Anatomy of the world (2014)
Autoproduzione
Giunge da Rescaldina (MI) il nuovo “socio” del “Club delle nuove leve del prog italico”, il suo nome è Kalisantrope. Dietro tale denominazione si celano tre giovani ragazzi (e subito tornano alla mente le leggendarie triadi che hanno fatto grande questo genere, ELP e Le Orme su tutti), i loro nomi sono Noemi Bolis (basso), Alex Carsetti (batteria) e Davide Freguglia (tastiere).
I tre si presentano con il loro primo EP Anatomy of the world, cinque brani strumentali da cui affiora l’amore per gli anni ’70 e per le sonorità scure e space (ma non solo): sono le policrome tastiere di Freguglia a tessere di solito le trame in cui il duo ritmico non fa mancare il suo contributo in fatto di “colpi”.
Ad accompagnare il lavoro troviamo il particolare e “criptico” artwork realizzato da Oliviero Spinelli.
L’apertura di Anatomy of the world è affidata a Varroa Destructor, brano dalle tinte plumbee e, a tratti, “asfissiante”. Sin dalle primissime battute, con lo scambio rapido e martellante di basso e batteria, si viene avvolti in una cappa fosca che non lascerà respirare neanche con l’ingresso di Freguglia (forse, un po’ alla lontana, si potrebbe riconoscere in questi momenti l’atmosfera dei primi cupi “vagiti” dei Litfiba, quelli di “Eneide di Krypton” per intenderci). Un senso di disorientamento lo si vive a metà percorso, quando il flusso compatto si arresta lasciando spazio a della “inquieta” elettronica. Il titolo dell’episodio richiama quello dell’acaro parassita delle api del miele e l’intera struttura del brano sembra raccontare la “battaglia” tra le due forme di vita.
Muta nettamente l’atmosfera con la camaleontica Hypophysis. Ad accoglierci (e infine a congedarci) troviamo l’evocativo ed etereo “gioco di mani” di Freguglia. All’interno di questo “contenitore”, dedicato alla ghiandola endocrina del cervello, si vive un saliscendi emotivo, che alterna momenti “furiosi” ad altri più tenui, guidato soprattutto dalle ritmiche del duo Bolis/Carsetti. A seguirli come un’ombra, prendendosi tutto lo spazio necessario ed emergendo nei punti giusti, troviamo le funamboliche tastiere di Freguglia strutturate, nel complesso, quasi come in un brano de La Coscienza di Zeno.
Holodomor racconta in musica la “Grande Carestia” (Holodomor in ucraino significa “infliggere la morte mediante la fame”), organizzata intenzionalmente dal regime sovietico, che colpì l’Ucraina nei primi anni ’30 del secolo scorso. L’avvio è di quelli che conducono direttamente verso le “distese siderali” molto care ai corrieri cosmici tedeschi (Tangerine Dream in primis). L’andamento muta poco oltre diventando piuttosto free. Prese le “misure ritmiche”, il brano si lascia trasportare dalle nervose e ruvide tastiere di Freguglia, verso un abisso totalmente settantiano.
A caratterizzare Concept Fading c’è una certa dicotomia atmosferica pilotata dalle tastiere di Freguglia. Nel primo “stato” esibisce il suo tocco classico e luminoso, nel secondo, invece, si fa tutto più buio e, in trio, emerge il lato più spinto del gruppo (notevole il lavoro di Carsetti e Bolis) che, soprattutto nei momenti più “concitati”, alza il “vessillo dei ‘70” avvicinandosi ai The Trip, chiudendo poi con una sorta di richiamo all’intro di Hypophysis.
Chiude Anatomy of the world la suite tripartita She. Il primo movimento, Funeral Elegy, vede protagonista il solo Freguglia all’organo. Cerimonia solenne di due minuti. È Carsetti a cambiare il tema e introdurre 1st Anniversary: an anatomy of the world: un mix di rapidità e tensione (con un “pizzico” di Orme) ben calibrato. Tutto sfocia in 2nd Anniversary: the progress of the soul, l’ultima parte di She, aperta dal piano nocenziano di Freguglia, suggestione “rotta” poco dopo dal corpulento basso della Bolis. E con un crescente loop irregolare e ipnotico i Kalisantrope mettono la parola fine ad un primo lavoro che mostra potenzialità e idee. Queste ultime da “levigare” in futuro, certo, ma ci sono e si sentono.
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