Elevator Man (2017)
RareNoiseRecords
Dopo “Frequent Flyer” (2011) e “KOI” (2015), inframezzati dalle proficue collaborazioni con Naked Truth, Berserk!, Twinscapes e Mumpbeak, Lorenzo Feliciati, bassista dalle doti indiscutibili, è tornato nel 2017 con il suo terzo album solista: Elevator Man.
Forte di una schiera di collaboratori che farebbe invidia a molti, in questo nuovo lavoro, Feliciati e il suo basso, anzi, i suoi bassi (fretted, fretless e moog, oltre a suonare, in alcuni casi, anche tastiere e chitarra elettrica), intraprendono un viaggio che, partendo dai personali punti di riferimento del musicista (Jaco Pastorius, Pino Palladino, Jeff Berlin e altri maghi dello strumento) si spingono con forza nelle lande del jazz rock, del prog e della sperimentazione. Il basso, giocoforza, è onnipresente ma Feliciati evita di autoincensarsi inserendo il suo strumento in un discorso sempre articolato e corale che trova, spesso e volentieri, nella batteria e nei fiati i compagni perfetti.
Ed eccoli i musicisti che hanno condiviso l’esperienza Elevator Man (in ordine di apparizione): Roberto Gualdi (batteria), Stan Adams (trombone, arrangiamento sezione corni), Pierluigi Bastioli (trombone basso), Duilio Ingrosso (sax baritono), Roy Powell (Hohner Clavinet), Chad Wackerman (batteria), Cuong Vu (tromba), Alessandro Gwis (piano acustico), Pat Mastelotto (batteria), Sandro Satta (sax alto), Claudio Corvini (tromba), Gianni Di Renzo (batteria), Antonio Jasevoli (chitarra elettrica), Davide Savarese (batteria), Davide Pettirossi (batteria), DJ Skizo (turntables & rhythm design), Mattias IA Eklundh (chitarra elettrica), Luca Giacobbe (vibrafono), Armando Croce (batteria), Marco Sfogli (chitarra elettrica), Aidan Zammit (tastiere) e Gianluca Plamieri (batteria).
Elevator Man prende il via con la title track e, dopo una partenza vivace e solare che strizza l’occhio al Battisti di “Nessun dolore”, il brano prende il largo acquistando una notevole tensione crimsoniana, grazie al superbo lavoro scuro dei fiati di Adams, Bastioli e Ingrosso, più volte spezzata. Grande la prova della sezione ritmica Feliciati/Gualdi.
Tanto jazz rock e tantissima libertà esecutiva in The Brick, brano in cui la follia zappiana s’incontra e si scontra con ottime soluzioni canterburyane e, se nelle retrovie il basso di Feliciati e la batteria di Chad Wackerman creano “grovigli” sonori inestricabili, Roy Powell, con il suo Hohner Clavinet, e il trio Adams, Bastioli e Ingrosso, rispettivamente con trombone, trombone basso e sax baritono, descrivono rotte incalcolabili.
Le prime battute di 14 Stones, con la tromba di Cuong Vu che si fa strada tra “interferenze sonore”, creano la giusta atmosfera cinematografica, con spiragli alla Aktuala, che viene a svilupparsi nei minuti seguenti, tra ritmiche compassate (c’è anche Pat Mastellotto), ottoni pachidermici e piano visionario (suonato da Alessandro Gwis). Gli stessi attori mutano, in parte, la propria pelle poco oltre, prima di “adagiarsi” per poi ripartire con ritrovata forza.
Quieta arriva Black Book, Red Letter. É il dialogo malinconico tra il sax alto di Satta e la tromba di Corvini il protagonista indiscusso dell’episodio che, grazie anche al lavoro sporco fatto nelle retrovie dalla batteria di Di Rienzo e dal basso effettato di Feliciati, vola placido sulle onde di un morbido jazz.
Un tocco new wave caratterizza il rapido avvio di Three Women. Poi il clima si fa più scuro e denso e si è catapultati in un gorgo di note in cui basso, batteria e fiati fanno di tutto per non concedere appigli. É un brano camaleontico e lo si nota ancora proseguendo nell’ascolto, quando tutto sembra riappacificarsi lanciando l’assolo della chitarra di Jasevoli che si scontra con il combattivo Feliciati.
Impetuoso l’avvio jazz rock di Unchained Houdini con la gragnuola di colpi di Pettirossi utile nello spianare la strada a Feliciati che poggia le sue mani su basso, chitarra elettrica e tastiere (tutto un po’ Il Baricentro e un po’ Apoteosi). Il clima si fa sempre più denso e pesante con il trascorrere dei secondi (gli interpreti dell’intero episodio restano sempre e solo in due). C’è anche il tempo di una “sosta” che anticipa il corposo finale.
Svolta elettronica per The Third Door, grazie ad una selva di suoni scuri che si muove tra Nine Inch Nails e Depeche Mode. Un flusso avviluppante e ipnotico inaspettato frutto del lavoro di Feliciati e DJ Skizo.
S.O.S.. É “lotta” tra il basso di Feliciati e la batteria di Croce, con il “risultato sempre in bilico”. E, mentre i due non si risparmiamo colpi, le tastiere del padrone di casa e il vibrafono di Luca Giacobbe ammantano la contesa con spessi veli dalle tonalità corvine, prima dell’assolo rockeggiante di Mattias IA Eklundh.
Si riprende a viaggiare su binari molto free con Thief like Me. Ancora una volta le ritmiche giganteggiano (alla batteria, in questo caso, troviamo Gianluca Plamieri), con Lorenzo Feliciati sempre più Jaco Pastorius, mentre in superficie le tastiere di Aidan Zammit hanno il compito di armonizzare il tutto. Nella seconda metà del brano sale in cattedra Marco Sfogli con un ispirato assolo alla Petrucci.
Si chiude con la vacua ed inquieta U Turn in Falmouth. Una sequenza di suoni e colpi sporadici e sghembi (partecipano solo Feliciati, con basso, chitarra elettrica e tastiere, e la batteria di Davide Savarese), che si susseguono e s’intersecano creando una cappa fuligginosa.
Un’opera che sorprende.
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