Hibagon and the Quest for the Creature Previously Known as Moughra the Guardian (2014)
Fumaio Records
“Anche in due si può far male”.
Concettualmente sulla scia degli “schizoidi” Ruins, ecco giungere il secondo lavoro dei bergamaschi Hibagon: Hibagon and the Quest for the Creature Previously Known as Moughra the Guardian.
Siamo di fronte ad un’opera dalle forti tinte sci-fi, suddivisa in 5 capitoli, che racconta le ultime gesta di Hibagon e i suoi viaggi attraverso la galassia alla ricerca della conoscenza rappresentata da Moughra. La presenza di titoli dei brani “infiniti”, che richiamano opere fantascientifiche del passato, lascia libero spazio alla fantasia dell’ascoltatore, anche grazie all’assenza di parti cantate, il quale può immaginare le varie avventure del protagonista lasciandosi trasportare dalle dure note offerte dal duo (si, perché come detto in apertura, di un duo stiamo parlando: Dowi, addetto alla chitarra e ai loops, e Jabo, suoi la batteria e il didgeridoo).
Un viaggio sonoro di circa diciotto minuti che sembra interminabile: ti trovi immerso in frangenti di “metallo pesante” che sfociano in attimi stoner o doom ma che possono intenerirsi (anche se forse questa è una parola “forte”) da un momento all’altro (ma solo per pochi istanti), e poi ti ritrovi, sempre di passaggio, in territori grunge (ma di quello “duro”, alla Alice in Chains per intenderci) e prog metal, con quel forte sentore di improvvisazione, sempre dietro l’angolo, che non guasta mai, tutto intriso da un’oscurità che si “tocca con mano”. Un percorso sonoro dunque impervio, fatto di ripide discese, ardue salite e sporadici appigli.
La musica degli Hibagon è diretta, massiccia e non lascia spazio a malintesi. Si assiste ad una lotta continua tra chitarra e batteria senza esclusione di colpi e da cui non emerge un vincitore ma una sorta di alleanza che “colpisce” chi ascolta.
Per capire fin da subito il contenuto dell’album basta uno sguardo alla cover: un cerbero a due teste che rappresenta esaurientemente la “violenza” del duo e che rivive nell’intero artwork visionario di Lorenzo Lupi.
L’EP ha inizio con Odyssey in a Maze of Premonitions / A stream of Lethal Pulses. Dopo una breve introduzione vocale (idea forse debitrice di “Disregard”, brano d’apertura dell’album “Dissimulate” dei The Berzerker) e uno scherzoso frammento di chitarra, ecco il primo vortice sonoro. Scariche di colpi infinite martellano le tempie, mentre la chitarra di Dowi è un interminabile graffio, raggiungendo territori che si muovono quasi tra Napalm Death e Fantômas.
Meno “opprimente” del brano precedente, ma comunque con un sound corposo, è Challenge of the Doppleganger / Omega Progeny. Dopo un avvio deciso, il brano rallenta un po’ mantenendo ad ogni modo la costante “anima dura” degli Hibagon, prima di accelerare nuovamente nel finale.
Altro “colpo tra capo e collo” è Strain of the Feathered Cyclozoid / The Embalmed Limbs. Il rapido inizio di chitarra è il preludio alla valanga sonora dei minuti seguenti: il duo non lascia attimi di respiro, se non per poco a metà brano.
Anche Escape to the Forbidden Pyramid / Beyond Lies the Wisdom ha una breve intro vocale, poi è un andamento alla Alice in Chains alternato a segmenti quasi ipnotici ad occupare la prima parte del brano. Alcuni frammenti più rapidi lasciano presagire cosa ci aspetta sul finire del brano dove Jabo diventa protagonista indiscusso, sulla scia degli insegnamenti di Tatsuya Yoshida.
Dopo tanto “picchiare” gli Hibagon prendono una piccola pausa nei primi secondi morbidi di The Seven Faces of Moughra / Lord of the Fourth Dimension, ma è solo illusione. Ben presto Dowi e Jabo riprendono la loro marcia aggressiva, prima con lo zigzagare di chitarra e poi con la sempre più nerboruta batteria. E dopo un altro “finto rilassamento” il duo butta in campo le ultime energie.
Energia allo stato puro. Album sconsigliato ai deboli di cuore!
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