.
«Siediti qui accanto a me e vediamo se Armando ha il coraggio di colpirti» gli disse sorridendo, con le rughe che accentuavano la loro presenza sul quel viso, che aveva visto poco più di settanta primavere, ad ogni tensione muscolare.
«Nonno, guarda cos’ha fatto Diego alla mia fionda?».
Pochi secondi dopo si palesò anche il secondo nipote, dieci anni, qualche chilo e qualche centimetro in più del fratello, non troppi. Tra le mani, quasi come a proteggere un piccolo animale ferito, stringeva lo strumento in legno con uno dei due rami superiori spezzati.
«Ah! E per questo che scappavi allora, eh? Birbante che non sei altro!» e così dicendo gli scombinò i capelli a caschetto biondo paglia.
«E tu, Armando, siediti qui. Ora Diego ti chiede scusa e poi andiamo a comprare una fionda nuova».
«Però così non vale!» esclamò il più grande.
«Io voglio pure un gelato» disse Diego noncurante delle lamentele del fratello maggiore.
«Vabbè, però non è giusto che voi grandi difendiate sempre lui» rispose mestamente Armando.
«Non dire così, Armando. Lui è più piccolo e deve imparare ancora molte cose e tu devi insegnargliele perché sei più grande» gli disse il nonno carezzandolo dolcemente sul viso.
«E tu, torna subito qui» disse rivolto a Diego che aveva la mano sulla maniglia della porta e sulle labbra già il sapore del cono al pistacchio e nocciola.
«Perché?».
«Chiedi scusa, se no non usciamo».
«Va bene, scusa Armando» disse quasi cantilenando.
Il fratello maggiore accettò suo malgrado quelle scuse non proprio sincere.
«Allora, gelato e fionda. Siete pronti?».
«Sì!» gridò Diego.
«Sì, andiamo» disse mestamente Armando.
E uscirono.

Camminavano da oltre venti minuti e i tre stavano attraversando la stretta Via Lippi, una viuzza tortuosa non distante dalla casa del nonno e dalla seconda piazza, per importanza, del paese. Nelle mani dei due bambini, ormai, solo la parte inferiore del cono con quei resti di gelato che, senza combattere con la gravità, erano colati, miscelandosi, verso il fondo a punta e che andavano ancora gustati. Dalla tasca posteriore destra dei pantaloncini di Armando spuntava una nuova fionda.
«Nonno, perché quella faccia fa la linguaccia?» chiese d’un tratto Diego indicando, con il braccio sinistro teso e l’indice puntato verso l’alto, un volto scolpito dalla forma ovale che fungeva da chiave di volta sormontante l’accesso di una delle abitazioni del centro storico del paese. Quel viso, dall’espressione sorridente e lo sguardo acceso, che mostrava divertito la sua lingua, era lì da almeno tre secoli e, da almeno tre secoli, si prendeva gioco dei passanti.
«Quella? È una lunga storia».
«Ce la racconti?» lo incalzò il piccolo.
«Va bene. Raggiungiamo la piazza, sediamoci e vi narro tutto».
Ci vollero meno di due minuti per raggiungere quello spiazzo dalla percettibile pendenza, denominato Piazza Don Sturzo, e dal solitario lampione posto al suo centro.
«Allora nonno? Racconta, racconta!» esclamò Diego appena preso posto su una delle sporadiche panchine che cingevano la piazza.
«Tutto è iniziato tanto tempo fa, chi dice tre secoli, chi più. Biccari era un paese piccolo come ora, ma con più gente, tanti contadini e qualche superstizione».
«Nonno, cos’è una superstizione?» domandò il più piccolo dei due.
«Una superstizione si ha quando uno crede a qualcosa di magico o soprannaturale che in realtà non è vero».
«Tipo io che credo a Babbo Natale anche se lo so che non esiste?».
Il nonno sorrise, poi riprese il racconto.
«In paese viveva una donna un po’ particolare che da molti era ritenuta una strega e, per questo, era evitata da tutti. Questa donna non aveva un marito ma, si dice, che tra le altre cose realizzasse dei filtri d’amore per cercare di conquistare gli uomini, invano. Per molti anni, però, in paese accadde qualcosa di strano».
«Cosa?».
«Diversi uomini scomparvero».
«Li uccideva lei perché era brutta e nessuno l’amava?» chiese Armando.
«Chi può dirlo. Ma fammi andare avanti. Si racconta che, pochi giorni dopo ogni plenilunio di giugno, cioè quando in cielo c’è la luna piena, in un piccolo spazio in terra battuta, non lontano dall’abitazione della donna, si rinvenisse un blocco di pietra scolpito che raffigurava un volto di uomo dall’espressione terrorizzata».
Diego, a queste ultime parole, s’avvinghiò al nonno.
«Si narra, inoltre, che la notte stessa del plenilunio, la donna si recasse in montagna, in una specifica area in cui svettava una grande quercia, e raccogliesse dell’erba che cresceva solo lì e solo in quei giorni».
«Ma a te chi l’ha raccontata questa storia?» chiese Armando.
«Mio nonno, e a lui suo nonno e così via indietro nel tempo».
Diego lo fissava con la bocca aperta.
«Si dice poi che, nello stesso periodo, a Biccari vivesse un certo Natuccio Terranera, un contadino un po’ strambo che passava parte del suo tempo in campagna e parte in paese a raccontare storie divertenti, fare scherzi e portare allegria nelle varie locande che frequentava. Il caso volle che quell’area di montagna in cui la donna raccoglieva l’erba speciale fosse la campagna di Natuccio. Lui non sapeva nulla di quell’erba ma aveva notato, un paio di volte, che qualcuno, di notte, era entrato nel suo territorio per tagliarla. Non aveva dato molto peso alla cosa finché non iniziarono le misteriose sparizioni di quegli uomini che lui stesso conosceva e frequentava. Una sera di giugno, un suo amico, solo come lui, gli confidò che la donna l’aveva invitato a casa sua e lui aveva accettato. Da quel momento non lo vide più. Solo lui riconobbe in quel volto di pietra, rinvenuto pochi giorni dopo, i tratti del suo amico».
«E allora avevo ragione io, li ammazzava lei» s’intromise Armando.
«Ci arriviamo tra poco. Intanto, sempre in quei giorni, aveva notato che l’erba era stata tagliata. Natuccio pensò che le due cose fossero collegate e decise che l’anno successivo, per tutto il mese di giugno, avrebbe trascorso le notti nella sua campagna per scoprire chi fosse colui o colei che tagliava la sua erba. L’anno trascorse velocemente, la gente, in quegli anni, dimenticava rapidamente le cose brutte e anche Natuccio aveva ripreso la sua vita da burlone. A giugno, però, si ricordò che aveva una missione da compiere e iniziò a trascorrere le notti in campagna, finché non ci fu il plenilunio. Quella notte, al chiarore della luna, vide una figura femminile entrare furtiva e dirigersi verso la quercia, tagliare l’erba e andare via velocemente. La riconobbe. Era quella donna»
«Visto? È stata lei» disse trionfante Armando rivolto al fratellino.
«La mattina seguente, Natuccio prese un’ascia e iniziò a tagliare l’albero, lo fece a pezzettini, ne estirpò le radici e bruciò tutto. Poi arò anche il terreno per essere sicuro che non ci fosse nessuna possibilità che quell’erba ricrescesse. Esausto, infine, raggiunse il paese e si recò a casa della donna. “Ti ho visto ieri notte mentre tagliavi l’erba. Peccato sia stata la tua ultima volta. L’albero non c’è più” le disse e le fece una linguaccia. “Non so di cosa parli” rispose la donna che, di scatto, afferrò un attizzatoio, una barra in ferro usata per sistemare il fuoco nel camino, e lo colpì».
«Ma è proprio cattiva!» disse Diego che stringeva sempre più a sé il nonno.
«Sì, tanto cattiva. Andiamo avanti, siamo quasi alla conclusione. Natuccio si risvegliò qualche ora dopo e si ritrovò legato ad una sedia. In bocca sentì uno strano sapore e davanti a sé vide la donna sghignazzare. “So che morirò, ma almeno so che sarò la tua ultima vittima” disse e, sorridendo, le fece nuovamente la linguaccia. Per un paio di giorni nessuno vide Natuccio in paese e un suo amico, preoccupato, andò a casa sua. Trovò una lettera in cui diceva che, se non l’avessero più visto, di sicuro avrebbero trovato la sua faccia su una di quelle pietre scolpite che comparivano una volta l’anno, per farsi riconoscere avrebbe fatto una linguaccia. Scrisse anche che tutti quegli uomini scomparsi erano stati uccisi da quella donna. Quando fu rinvenuto il viso di pietra, la donna non era più a Biccari e non fu mai catturata. Quel volto di pietra, successivamente, fu posto lì, dove lo vediamo ora, dal suo amico».
«E quindi non era una superzione…».
«Superstizione» lo corresse il nonno.
«Sì, superstizione. È davvero accaduto allora!» esclamò Diego.
«Forse…» e, carezzandoli entrambi dolcemente, l’uomo si alzò e s’incamminò sorridente verso casa seguito dai due nipotini.

(pubblicato nell’antologia “Leggende, Miti ed altre storie” – Montegrappa Edizioni, 2019)

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