The Vagrant (2016)
Autoproduzione
Dopo il primo “assaggio” del 2015 con The Vagrant EP (First Steps), i Diraxy decidono di effettuare il balzo verso il “disco lungo”: ecco allora l’uscita, il 29 febbraio 2016, di The Vagrant. Dario Freddi (voce, chitarre, tastiere, piano, programmazione), Federica Manenti (voce), Anna Freddi (voce), Marco Le Grazie (chitarre), Andrea Arrotta (basso) e Paolo Ossoli (batteria) vanno così ad ampliare la narrazione anticipata dall’EP, plasmandola sotto forma di concept album.
Basato sull’influenza della casualità nella vita di tutti i giorni, e ispirato al film Waking Life, l’album narra la storia di un vagabondo (The Vagrant), un uomo comune che si sveglia per trovare sé stesso rivivendo il proprio passato. Credendo di vivere un sogno lucido in cui si può controllare il tempo, egli usa i suoi nuovi poteri per rendere migliore la sua vita e sbarazzarsi di tutti i suoi rimpianti del passato. Quando si rende conto che vive in una realtà alternativa e che tutte le sue azioni gli hanno voltato le spalle, si ritrova a confrontarsi con il processo di una vita. La storia si sviluppa tramite la narrazione incrociata di tre “entità” protagoniste: The Vagrant, The Lover e The Mentor.
Aggressività e melodia: il connubio ben orchestrato di queste due “essenze” è la caratteristica principe di un album in cui l’interessante fusione tra prog metal, djent e atmosfere acustiche, attraverso un percorso ideale che vede l’incontro tra Opeth, The Contortionist, Soen e RPWL, emerge ottimamente. Stimolante è anche l’uso “intrecciato” delle tre voci che rendono al meglio stati d’animo e caratteristiche dei tre protagonisti all’interno dei tre atti del concept.
Particolare ed impenetrabile la cover realizzata da Davide Gucciardi con il palazzo di vetro monopolizzatore della scena che sembra quasi svanire sul lato destro, così come le foto del libretto realizzate da Riccardo “Trudi” Diotallevi, con i membri della band avvolti da paesaggi “illeggibili”, e la doppia lettura cromatica dell’immagine di copertina “ampliata”.
Prologue – A new Reality si apre con una nenia ipnotica in cui l’angelica voce di The Lover si fonde con un arpeggio circolare e i tocchi quasi sussurrati della tastiera. Il lieve flusso conduce alle stratificazioni vocali cui partecipano contemporaneamente i tre protagonisti vocali, prima di svoltare repentinamente con le sferzate delle due chitarre e l’ingresso della compatta sezione ritmica. E nelle parole compaiono i primi segni di qualcosa che sta per cambiare la vita del vagabondo.
Act I – A Twist Of Fate. Nel terzetto di brani che formano il primo atto si esplora la trasformazione del personaggio principale, il quale passa dal torpore in cui era caduto ad essere schiavo della propria superbia.
Come accaduto nel brano d’apertura, anche Scene I, Regression è introdotto da un arpeggio che si intensifica ben presto con l’ingresso della seconda chitarra. Su di loro la sofferente e intensa voce di Dario Freddi offre il suo “strumento” all’apatica vita del vagabondo, mentre le due voci femminili instillano i primi dubbi nella sua mente invitandolo a reagire: [M]: You look confused / but I know a way you can go through / all you need is the courage / to leave all of your fears behind […] / [V] Wher do I start? / Is this brand-new life? / [M] Here’s a pill / [M,L] Try the pill […] / [V] Obsessions, regrets / I’ll change the past […]. Nel complesso il tracciato sonoro scorre quietamente, con sporadici picchi e frammenti più densi e melodiosi, con le sovrapposizioni delle tre voci che rendono il tutto più attraente.
Episodio particolare, vista la caratteristica principale una sorta di unicum nell’album, Scene II, Reflections. È l’elettronica scura alla Nine Inch Nails creata dalle mani di Dario Freddi a sorreggere l’intero brano, con il canto dell’“amante” e della “guida” e la chitarra finale a donare ulteriori colori.
Un nuovo stato d’animo si palesa con l’avvio di Scene III, The Rise, dove l’armonioso piano si combina perfettamente con l’intensa vocalità di Dario. Sarà The Lover a dare la scossa poco oltre chiamando in scena le caustiche bordate di Le Grazie. Le due voci femminili, in seguito, si alternano a quella maschile tra saliscendi sonori aggressivi ed acustici, in un vero e proprio scontro verbale tra i tre protagonisti.
Act II – Action And Reaction. Nel secondo atto si evidenzia il confronto e il conflitto tra i tre protagonisti.
Scene I, Sleepwalker si muove su una sinusoide sonora fatta di “ascese abrasive” e “cadute morbide” e, nelle parole di Dario Freddi, emerge tutto lo smarrimento del protagonista ([…] Lost inside this place I used to call my home / My mind flis by, lost in a dream, / or lost in what’s real? […]) mentre l’amante lo invita alla riflessione. Sul finire, in quello che è una sorta di sotto capitolo (Interlude, Conjunciton) uno spesso velo di dolcezza avvolge il tutto creando quasi una ninna nanna, con i tre personaggi che rivolgono le loro “preghiere” alla notte.
E sono ancora la chitarra acustica (che prosegue il suo percorso dal brano precedente) e la voce di Dario Freddi ad accoglierci in Scene II, Conjunction/Collision, prima che Ossoli dia inizio alla sua marcia guidando il gruppo alla deflagrazione tooliana successiva: un muro compatto e devastante cui partecipano tutti gli effettivi. Ma, nonostante la “cattiveria” di fondo, le voci di Federica ed Anna riescono comunque a rendere alcuni passaggi davvero suggestivi e melodiosi. E non finisce qui perché in seguito tutto si fa ancora più articolato, prima di “tornare alla base”. E nelle parole, le due protagoniste lasciano emergere tutti i “difetti” del vagabondo, il quale cerca a fatica di controbattere. Grande episodio.
Con Scene III, The Fall si parte forte: le ritmiche battenti, le distorsioni massicce e le tastiere ruvide mettono subito in chiaro le cose, anche se l’anima acustica riuscirà a ritagliarsi i suoi spazi, mentre le voci si incontrano e scontrano ottimamente. E quando la seconda anima della chitarra sembra poter avere la meglio su tutti, con l’aiuto della “guida”, l’urlo alla The Berzerker di Dario Freddi fa ripiombare tutto nel “caos”, lasciando riemergere pienamente l’anima prog metal dei Diraxy, prima del finale alienante. The Vagrant, intanto, riflette sui suoi fallimenti e si chiede se mai riuscirà a trovare una via d’uscita da questa situazione avversa.
Act III – Beyond This World. Nell’atto conclusivo The Vagrant cerca di rielaborare i fatti accaduti.
Torna a “splendere il sole” con Scene I, A Vagrant in Time dove il lieve intreccio di piano e basso culla il romantico canto di Dario. Il suo personaggio sembra fare un “passo indietro” e chiedere scusa all’“amante” per gli errori commessi: la risposta non è di certo positiva. A seguire le ritmiche e la chitarra distorta introducono un tassello più “rumoroso”, mentre le voci si alternano sulla scena, ma l’indole del brano non muta, anche con l’ispessirsi delle distorsioni, sino a quando Arrotta “dà di matto” e il brano, per un frangente, assume una fisionomia antitetica alla precedente, con sentori jazzati.
L’anima ballad dei Diraxy emerge interamente con Scene II, Fading From Reality. Andatura moderata, suoni “docili” (eccezion fatta per gli interventi distorti, comunque non sempre invasivi), voci vellutate: tutto concorre a rendere “tenero” questo sottocapitolo. E quando ormai The Vagrant sembra essere destinato alla rassegnazione (Once you feel you’re arrived somewhere / then you realise way’s still long, / road is up again), le due figure femminili lo invitano a guardarsi intorno perché qualcosa sta cambiando (Your world’s fading away).
Sulla scia del brano precedente, con le voci a fungere da “guida”, si muove per buona parte del suo percorso anche Scene III, The Demiurge. Solo in qualche punto il duo Ossoli/Arrotta, ben supportato dalle distorsioni, calca sull’acceleratore. Ed è qui che il vagabondo comprende che forse qualcosa di “superiore” l’ha guidato per tutto questo tempo attraverso un sentiero sbagliato. L’illuminazione arriva dalle parole delle due protagoniste femminili: What you see / is reality. This world is a / projection of my will, / a shadow on the wall. E, dopo questa rivelazione che si ispira al Mito della caverna di Platone, The Vagrant è invitato ad unirsi a The Lover e The Mentor per “creare un nuovo mondo”.
Il cerchio si chiude con la melliflua Epilogue – A new Reality?, in cui la voce sussurrata di Dario Freddi è adagiata sulle delicate note di chitarra e tastiere, mentre in sottofondo si scorgono frammenti del brano d’apertura. Il “?” del titolo lascia irrisolti i dubbi del vagabondo: è un sogno, è realtà o Maybe it’s just another day…?
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