Confini armonici (2015)
Lizard Records
Dopo aver viaggiato tra le fantastiche lande tolkieniane (“Voci dalla Terra di Mezzo”) e nei luoghi magici dell’Appennino (“Il canto degli alberi”), dopo aver dato voce agli elementi della natura (“Lo spirito delle foglie”) e aver plasmato un “luogo” dove è possibile udire storie e leggende di un’Italia dimenticata (“La locanda del vento”), i Lingalad attingono al mondo narrativo creato dalla penna di Giuseppe Festa forgiando così il nuovo lavoro Confini Armonici. Sono, appunto, le sue opere “Il passaggio dell’orso” e “L’ombra del gattopardo” ad assumere una nuova forma: dalle “parole scritte” alle “parole suonate”.
I Lingalad, nella nuova formazione che vede, accanto agli storici Giuseppe Festa (voce, flauti), Giorgio Parato (batteria, pianoforte) e Luca Pierpaoli (chitarra acustica), i nuovi innesti Andrea Denaro (chitarra, bouzouki, mandolino) e Dario Canato (basso), raccontano in musica alcuni personaggi dei libri di Festa, approfondendone il carattere o esplorando aspetti che emergevano solo in parte, in quel continuo rapporto tra uomo e natura che è il fulcro di tutti i lavori della band.
Quello dei Lingalad è un folk-rock genuino e diretto capace di rappresentazioni evocative di paesaggi e personaggi montani tramite fresche melodie, un utilizzo sapiente dei suoni, con trame che a tratti richiamano i passaggi acustici cari ai Jethro Tull (quasi “meccanico”, ad esempio, l’accostamento del flauto di Festa a quello di Anderson, non da leggere come semplice emulazione ma come affine emotività restituita dal suo impiego), ai primi Congreso o agli Hölderlin, senza dimenticare gli scenari “acustico-poetici” di Claudio Rocchi.
Ad accrescere la componente “naturalistica” di Confini Armonici ci pensa l’artwork ben curato e “coinvolgente”, caratterizzato dalle foto tratte dal video Occhi d’ambra (regia di Mauro Cartapani).
Ad aprire Confini armonici troviamo Sogni d’oblio, episodio in cui i Lingalad musicano i pensieri di un orso stanco di dover scegliere tra “fuggire o morire” di fronte all’avanzata dell’uomo. La struttura ideata dai cinque è suggestiva e malinconica: alla base ciclica acustica eseguita da Pierpaoli si affiancano, lungo il sentiero, gli interventi seducenti di bouzouki (un po’ alla Dolly Holmes) e flauto, mentre i “battiti” in sottofondo imprimono il giusto ritmo. Il velo di tristezza permea anche le parole e la voce di Festa: […] Quando gli occhi brillanti sospesi nel cielo / galleggiano su un mare nero / Vedo una lama di luce che taglia in due il bosco / Un odore che già conosco / Verso l’alto passaggio, un sentiero nascosto / ora forse mi porterà in salvo / Ma sono stanco di questo “fuggire o morire” / che sempre accompagna il mio passo.
Una campana funerea apre Orante Della Morte delineando sin da subito quella tensione che sarà presente in buona parte del brano. Ben orchestrato l’intreccio di corde “sospinto” dai colpi di Parato e Canato, mentre Festa si lascia trasportare dalle sue stesse parole dedicate alla figura di un bracconiere: […] Prepara con gelida calma la trappola / Tinta nell’odio e tessuta di vile coraggio / con fili di gloria bugiarda / Ritorna ogni notte a sfidare la sorte / Dannato alla caccia / e cacciato lui stesso da Orante / Della Morte il Signore / Della Morte il Padrone / Bracconiere braccato dall’odio / che lui solo ha incendiato. Ad arricchire il quadro, nella seconda metà, ci pensa anche l’”abbraccio” degli archi e il sereno flauto di Festa.
Con un avvio “western” alla “Siamo umani” dei Litfiba, si apre la briosa Occhi d’ambra. È il frizzante duo Parato/Canato a guidare questo viaggio tra i monti dove la terra diventa acqua e l’acqua diventa terra. Pierpaoli e Denaro, ovviamente, non si lasciano pregare e offrono i loro fraseggi rapidi mentre Festa ci concede una nuova narrazione ispirata al suo “L’ombra del gattopardo”.
La strumentale L’ombra del gattopardo spezza per un attimo il flusso folkeggiante di Confini armonici. Un gran tocco di delicatezza pervade il primo minuto, quasi una “Dove… Quando… (Parte 1)” della PFM, con il “soffio” soave di Festa/Pagani al flauto a dirigere il gruppo. Poi il piano romantico e un po’ jazz di Parato dà il via al cambio climatico che si concretizzerà, a tratti, nell’atmosfera più densa seguente.
La grande orsa. I nuovi versi di Festa sono musicati in modo leggero: nessun fronzolo ma “semplici” trame che lasciano emergere la voce dello stesso Festa. Sembra quasi di ascoltare una via di mezzo tra un brano del Camisasca anni ’90 (ripulito di elettronica e distorsioni) e un brano soft dei Litfiba (“era Cavallo”).
Si riacquista brio con Nella terra di Aku. Sono le pelli di Parato a imprimere una certa andatura, con le chitarre che svolazzano libere mentre Festa tratteggia il nuovo fotogramma sonoro (Un viso ruvido come corteccia / Mani callose scolpite dai remi / Occhi di zaffiro stretti nel sole / Mi accolgono senza parole […]).
Sonorità “asciutte” e seducenti, sulla scia di “Wetterbericht” degli Hölderlin, per Un solo destino. Carezzevole il canto di Festa sulla base “minimale” di Pierpaoli, mentre un po’ più di corposità la si acquista nel ritornello. Come sempre lo spazio al melodioso flauto di Festa non viene negato.
Con il secondo episodio strumentale Il passaggio dell’orso, i Lingalad danno origine ad un paesaggio fantastico, una gradevole melodia che accarezza il viso e conduce in un luogo incantato caratterizzato da panorami scandinavi e fugaci tracce d’oriente. Idilliaco ed avvolgente.
La sensazione primaria che si avverte all’ascolto di Nel diario di Maria è una serenità “invadente”, una delicatezza di fondo che porta alla mente alcune soluzioni degli Ougenweide amalgamate a De Andrè o Fabio Concato. È il tenero canto (e flauto) di Festa, in equilibrio perfetto col ricamo acustico di Pierpaoli e Denaro, a “trainare” dolcemente il brano.
Molto lineare Oltre il confine dove a distinguersi, nella nuova limpida atmosfera, troviamo il mandolino di Denaro che dona un tocco mediterraneo allo scenario “silvestre ed interiore” tratteggiato da Festa & Co..
Il brano che chiude Confini armonici è Orante Della Morte – strumentale, una versione più intima e priva di canto del secondo brano dell’album. Sono il piano struggente di Parato e il malinconico flauto di Festa (assistiti da archi quasi impalpabili) a descrivere l’infelice figura del bracconiere. Un fiume di suoni ed emozioni che, con leggiadria, mette la parola “fine” ad un lavoro affascinante.
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