Oasis (2014)
Lizard Records
Una delle nuove “scommesse” in casa Lizard Records arriva direttamente dalla Russia e si chiama Inner Drive (desiderio interiore, la forza motrice della vita che è in ogni uomo), progetto che ruota intorno al tastierista Sergey Bolotov, autore di tutte le musiche di Oasis, album d’esordio della band.
Piuttosto nutrita la “squadra” che accompagna Bolotov: Alexei Klubochkin (basso), Fedor Kozharinov (batteria), Dmitry Shtatnov (basso), Vimal Nikonov (batteria), Inna Klubochkina (violino), Natalia Filatova (flauto), Tatiana Kanevskaya (chitarra) e Anatoly Gladkov (chitarra).
In fase di registrazione c’è stata una divisione del lavoro tra i musicisti che accompagnano Bolotov (l’unico sempre presente), con una “non equa” ripartizione dei brani tra flauto e violino (cinque a tre) e una doppia coppia di “responsabili ritmici” (Chaos a parte, dove Klubochkin, sempre in coppia con Kozharinov, s’incrocia con Nikonov), mentre ai chitarristi è “toccato” un solo brano a testa. Una scelta ponderata è stata quella di “limitare” quasi sempre a quattro strumenti l’esecuzione dei brani (eccezion fatta per Life in our minds in cui i protagonisti sono cinque), ne ha tratto vantaggio l’equilibrio sonoro e la presenza di spazi in cui ogni musicista è riuscito a ritagliarsi il proprio spazio.
L’album strumentale, il cui elemento basilare è l’eclettismo di Bolotov e soci, in alcuni frangenti si rifà alla “scuola britannica” (vedi, ad esempio, King Crimson o ELP), in altri sembrano affiorare elementi che hanno il “sapore” di Saint-Preux, nei suoi momenti più sinfonici/avant-prog, in cui violino e flauto hanno in mano le redini del brano, invece le assonanze più strette possiamo trovarle nei belgi Aranis. Disseminati lungo il percorso troviamo, inoltre, quei richiami jazz/fusion (e canterburyani) che sono molto cari alla band.
Affascinante l’artwork, creato da Konstantin Poletaev, che accompagna il lavoro degli Inner Drive. Nel palazzo-tempio fluttuante che troviamo in copertina si può leggere l’oasi del titolo, un’oasi onirica ma al tempo stesso fisica e a tratti “decadente”, sensazione, quest’ultima, che emerge appieno osservando i ruderi che troviamo all’interno del booklet o sul retro dell’album, un’arte che richiama da vicino il “rovinismo piranesiano”.
Si parte subito forte con Way to the unknown. È il lungo virtuosismo di Inna Klubochkina al violino, molto alla Liesbeth Lambrecht, il gran protagonista del brano. Con lei troviamo la tarantolata batteria di Kozharinov, l’articolata esecuzione di Bolotov al piano e i precisi interventi di Klubochkin al basso i quali contribuiscono enormemente nell’elevare la complessità della composizione.
Oasis viaggia su un doppio binario: il primo romantico e “bucolico”, con il flauto sussurrato di Natalia Filatova molto rasserenante, intrecciato al melodico piano (un’atmosfera che sembra quasi uscire da “Principe di un giorno” dei Celeste), e il secondo fatto di accelerate, in cui sezione ritmica e piano si lasciano andare in compagnia dello stesso flauto.
Con Inspired by Pink Floyd l’eclettico violino della Klubochkina torna a spiccare. Ovviamente Kozharinov alla batteria non si tira indietro e offre il suo contributo fatto di rapidità e complessità. Bravi anche tastiera e basso nel dar man forte al gruppo nell’omaggiare “velatamente” la band inglese.
Altra “botta d’energia” è Full Moon con le tastiere “acide” e a tratti emersoniane di Bolotov a trascinare i primi due minuti. Lo stesso tastierista prova poi ad addolcire il clima col piano ma Kozharinov continua a “battere” senza curarsi di lui. Sconfitto, quest’ultimo, lascia di nuovo lo spazio alle tastiere iniziali.
Momento composito è Life in our minds. Dapprima il flauto leggiadro della Filatova sembra dirottare il brano verso percorsi che richiamano la title track, poi batteria, chitarra e piano (già presenti) imprimono una svolta rapida e jazzata: il flauto è “costretto” ad adeguarsi. I minuti seguenti corrono via con un saliscendi umorale che vede immutati i protagonisti, oltre ad avere un basso più possente in alcuni frangenti.
Elephants. Tra due “ali” romantiche in cui il piano ricama una soffice melodia (nella prima parte arricchita dal flauto, nella seconda dal basso), troviamo un corpo più vispo con un bel gioco corale, fatto di ritmiche mutevoli e inserti di flauto, ma sempre diretto dalle mani di Bolotov e le sue varie tastiere.
Carica di tensione emotiva Lost dreams. Il piano evocativo di Bolotov è un flusso continuo che emerge dalle “acque sonore” indicando il percorso ai compagni per poi immergersi lasciando spazio all’ispirato flauto di Natalia Filatova, al vibrante basso di Klubochkin e agli “sfoghi ritmici” di Kozharinov.
Ad accoglierci nel brano più lungo dell’album (Chaos) troviamo gli inquieti Sergey Bolotov e Tatiana Kanevskaya (questo è uno dei due episodi in cui è presente la chitarra, l’altro è la precedente Life in our minds). In seguito i due, ben coadiuvati dall’articolata sezione ritmica, impongono un deciso cambio di rotta fatto di guizzi elettronici e dinamici.
Manifesto dell’anima sinfonica degli Inner Drive è Aibga. La liricità e l’eleganza di piano e violino, soprattutto nei frammenti più delicati, sono da elogiare apertamente. Degni di nota anche gli interventi del duo basso-batteria e, in modo particolare, il segmento jazzato che troviamo nella seconda metà del brano che comporta anche una piccola variazione nell’operato di Bolotov.
Il breve fraseggio a due di Transience chiude Oasis. Gli attori partecipi dell’oscuro dialogo sono l’onnipresente tastiera di Bolotov e il flauto della Filatova. La sensazione che resta sulla “pelle” è quella di una introduzione ad un qualcosa che purtroppo non c’è…
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