A thing of beauty (2017)
New Model Label
Avventurarsi in una registrazione effettuata interamente in presa diretta nella seconda decade del nuovo millennio, senza tralasciare la qualità, non è impresa per molti. Con questo biglietto da visita si presentano Gianluca Gabrielli (voce, chitarre), Massimiliano Manocchia (chitarre), Gianpaolo Simonini (basso) e Manuel Prota (batteria), gli Inarmonics, con il loro intrigante debut album A thing of beauty.
I quattro musicisti hanno capacità notevoli e le mettono al servizio della fantasia adoperando una “tavolozza” dalle numerose sfumature, realizzando immagini policrome e multiformi dal forte sentore vintage. A thing of beauty è un viaggio attraverso i decenni e i generi, elementi non accostati “a casaccio”, che ci conduce con disinvoltura tra la new wave e la disco dance, il post rock e il funky, senza dimenticare l’hard rock, il jazz, il prog, il reggae e altro ancora, tutto condito da una voce intensa e mutevole e dall’utilizzo di particolari effetti analogici per chitarra, frutto della ricerca di Gianluca Gabrielli, creatore del marchio Earthtone.
E i brani di A thing of beauty sono ben raffigurati dall’immagine poetica della copertina realizzata da Stefano Bonazzi: perennemente in bilico tra la terra ferma e il baratro, tra la necessità di dare una forma alle proprie composizioni e la volontà di sperimentare senza porsi limiti.
Disma. Protagonisti indiscussi del brano d’apertura sono la martellante batteria di Prota, sempre presente, le camaleontiche chitarre di Manocchia e Gabrielli, che con disinvoltura si muovono tra andature post rock, arpeggi new wave e sfuriate hard rock, e il basso puntuale e costante di Simonini. Particolare la voce di Gabrielli che ricorda Peter Gabriel.
L’anima di A thing of beauty, grazie soprattutto al buon lavoro di Simonini e Prota, sembra provenire, almeno in parte, dalla penna di Sting/Police. Sempre più appassionato il canto di Gabrielli (il testo del brano è basato sull’Endymion di John Keats) che lascia il finale allo sfogo in crescendo dei compagni.
In the park. Le cavalcate guidate del solito duo ritmico, con l’ottima collaborazione delle chitarre e del canto alla Chris Cornell, donano un’aurea zeppeliniana al brano che appare e scompare lungo il tragitto. Azzeccato l’intermezzo onirico.
Avvio schizofrenico per Funkarabian scat con la delirante alternanza tra i giochi vocali alla Lucio Dalla di Gabrielli e i rapidissimi fraseggi di basso e batteria (quest’ultimi ricordano a tratti gli scambi “fulminanti” di Franchi e Piccinini di Accordo dei Contrari). Anche la chitarra seventies di Manocchia partecipa in seguito alla festa. La folle corsa si arresta relativamente solo a metà percorso, quando le ritmiche smussano i loro tocchi e la chitarra si lascia andare ad un breve assolo jazzato prima del loop finale.
Un muro sonoro compatto alla Thank U For Smoking di “Yomi” apre History. Poi tutto si “affloscia” lasciando i soli batteria e basso a proseguire su quella strada, dando il ritmo giusto alla voce di Gabrielli. Il brano vive di salite e discese muovendosi tra alt e post rock. Grande intervento di basso sul finire.
Interessante l’episodio strumentale Farabutto. Come sempre Prota imprime ritmi vertiginosi, ben assecondato da Simonini, concedendosi solo sporadiche “soste”. Le chitarre, invece, sono i funamboli dell’occasione, gli elementi che hanno libertà totale e che sfruttano ogni singolo secondo, variando frequentemente suoni e soluzioni.
Gone too fast. Dopo tante sfuriate, Prota tira il freno lasciando la scena soprattutto al canto e alle chitarre vellutate che eseguono un dipinto dalle tonalità intense e solenni alla Jeff Buckley.
Si chiude con More wine. L’avvio vocale molto disco dance lancia il percussivo basso e la seguente andatura reggae. Dall’eccentrico fotogramma emerge anche una chitarra cleptoniana (fase Cream) che poi diventa molto hard. In tutto ciò Gabrielli si diverte un mondo con il suo “graffio vocale” a cavalcare le “onde” multiformi create dai compagni.
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