Brinicle (2017)
Autoproduzione
Tornano i Kalisantrope, dopo l’EP “Anatomy of the World” (2014) eccoli giungere alla prima prova “lunga”: Brinicle.
Diversi sono i punti confermati rispetto alla prima prova. Innanzitutto la formazione a tre che vede sempre Noemi Bolis al basso, Alex Carsetti alla batteria e Davide Freguglia alle tastiere. Immutata rimane anche la scelta della proposta di brani esclusivamente strumentali. Infine le tematiche: come in “Anatomy of the World”, anche in Brinicle i temi toccati e musicati sono piuttosto complessi e attingono ad una certa profondità spirituale e alle esperienze dolorose che hanno coinvolto i membri della band.
Con Brinicle il trio prosegue anche la sua intelligente e condivisibile “battaglia degli stimoli”: Per noi la musica infatti è principalmente condivisione, ma non solo di note e melodie, anche di nozioni o fatti interessanti. Il nostro desiderio è quello di divulgare il sapere tramite la musica. Questa operazione ha le sue difficoltà quando si decide di raccontare i fatti tramite le sole note. Infatti Brinicle sarà ancora una volta un’opera completamente strumentale, che mette l’ascoltatore nella condizione di doversi informare, al fine di comprendere il messaggio che stiamo veicolando.
In Brinicle, però, si concretizza anche quel dovuto “passo avanti” rispetto all’esordio. I Kalisantrope, non abbandonando i suoni vintage e scuri tanto cari al terzetto, arricchiscono la propria tavolozza cromatica con sottili (ma non troppo) venature jazz, della buona psichedelia e tanta libertà esecutiva.
Ma cos’è un brinicle? Prendiamo in prestito le parole del gruppo per spiegarlo: Per esporre al meglio la tematica della natura, ci siamo ispirati ad un fenomeno curioso e sorprendente, che si forma nelle profondità delle acque Antartiche. Un flusso di aria gelida proveniente dalla superficie, penetra nelle insenature del ghiaccio ed entrando a contatto con l’acqua, crea una stalattite di ghiaccio: il brinicle. Una volta creatosi, continua la sua strada nell’acqua in modo vorticoso, fino ad arrivare verso il fondo. Una volta toccato il fondale, congela qualsiasi cosa si trovi su di esso. Per questo motivo viene soprannominato anche “finger of death” (dito della morte). Una metafora proprio della natura, il cui corso non può essere ostacolato. E Oliviero Spinelli ha reso graficamente alla perfezione questo fenomeno sulla cover dell’album.
L’album prende il via con la tensione di Dawn on Hiroshima Skies, racconto dei drammatici momenti del lancio della bomba atomica sulla città di Hiroshima alla fine della seconda guerra mondiale. Dura poco perché poi Carsetti “apre” il brano, coadiuvato dal brillante Freguglia e dall’“ombra” Bolis. È un susseguirsi di variazioni umorali che navigano egregiamente nei sevienties italiani (vari sono i “sentori”, per esempio Paese dei Balocchi e Atlantide) con pennellate jazz e suoni elettronici che ricordano il primo Battiato sperimentale.
I primi minuti di Placebo Effect vedono in scena una gran dose di libertà: Carsetti dal tocco jazzato si fonde con la tastiera di Freguglia che si lascia andare ad un divertissement un po’ manzarekiano mentre il basso della Bolis crea un loop leggero e ipnotico. Il percorso a tratti s’ispessisce e muta prima di decollare sul finire. È la visione in musica dell’effetto placebo secondo i Kalisantrope.
Canis Majoris, brano dedicato alla gigante rossa considerata la più grande mai conosciuta, che fa riflettere su quanto la terra sia insignificante davanti alle maestosità dell’universo e i problemi quotidiani siano solo una piccola parte di tutto ciò che ci circonda, vive sulla tripla anima di Alex che si divide tra andature tribali, momenti più sussurrati e passi marziali. Ad amalgamarsi con lui troviamo l’ottimo e mai domo basso di Noemi e le cangianti tastiere di Davide, ora evocative alla Annot Rhül di “Leviathan”, ora altamente descrittive alla Corte dei Miracoli.
Un senso di mistero e inquietudine avvolge la prima parte gobliniana di Notturno. I “sussurri” seguenti e le ritmiche “percosse” accentuano maggiormente il clima nero di un brano molto cinematografico.
Con Morgendämmerung, brano da leggere unitamente al precedente poiché descrittivi della bellezza della natura in due parti della giornata (la notte e l’alba), i Kalisantrope fanno quasi un salto nella world music degli Aktuala. Protagonisti sono le ritmiche taiko di Carsetti e quello che sembra a tutti gli effetti un flauto suonato dalle mani di Freguglia che si incunea con leggerezza tra i colpi possenti del compagno di viaggio.
Cordyceps (dal nome dal fungo parassita che attacca ed uccide funghi ipogei, insetti e ragni) potrebbe essere elevata a manifesto del modo “libero” di intendere la musica dei Kalisantrope, peculiarità che emergere pienamente dall’ascolto del brano: batteria molto free, tastiere camaleontiche e basso vivace (e sempre presente) si lasciano andare nella costruzione di un percorso mai lineare e scontato.
Seeking Harmony è il brano di Freguglia, è lui a dettare i “tempi umorali” passando con nonchalance dal piano lirico iniziale (reso poi più vispo anche grazie agli interventi rapidi delle ritmiche) ai suoni acidi del finale (pienamente settantiani). Nel mezzo, ovviamente, offre altre soluzioni interessanti, sempre ben coadiuvato dai due compagni. Questo episodio è una sorta di “aiuto” per l’ascoltatore nel trovare l’armonia nella natura, elemento complesso e difficile da scovare, anche nelle nostre vite quotidiane.
La conclusiva Genistae (suite ispirata alla poesia leopardiana “Ginestra o fiore del deserto”) è un lungo viaggio onirico, una sorta di esperienza extrasensoriale che tange l’ascoltatore solo in parte per poi risvegliarlo dopo diversi minuti con un “boato” che attinge dalla psichedelia, dal sicuro grande impatto live.
Son passati tre anni da “Anatomy of the World”, i tre ragazzi di Rescaldina sono cresciuti (e si sente) e le loro vedute si sono ampliate (ottimo segno). I margini per crescere ancora ci sono tutti (fortunatamente) e di certo continueremo a sentir parlare dei Kalisantrope.
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