369 (2018)
Luova Records / PsyKa Records
A tre anni di distanza da “All is Two”, il progetto finlandese Huminoita è tornato sulle scene con il terzo album in studio: 369. I ragazzi provenienti dalle fredde lande scandinave, anche in questa occasione, danno sfoggio della propria carica post rock, proponendo trame dense di suggestioni, dai colori spesso caldi e dalle sfumature psichedeliche, le quali si fondono magicamente con l’elemento introspettivo molto caro alla band.
Nonostante l’assenza di dettagli all’interno dell’album caratterizzato dall’“indecifrabile” artwork di Satu Wiinikka (e l’ironico appunto presente sulla pagina Facebook della band “Usually five, sometimes more”), possiamo immaginare che, ancora una volta, gli artefici del nuovo lavoro degli Huminoita siano Ville Mäkäräinen (chitarra, flauto, voce, synth), Timo Keränen (chitarra, percussioni), Ville Mäkinen (basso), Jonne Ketola (batteria) e Matti Salo (sax, tastiere, voce, synth).
Vellutata prende il via Zinerheum. Chitarre e tastiere, quasi sospese nell’aria, volteggiano pacatamente senza nessuna volontà di accelerare, di invertire la rotta, solo tanta voglia di avviluppare l’ascoltatore con un sottile strato di malinconia e sporadiche venature alla Umberto Maria Giardini. E il sax di Salo sul finire mette il perfetto sigillo al primo episodio di 369.
Di tutt’altra pasta Gameover dove, dopo un avvio “acquoso”, è Kettola a dettare letteralmente i tempi. Nel primo segmento, flebili sentori di jazz rock con elementi post la fanno da padrone, poi si materializza un turbinio ruvido e scuro e la seconda “anima” precedente prende il sopravvento in un magma rovente creato da chitarre e ritmiche da cui si staccano i lapilli incandescenti dell’ottone.
Giochi di chitarre danno il via a Ringfinger, con arpeggi alla Marlene Kuntz e andature diluite ed ipnotiche che riempiono ogni “cavità” del brano. Giunge poi il tocco alla Doug Ingle di Salo e qualcosa cambia prima della mutazione definitiva, una marea scura e compatta in cui i cinque si fondono alla perfezione muovendosi, tra gli altri, tra le ruvidità di Spettri e Perspectives of a Circle.
Blandamente si materializza Maalismoon. Flebili tocchi di chitarra costruiscono uno paesaggio sonoro onirico cui prendono parte, in seguito, tutti gli effettivi, romanticamente, senza eccedere. Tutto si condensa, relativamente, con il trascorrere dei secondi, grazie alle ritmiche e al sax che vanno ad intensificare i propri colpi.
Taglienti e crimsoniani i primi minuti di Marsvolga. Tanta intensità, scambi rapidi e ricchi di sostanza, estro e padronanza dei propri mezzi, con qualche elemento che richiama i Basta!. Nei “bassifondi” Mäkinen e Ketola realizzano un lavoro encomiabile mentre in superficie i mattatori sono le chitarre e le tastiere vorticose di Mäkäräinen, Keränen e Salo. Poi tutto cade nell’oblio, si cerca di “mettere ordine” (basso e chitarra si accollano inizialmente l’onere) senza fortuna: tutto riprende forma, gradualmente, attraverso un groove brioso e free che sfocia nel “caos” finale.
Sandmare appare lentamente, inquieta, ma, ben presto, il sax di Salo s’impossessa della scena con la sua forza cinematografica. Si respira un’atmosfera particolare, che assume dei contorni drammatici poco oltre. Come nel brano precedente, gli Huminoita si concedono un break a metà percorso, questa volta con un “vuoto” tenebroso e claustrofobico, per ripartire con colori scuri e suoni pesanti, dal carattere in principio psichedelico, caratterizzando maggiormente l’episodio.
Pimpimpom. Un loop di chitarra ipnotico (ma senza, a prima vista, reali intenti “lisergici”) ci introduce nell’ultimo atto di 369. Poi la compassata batteria di Ketola decide il tempo del brano che, grazie anche alle penetranti note del piano, struggenti e romantiche allo stesso tempo, placidamente scorre via verso un finale post.
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