Le Moire (2013)
SPQR
S’intitola Le Moire l’ultimo lavoro dei lucano-emiliani Hautville. L’opera, ispirata al mito greco delle Moire, le dee del destino, vede Leonardo (chitarra folk ed elettrica), Francesco (organo e tastiere), Simona (voce) e Paolo (batteria e basso) destreggiarsi tra sentieri folkeggianti (non classici e “datati”), che rappresentano il fulcro del Mini CD, e ispirazioni progressive, testimoniate “sfacciatamente” dalla cover di Non mi rompete del Banco e dalla presenza straordinaria di Arturo Stàlteri (Pierrot Lunaire) al piano nei brani In Superficie e Caelum et Terra.
È la chitarra di Leonardo a tracciare la linea guida dell’opera e a fungere da elemento portante e “rassicurante” per l’affascinante voce di Simona, non lontana da quella di Jenny Sorrenti, le ritmiche non di rado sussurrate e le tastiere avviluppanti.
Il sound degli Hautville può essere inserito in quel filone neofolk piuttosto diffuso a livello internazionale (vedi Imbaru, Musk Ox, Raflum, solo per citarne alcuni), risultando particolarmente personale e ricco di sfumature. Una sorta di “oscurità luminosa” si scorge durante l’ascolto dell’album, una fusione di due elementi (o stati d’animo) all’apparenza contrastanti, ma che trova, nelle note degli Hautville, un punto d’incontro “pacifico”, il tutto arricchito da testi ad “alto tasso poetico” ben introdotti dall’aforisma (anonimo) presente nel digipack: La vita è incomprensibile: comprendere qualche cosa significa restare alla superficie.
Questa “discordia sonora-emotiva” si lega perfettamente al titolo dell’album. Le tre Moire, equiparabili alle Parche della mitologia romana e alle Norne della mitologia nordica, sono, come detto in apertura, le dee del destino umano: Cloto, la “filatrice” del filo della vita; Lachesi, la ‘fissatrice” della sorte umana, colei che avvolge il filo della vita intorno al fuso; Atropo, la “irremovibile” fatalità della morte, colei che recide la vita con le sue cesoie. L’ineluttabilità di una fine che “attende” l’uomo si percepisce nelle atmosfere malinconiche e “scure” che troviamo diffusamente nell’opera, ad esse, però, si contrappongono le aperture luminose che rappresentano la vita dell’uomo e che trovano nella cover del Banco la massima espressione.
L’album prende il via con Pro Salute Populi. Le prime note acustiche, velate di malinconia, fotografano un paesaggio che richiama alla mente alcuni dei “dipinti sonori” di Moltheni e fanno intendere quale sarà il cammino di questo lavoro. Poi le tastiere di Francesco lasciano intravedere alcuni spiragli di luce, prima di essere abbagliati dalla celestiale voce di Simona. Tutto molto sognante, grazie anche al tappeto etereo su cui si distende la voce e al testo (Corre il tempo e sfuma ogni colore, come un lungo sogno / che si nutre di paure / non può allontanare questa eredità modesta: / nuovi santi a consolare una ragione persa / Muore il giorno e il fuoco ci consuma, nel buio della sera / c’è una Vita Nuova, una vita vera […]). Ugualmente interessanti le costruzioni chitarristiche di Leonardo.
La prima parte di In Superficie ci mostra il lato più “inquieto” degli Hautville. È il piano cupo di Arturo Stàlteri ad indicare la via con Simona, sempre più vicina a Jenny Sorrenti, che modula la sua lieve voce assecondando il compagno. Anche l’intervento distorto di Leonardo accentua le “nere” sensazioni. Il brano diventa leggermente più arioso con il successivo ingresso della chitarra acustica e il diverso “stato d’animo” di Stàlteri.
Caelum et Terra. Continua il viaggio onirico grazie ai sapienti e leggiadri intrecci sonori creati da chitarra acustica, tastiere, piano e ritmiche, tutti ottimamente dosati. Pausa per Simona.
Tempo di omaggi. Gli Hautville decidono di donare il proprio tocco ad uno dei brani più dolci e conosciuti del Banco del Mutuo Soccorso: Non mi rompete. Rivedere (o riascoltare) Di Giacomo in “versione femminile” è davvero emozionante poiché Simona riesce brillantemente a ricreare l’immagine poetica espressa dall’immenso Francesco. Grande anche la prova di Leonardo alla chitarra che segue piuttosto “filologicamente” la struttura originale. Non da meno Francesco alle tastiere e Paolo alle ritmiche, abili “rifinitori” del suggestivo quadro.
Le Moire. Il brano che dà il nome all’album, e lo chiude, si presenta nuovamente con un velo malinconico. Una ballata lenta, con Simona, sempre più magnetica e ispirata, che materializza un nuovo incantevole testo: Nella mia nuova dimora io non sprecherò né fogli di carta né inchiostro / Cancellerà l’aurora questa immagine di occhi sfuggenti e neve / Non riesco a credere che la menzogna sia la sola via per poter vivere / come se, impresentabile, in un vestibolo affollato diventasse vera / Il volto della Moira polverizzerà ogni fantasma d’amore / Un Cerchio Magico per scegliere una vita che sia meno lunga e fragile / Il corpo è un vincolo, una condanna a cui possiamo solo cedere e rinascere. Interessanti le varie soluzioni adottate dalla chitarra e il lavoro “emotivo” delle tastiere. Evocativi anche i cori della stessa Simona nella parte finale del brano.
Da ascoltare con gli occhi chiusi.
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