«Dunque siamo d’accordo?».
«Sì».
«Tu ci consegni quell’impostore e noi ti diamo il denaro pattuito».
«Sì, ho capito» rispose quasi spazientito l’uomo che si chiamava Giuda Iscariota mentre, nervosamente, grattava l’ispida barba che occultava in parte la superficie butterata caratteristica di quel viso spigoloso e olivastro.
Di fronte a lui, seduti sugli scranni lapidei del grande tempio, il gruppo ristretto di sacerdoti confabulava. Al centro, silente, il kohèn gadòl, il sommo sacerdote, ascoltava e annuiva con un impercettibile movimento del capo.
«Com’è che si fa chiamare?» chiese uno dei religiosi dalla barba grigiastra a punta e il volto asciutto.
«Il Figlio di Dio», rispose quello alla sua destra.
«Mai sentite parole più blasfeme», disse inorridito il primo, mentre con una mano afferrava la sua cintura di lino bianco ritorto, che teneva salda la tunica sulla sottoveste, e con l’altra si toccava il migbahat, il turbante a cono.
Giuda, coperto solo da una logora tunica verde cinabro, li osservava, sperando in una imminente conclusione di quella assemblea straordinaria e riservata.
«Tu, Giuda Iscariota, avvicinati» proferì d’un tratto l’unico uomo ad indossare l’avnet, una cintura ricamata in blu, porpora e scarlatto, il mitznefet, un turbante largo e dalla cima piatta, la tonaca dell’efod, una tonaca blu senza maniche ornata da piccoli campanelli d’oro e nappe a forma di melograno, l’efod, una veste ricamata artisticamente con i nomi delle dodici tribù di Israele incisi sulle spalline di onice intagliate, e l’hoshen, il pettorale sacerdotale con dodici gemme, una per ogni tribù. Il sommo sacerdote.
L’apostolo fece qualche passo verso di lui, lentamente e a capo chino.
«Sei consapevole dell’importanza del tuo incarico?».
Giuda alzò la testa ed annuì.
Il sommo sacerdote lo fissò negli occhi, magnetico, per alcuni secondi.
«Ora puoi andare».
«Fratelli, è tutto confermato. Domani sera, dopo la celebrazione della Pasqua, Gesù verrà catturato. Poi faranno di tutto per condannarlo a morte».
Dopo l’incontro con i sacerdoti, Giuda aveva raggiunto gli altri apostoli. Il luogo d’incontro, un’abitazione privata appartenente ad uno dei molti simpatizzanti di quello strano predicatore e della sua combriccola, era stato scelto con cura: anonimo, con un ambiente utile a contenere dodici persone e situato in una delle aree più povere di Gerusalemme.
Gli altri undici “inviati” scambiarono sguardi perplessi e preoccupati. Abbigliati con lunghe vesti consunte e dai colori smorti, con barbe lunghe a coprire parte del viso, distinguerne le singole personalità, per un occhio esterno, sarebbe stata cosa ardua.
«Dove verrà catturato?» chiese Pietro. La folta barba grigia, il volto rugoso e l’incipiente calvizie che aveva colpito oltre metà della sua calotta cranica, erano i tratti distintivi del vecchio pescatore.
«Nel luogo in cui andremo a pregare. Sarò io a condurli lì e con un bacio sulla guancia gli indicherò chi è Gesù».
«Perché un bacio?».
«Non lo so».
Improvvisamente un fitto brusio s’impadronì della stanza, piccoli gruppi di due-tre apostoli ragionavano ad alta voce, senza trattenere le emozioni, in cerca della soluzione per evitare l’arresto. Il brusio divenne ben presto fragore.
«Sarò io Gesù!» urlò d’un tratto Pietro e una quiete irreale calò nell’ambiente.
«Cosa?» chiese incredulo Tommaso.
«No, non possiamo permettere che ti arrestino e ti ammazzino. Gesù non ce lo perdonerebbe mai» disse Giuda Iscariota.
«E cosa proponi? Tutti voi, cosa proponete?».
«Non andiamo a pregare, nascondiamoci per un po’» replicò Filippo.
«E lo spieghi tu il motivo a Gesù?».
L’apostolo non rispose.
«È deciso allora, io sarò Gesù».
«In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà».
La celebrazione della Pasqua era in pieno svolgimento quando le parole pronunciate da Gesù squassarono l’atmosfera.
Molti dei discepoli abbassarono il capo, altri cercarono nello sguardo dei compagni vicini un appiglio per sfuggire alla situazione.
«Sono forse io, Signore?» chiese poi, con voce tremante, Andrea.
«Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!» rispose Gesù.
«Rabbì, sono forse io?» chiese allora Giuda.
«Tu l’hai detto».
Alla risposta l’apostolo si alzò di scatto e abbandonò i suoi fratelli.
«Sedetevi qui, mentre io vado a pregare».
Dopo aver ultimato la cena, il gruppo di uomini andò al di là del torrente Cedron, in un giardino chiamato Getsèmani, per proseguire la Pasqua con la preghiera. Gesù si staccò dai suoi discepoli per rivolgere a Dio la sua orazione.
«Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!» disse prostrando il viso sul terreno.
Terminata la preghiera tornò dai suoi discepoli trovandoli addormentati.
«Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me? Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole» disse Gesù mentre un rumorio crescente s’avvicinava diventando sempre più distinto.
«Cosa succede?» chiese d’un tratto Tommaso alla vista di un drappello di uomini con spade e bastoni che sbucava tra gli ulivi. Alla loro guida Giuda.
«Lascia parlare me» disse sottovoce Pietro a Gesù dopo averlo affiancato.
I due gruppi erano a pochi metri di distanza l’uno dall’altro, immobili, e una quiete irreale aveva avviluppato il luogo.
«Salve, Rabbì». Furono le parole di Giuda Iscariota a squarciare quel velo. Poi l’uomo fece due passi verso Pietro e lo baciò su una guancia.
«Quindi sei tu Gesù, quello che si fa chiamare il Figlio di Dio?» domandò uno degli armati a Pietro.
«Sì, sono io» rispose imperturbabile.
«No, non è vero. Sono io Gesù» s’intromise il vero proprietario di tale nome.
Spiazzati, gli uomini che affrontavano il gruppo senza armi diedero il via ad un denso parlottio.
«Sono io Gesù» disse allora Giacomo il Maggiore.
«Sono io Gesù» proferì a sua volta Bartolomeo, seguito a ruota da tutti gli altri discepoli tra lo stupore generale.
«Silenzio!» sbraitò un giovane dal fisico ben piazzato che brandiva una rilucente spada.
Tutti misero un freno alla propria lingua.
«Finiamola con questa sceneggiata, consegnateci Gesù e nessuno si farà male. Chi è dunque Gesù?» chiese lo stesso rivolto a Giuda.
«L’uomo che ho baciato» rispose serafico.
In due allora si avvicinarono a Pietro, lo afferrarono per le braccia e lo portarono via, senza incontrare una minima resistenza da parte dell’uomo e dei suoi compagni.
Gesù osservò incredulo la scena mentre Giovanni, dopo averlo affiancato, gli sussurrò: «Non dire nulla».
«Fratello, dov’è Gesù?».
«Al Getsèmani».
Erano trascorsi alcuni giorni dall’arresto di Pietro. Dopo esser stato condannato, il discepolo era stato crocifisso.
Gesù aveva trascorso tutti quei momenti in quel giardino, da solo, in preghiera, senza provvedere al minimo sostegno per il suo corpo, mentre i suoi discepoli avevano cercato riparo in case sicure.
Giuda aveva preferito lasciare la città ed ora, sopraffatto da una pena insostenibile, sentiva di dover parlare con il suo maestro.
«Maestro, scusa se ti ho tradito. Ho dovuto farlo».
Dopo averlo raggiunto, lo trovò nello stesso punto in cui l’aveva abbandonato quella sera. Inginocchiato, il volto abbassato sfiorava il suolo, nessun segno di sofferenza, almeno esteriore.
Gesù alzò il capo e lo fissò negli occhi. Poi sorrise e disse semplicemente: «Non sei tu il traditore».
«Non capisco» rispose disorientato Giuda.
«Chi ha preso il posto del Figlio di Dio evitando che si compisse il suo volere, è lui il traditore».
(pubblicato nell’antologia “Andiamo in Ucronia – II edizione” – Montegrappa Edizioni, 2019)
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