Uragoe (2012)
Makigami Records
Nuova avventura discografica per gli Hikashu, sempre guidati dal fondatore Koichi Makigami (voce, corno, theremin e shakuhachi). Con lui troviamo collaboratori di “vecchia data” come Sakaide Masami al basso, Mita Freeman alla chitarra e Sato Masaharu alla batteria, e il nuovo arrivato Shimizu Kazuto (piano, synth e clarinetto basso).
Uragoe è un condensato di sperimentazione sonora e soluzioni avant-prog di alto livello. I quattro musicisti mettono le proprie abilità al servizio dei funambolismi vocali di Makigami, i quali riportano alla mente quelli di Tatsuya Yoshida dei Ruins. Nell’opera si avverte spesso l’anima live della band, quella folle e variopinta, con gli strumenti e la voce che diventano “bestie” indomabili.
Per la prima volta in un album degli Hikashu Makigami utilizza uno shakuhachi (flauto tradizionale giapponese), però, invece di utilizzarne uno tipico in bambù, l’artista ne suona uno in plastica.
L’album è stato registrato nel 2011 ma la sua pubblicazione è avvenuta nell’aprile del 2012 a causa del ritardo con cui l’artista Tabaimo ha realizzato e consegnato la cover (molto particolare e accattivante).
Fude o Fure, Kanata-Kun (Wave the Brush, Mr. Beyond). Il brano che apre l’album è molto vivace e nella prima parte (ripresa poi anche nel finale) la band mette sul piatto tutte le proprie abilità “regolari”, con begli intrecci di tastiere, chitarra e shakuhachi, ben sostenuti dalla batteria. Anche la voce si adatta ai colleghi prima di diventare una scheggia impazzita e trascinarli con sé in un profluvio di suoni inestricabili.
Chiisaku Ikizuku (Slightly Alive). Il primo dei brani in cui gli Hikashu lasciano totale spazio all’improvvisazione è un insieme minimalista di suoni realizzati “casualmente” con piano e chitarra (poi anche basso e batteria). Con loro troviamo la voce di Makigami (inizialmente una sorta di nenia) la quale si fonde ottimamente col sottofondo stravagante grazie alle sue bizzarrie vocali (giunge quasi fino ai gargarismi!).
La chitarra funky di Freeman è il filo rosso che lega l’intera Uragoe (Uragoe). L’andamento un po’ scanzonato dell’intero brano è reso alla grande dal canto beffardo di Makigami. Anche gli interventi di theremin dello stesso artista accentuano questo clima.
La breve Haraburi (The First Time in the Original) potrebbe essere tranquillamente un brano dei Ruins arricchito con piano e chitarra. Makigami, come Yoshida, lascia libero spazio ai propri deliri vocali, mentre Kazuto al piano improvvisa allegramente e Freeman “violenta” la propria chitarra.
Hitori Hokai (Collapsing by Oneself) viaggia su un doppio binario musicale. La batteria di Masaharu crea una base regolare, con colpi secchi e precisi e fugaci “fuoripista”, con lei anche il basso di Masumi si assume la responsabilità di dare una disciplina al brano. A “scombinare” i piani delle ritmiche e a creare il “secondo binario”ci pensano la solita voce irriverente, un theremin ipnotico e il piano in pieno furore sperimentale.
È Kazuto, con una lucida ed intensa esecuzione al piano, ad occupare buona parte di Sudeni Kokoni Nai (Gone Already). Con lui la camaleontica voce narrante di Makigami, la quale passa da suoni acuti a gravi in un batter di ciglia. Nei frangenti finali Kazuto perde la “lucidità” mostrata e si diverte a sperimentare e farneticare con chitarra e batteria.
Brano estraniante è Bintoru (Take a Bottle) con le stravaganze canore di Makigami ben combacianti con le stramberie di piano, batteria e basso.
Altro concentrato di sperimentazione/improvvisazione e delirio è Sokohaka (Faintly). Per oltre due minuti sembra di ascoltare un gruppo di persone bendate, e prive di abilità musicali, divertirsi infierendo sui malcapitati strumenti. La batteria viene malamente pestata, il piano ha quasi un tocco futurista, basso e chitarra cercano di divincolarsi dalle mani dell’aguzzino mentre il corno sembra chiedere aiuto. La seconda parte del brano si fa più cupa, la chitarra diventa un mandolino acuminato e un vocalizzo spettrale accentua il tutto.
Dopo varie digressioni sonore con Yuugata No Iesu, Asagata No Nou (Twilight Affirmation, Morning Denial) scorgiamo una fisionomia (quasi) tipica di una normale canzone: ci sono le strofe, dove troviamo un botta e risposta molto leggero tra voce e tastiera, e il ritornello orecchiabile un po’ più vivace. Solo nella parte centrale del brano Freeman si ritaglia il suo spazio con uno strano assolo (un John McLaughlin lisergico) e con lui torna anche il corno violentato (forse un po’ meno) del brano precedente. In questo segmento ottimo il lavoro di basso e batteria i quali creano una base ritmica jazzata notevole.
Shikotama (Plenty) è un mantra demoniaco, Makigami dà il meglio di sé in un continuo delirio vocale. La batteria tribale di Masaharu tenta di seguire gli arzigogoli vocali ma è “costretta”, lungo il suo percorso, a chiedere aiuto a Freeman e Kazuto. Il piano di quest’ultimo, più che aiutare, sembra quasi fuggire dal “pericolo”.
Nuovo episodio folle è Beniten Ni Kurenai (Crimson in the Cloud). Makigami dà il suo contributo vocale solo nei primi secondi prima di iniziare a giocare con il theremin. I soliti compagni di viaggio intraprendono diversi cammini senza mai incrociarsi.
Gli Hikashu che non t’aspetti. Umaretate No Hana (A Newly Born Flower) è una dolce ballata con, in primo piano, la voce di Makigami molto toccante e drammatica. Come supporto troviamo un dolce piano e una leggera batteria che ben si adattano all’atmosfera. Solo Freeman, in un breve frangente, cerca di spezzare la poesia.
La lunga Tsugi No Iwa Ni Tsuzuku (Continued on Next Rock) chiude l’album. È una jam session (tipica nei live della band) in cui vediamo esprimersi liberamente tutti i musicisti. Trascinatore è Masaharu, il suo incessante battere, molto fantasioso e cangiante, porta dietro di sé il resto della comitiva. E tra assoli di chitarra, virtuosismi al piano e cavalcate di basso, scorgiamo le enormi potenzialità degli Hikashu (ad essere sinceri questo brano va piuttosto a confermarle).
Dopo oltre trent’anni Koichi Makigami continua ad alti livelli il suo percorso eccentrico di sperimentatore.
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