Camera Chiara (2013)
Autoproduzione
Una delle piacevoli sorprese del 2013 arriva dal salernitano. Stiamo parlando dei Camera Chiara e del loro album d’esordio omonimo.
Sono Francesco Lembo (tastiere), Antonio Pappacoda (batteria), Danilo Lupi (basso) e Vincenzo Manzi (chitarra) gli artefici di questo notevole lavoro strumentale caratterizzato da situazioni dinamiche ed articolate, frammiste a frangenti più delicati e melodici e a spruzzate di pischedelia. Ottime le individualità capaci non solo di mostrare le proprie elevate potenzialità (che emergono anche grazie all’eccellente lavoro svolto in studio), ma anche di creare trame “collettive” interessanti e coinvolgenti. Una musica d’atmosfera da ascoltare tutta d’un fiato. Ogni brano sembra emergere dalle pagine dei libri e dei quaderni e dalle foto disseminate sulla copertina dell’album, non come singoli ricordi slegati tra loro, ma come molteplici esperienze di un unico viaggio.
I Camera Chiara ci accolgono con “Tufa Domes, Pyramid Lake”, avvolgendoci in una soffice coperta intrisa di forti richiami ai Pink Floyd e allo space teutonico (Tangerine Dream, per intenderci). Siete comodi? Lo spettacolo può cominciare!
Con Chiaroscuri si cambia registro. Già dal pulsare del basso di Lupi dei primi secondi si capisce che il brano sarà un gran bel viaggio. Il titolo rivela il duplice cammino fatto di frammenti spinti, ricchi di intrecci e cavalcate sonore, con chitarre aggressive (ma non solo) e assoli “ad alto tasso tecnico”, una batteria secca, precisa e trascinatrice, tastiere sempre capaci di variare l’atmosfera e il basso come importante punto di riferimento nelle retrovie, alternati a lunghi momenti “rilassanti”, dove i suoni diluiti sono gli assoluti protagonisti, capaci di disegnare un paesaggio onirico e affascinante. Ascoltando il brano con gli occhi chiusi, nella nostra mente scorrono frammenti dei Malibran che si incrociano con i Pink Floyd, poi, dietro l’angolo appare qualcosa di Steven Wilson o degli Areknames che successivamente lascia il posto a “scherzi orientalizzanti”, ovunque, però, è nitido il tocco personale del quartetto. Undici minuti ricchi e cangianti che dimostrano l’elevato potenziale dei Camera Chiara. Di sicuro uno dei punti più alti dell’album.
La breve Maschere cadute mostra ancora una volta l’abilità di Manzi alle chitarre e il suo tocco rapido, in contrasto con la morbidezza e l’intensità dei suoni di Lembo alle tastiere. Bene anche la sezione ritmica.
Nel tuo mondo. Affascinante il flusso sonoro che cresce col trascorrere dei secondi. Dall’avvio malinconico, caratterizzato dai suoni delicati di chitarra e tastiera, all’apporto di brio di batteria e basso che “pungola” Manzi, mentre Lembo resta “custode” di dolcezza, sino a giungere al momento “cattivo”, in cui subentrano distorsioni e passi marziali, e la seguente apertura con assolo annesso. Tutto è ben costruito tenendo alta la concentrazione in chi ascolta.
In Danzano le memorie è Lembo l’assoluto protagonista. Il suo piano, soave ed emozionante, culla la nostra mente spingendosi in territori classici con maestria. Una breve “pausa” lungo il percorso.
Si ricomincia a correre con In un gioco di specchi. Dopo un’introduzione moderata, dal sentore lontanamente floydiano, l’atmosfera si fa più “spigolosa” grazie alle intricate trame di chitarra e tastiere e alle corpose ritmiche. Non è tutto, interessanti variazioni umorali si susseguono sino al termine del brano. Da sottolineare l’energia espressa da Pappacoda alla batteria e il lungo solo, un po’ alla Alex Lifeson, di Manzi.
Altra prova di livello è Come il bianco col nero. Dall’avvio lievemente psichedelico ai dialoghi serrati tra chitarra e tastiera (con basso e batteria a creare un fondo che ben s’incastra), dai momenti che combinano frammenti seventies a soluzioni contemporanee alle svolte repentine e camaleontiche: ciò che emerge è sempre un’ottima coesione sonora, il completo sviluppo di un’idea nata già con basi solide. Un plauso ai quattro musicisti.
Col brano finale Il Nuovo e il Vecchio Giorno, i Camera Chiara diventano ancor più aggressivi (fatto salvo l’intermezzo).Grande protagonista, ma primus inter pares, il mutevole Lembo, capace di svariare dall’elettronica “ruvida” alla Goblin alle note dolci e sognanti con disinvoltura. Con lui troviamo Manzi che vola tra riffoni e assoli tendenti decisamente alle sonorità prog metal, il veemente Lupi al basso e il trascinante Pappacoda alla batteria.
Davvero un ottimo esordio. Avanti così!
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