Electric silence (1974)
Bacillus Records
L’ultimo album dei tedeschi Dzyan vede all’opera ancora il trio formatosi in occasione del precedente album (Time Machine), ossia Reinhard Karwatky (basso elettrico, contrabbasso, mellotron, synth), Peter Giger (batteria, percussioni) Eddy Marron (chitarra, sitar, zaz, tambura, mellotron, voce).
Electric silence continua il discorso iniziato con Time Machine accentuando maggiormente l’elemento improvvisazione. L’opera è un concentrato di elementi etnici e krautrock, soprattutto il primo elemento è ben sviluppato in buona parte dei brani, con Marron che si destreggia egregiamente tra un sitar e uno zaz. Importante anche la prova al contrabbasso di Karwatky. il sound finale dell’opera è un mix tra Agitation Free, Gila, Popol Vuh, Between e una forte spruzzata di Aktuala.
Degna di nota è la visionaria copertina dell’album realizzata dall’artista tedesco Helmut Wenske.
L’intro di marimba realizzato da Giger in Back to where we come dona un tocco di esotico e meditativo al brano. I suoni tipicamente krauti in sottofondo non minano affatto questa sensazione. Poi la batteria inizia i suoi vaneggiamenti improvvisativi, di volta in volta accompagnati dalla stessa marimba, da suoni elettronici cupi, dal basso e dalla chitarra. Soprattutto gli ultimi due si divertono a creare paesaggi molto free e psichedelici. Quasi a chiudere un cerchio, nel finale, torna il Giger d’apertura.
Con A day in my life siamo proiettati direttamente nel lontano oriente, nei paesaggi de “Le mille e una notte”. Gli intrecci di sitar e tambura, ben supportati dalle percussioni, sono molto suggestivi e ricordano i suoni degli Aktuala presenti nell’omonimo album. Sembra una sorta di percorso che accompagna l’ascoltatore in un viaggio autoriflessivo, sino a raggiungere l’estasi della parte centrale del brano dove i tre strumenti precedenti impazziscono e, inoltre, subentra un suono elettronico a rendere ancor più confusionario lo stato d’animo. E dopo l’estasi c’è il rilassamento.
L’anima jam dell’album si avverte ancor di più in The road not taken. Sono Marron e Karwatky, rispettivamente con chitarra e contrabbasso, a creare scenari privi di struttura, molto cupi e dilatati (un po’ alla Annexus Quam di Osmose). Negli ultimi minuti subentra anche Giger con la batteria a rendere maggiormente aggrovigliato il brano.
Khali ci riporta in oriente con il suo sitar, mentre il mellotron crea un sottofondo etereo che ben si lega allo strumento esotico. Si resta sospesi per l’intera durata del brano, anche quando Marron interviene con la sua chitarra (quasi ad imitare il sitar) e Giger pennella lievi battiti percussivi.
Piuttosto complessa è For earthly thinking. L’avvio con i leggeri tocchetti di Giger e il mellotron crea i presupposti per un nuovo viaggio verso est. Questa volta è lo zaz di Marron ad aprirci quei mondi prima di giungere al segmento confuso centrale in cui sembra di sentire il piano preparato di Fariselli in Antropofagia accompagnato dal contrabbasso. Quest’ultimo prende sempre più consistenza col passare dei secondi e l’atmosfera da piano preparato svanisce sotto i nostri occhi sostituita dai colpi isterici di chitarra. Non è tutto: poco dopo Giger ci offre anche un assolo di batteria e percussioni. È un crescendo tribale che porta all’esplosione finale dove il contrabbasso si esalta e chitarra e batteria farneticano.
Electric silence. Il brano che dà il titolo all’album, e lo chiude, è quello più “ortodosso”. La struttura è molto vicina ad un’esecuzione free jazz relativamente blanda, con il contrabbasso di Karwatky che fa la voce grossa, la batteria di Giger che cerca di tenere a freno i bpm del brano e la chitarra di Marron che riempie l’atmosfera con graziosi preziosismi.
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