Caosfera (2017)
Electromantic Music
Caosfera nasce da un cambiamento.
Con queste semplici parole i CantinaSociale introducono il nuovo album. Questo cambiamento importante ha coinvolto la formazione della band: dopo i primi due album (a nome Cantina Sociale), il cantante Iano Nicolò, il bassista Gianni Grasso e la sassofonista Carla Viarengo hanno deciso di percorrere altre strade. I “superstiti” Elio Sesia (chitarre), Marina Gentile (chitarre) e Rosalba Gentile (piano, tastiere), di fronte al bivio del lasciare o continuare, hanno saggiamente optato per la seconda soluzione incontrando sulla loro via Massimiliano Monteleone (percussioni), Lucas Onesti (basso) e Filippo Piccinetti (basso nel brano Caosfera e oggi elemento stabile della band).
Un secondo considerevole cambiamento lo subisce il prodotto vero e proprio dei CantinaSociale: con Caosfera si passa ai brani strumentali. Una trasformazione che di certo non danneggia i nostri, tutt’altro. La ricerca sonora che aveva contraddistinto i primi lavori vede nel nuovo album il raggiungimento di un nuovo step qualitativo. Pur navigando in mari progressive rock (elemento insito nel Dna del progetto), i CantinaSociale virano con decisione anche verso lidi post-rock (e non solo), tutti elementi sapientemente centellinati e personalizzati lungo il percorso di Caosfera. I CantinaSociale riescono pienamente nell’intento di rendere protagonista il discorso musicale grazie anche alla presenza di Davide Calabrese alla batteria, Christian Saggese alla chitarra acustica nel brano Verso sera e alla supervisione artistica di Beppe Crovella.
E se la cover dell’album, con la maschera bianca distesa su un acciottolato risulta piuttosto enigmatica, il libretto del cd presenta al suo interno una straordinaria serie di spartiti immaginari creati da Antonio Catalano che donano, grazie alle frasi introduttive (riportate parzialmente in ogni brano della nostra analisi) e ai fantasiosi disegni, una chiave di lettura simpatica e intelligente dei sette episodi.
Si parte con Graffiti (da suonare come se fossi in una grotta…) e la sua atmosfera iniziale quasi ascetica. Ben presto, però, il sound si fa corposo e prendono il sopravvento notevoli asperità crimsoniane guidate dalle scudisciate di chitarra e da un ottimo lavoro delle ritmiche (Onesti al basso svolge un lavoro encomiabile). Lasciando come punto fermo una certa tensione di fondo, ecco che il piano scuro di Rosalba Gentile frena per un attimo (e poi ancora poco oltre) il flusso corposo che riprende poco più avanti con determinazione, volgendo verso territori sempre più dark.
La sensazione di ritrovarsi sospesi in uno spazio senza confini che si vive nella prima parte di Temporali nascosti (suonare con malinconia…) richiama alla mente, grazie all’arpeggio ipnotico e molto descrittivo e agli inserti elettronici, il brano “Metamorfosi” di Juri Camisasca (album “La finestra dentro”), con la chitarra che prende il posto delle percussioni di Lino “Capra” Vaccina. Col trascorrere dei secondi, poi, sembra giungere sulla scena Franco Battiato con il suo synth VCS3. E l’anima di Vaccina riemerge più in là con le percussioni di Monteleone, prima che il brano viri verso sonorità molto più dure e scandinave, lasciandosi poi andare a continue evoluzioni legate da un sottile filo nero. Una curiosità: il brano è il “sonoro” del cortometraggio muto “Temporali Nascosti” dell’autore regista Livio Musso.
Dune (da suonare alzando e abbassando le spalle a ritmo…). Dopo aver trascorso un paio di minuti avviluppati da una dilatata atmosfera floydiana (e sinistra), si svolta con un crescendo collettivo che va a sbattere poi contro un muro granitico fatto di riffoni, ritmiche toste ed elettronica spinta. È una progressiva “aggressione sonora”, ricca di tensione e che non lascia respiro quella che si vive durante il prosieguo del brano: spire nere che immobilizzano l’ascoltatore lasciandogli solo lo spazio di “ripresa” sul finire.
Con Scrupolosamente arioso (da suonare respirando lungamente…) i CantinaSociale cambiano decisamente rotta. Atmosfere malinconiche e altamente descrittive sono le protagoniste dell’episodio e riportano alla mente lo stile più poetico di Steven Wilson, quello di brani come “The Raven That Refused To Sing” (in “The Raven That Refused To Sing (And Other Stories)”) o “Routine” (in “Hand. Cannot. Erase.”). È il soffice piano della Gentile a indicare il percorso con chitarre, basso e batteria che hanno il compito di ricamare dolci e particolareggiate trame. Gli sporadici interventi distorti e “dissonanti” che s’incontrano lungo il percorso (anche in questo caso torna la mano wilsoniana) non mutano il quadro di fondo.
Seppur relativamente breve, Pietre (da suonare con l’anima pesante…) nasconde una dualità esecutiva che viene espressa con la solita maestria dai CantinaSociale. Dai vigorosi passaggi in cui la coppia ritmica imprime tempi piuttosto serrati alle distorsioni e alle tastiere che, comunque, tengono molto bene il passo, ai frangenti moderatamente più rilassati, tutto è ben orchestrato.
Con Caosfera (da suonare senza ritmo ma con il cuore…) ci si addentra, in parte, nell’anima post-rock della band (in realtà dei “messaggi”, come detto in apertura, sono stati già disseminati qui e là nei brani precedenti). I musicisti si muovono a proprio agio tra sonorità mai vacue, in cui ogni tassello è collocato con minuzia al posto giusto contribuendo alla creazione di un clima che si muove tra Godspeed You! Black Emperor e Mogwai. Ottimo il lavoro di cesello delle chitarre di Sesia e Marina Gentile, così come quello del basso di Piccinetti e di Rosalba Gentile con i numerosi volti assunti delle sue tastiere che sfociano nella tensione cinematografica creata ottimamente dal suo mellotron. E sul finire la deflagrazione: una cascata violenta di note dure si abbatte improvvisamente sull’ascoltatore spiazzandolo.
Si chiude con l’emozionante Verso sera (da suonare come un cuore che palpita…). È il toccante piano della Gentile a fungere da guida arricchito dalle corde dell’ospite Christian Saggese e da un flusso elettronico etereo che avvolge l’intera esecuzione. Il finale che non t’aspetti ma che certifica la qualità di un progetto che da vent’anni porta avanti con forza le proprie idee.
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