Livi Gianluca with Stefano Pontani, Massimo Sergi, Domenico Dente – Fleeting Steps

GIANLUCA LIVI WITH STEFANO PONTANI, MASSIMO SERGI, DOMENICO DENTE

Fleeting Steps (2017)

Eclectic Productions

Ritrovarsi a proprio agio in ambito sperimentale dopo aver “navigato” per quasi un decennio (con gli Anno Mundi) nelle sonorità alla Black Sabbath non è da tutti (nonostante abbia confessato il suo approccio pressoché nullo verso la musica elettronica/ambient/sperimentale). Dopo aver gettato il primo seme proprio con gli Anno Mundi nel 2013 con il brano “Tardis”, Gianluca Livi (main themes, ambience, laptop, noise, batteria elettronica, percussioni) ha individuato e percorso proficuamente questa nuova strada. A rendere più agevole il “passaggio” è stato l’intervento di Stefano Pontani (chitarra e loop station, membro di formazioni quali Vu-Meters, Anagramma e Ezra Winstons), Massimo Sergi (piano, synthesizer, ambience) e Domenico Dente (basso). Ecco allora Fleeting Steps.

Non è musica per tutti gli orecchi quella di Fleeting Steps e Livi & Co. ne sono consapevoli. La forte indole sperimentale, estraniante e lisergica ma pienamente istintiva e genuina, affonda a piene mani nel mondo germanico (ma non solo, vedi anche il nostro Franco Battiato e il Robert Fripp solista) e l’anima “non lineare” dell’album si rispecchia pienamente nel dipinto “Spada e albero” realizzato da Alessio Livi che campeggia sulla copertina. Concepiti dalla mente di Livi e sviluppati in collaborazione con Pontani, Sergi e Dente, in Fleeting Steps troviamo paesaggi vacui e sinistri, suoni sintetici chiaroscurali e chitarre dilatate, ma anche frangenti di inaspettata poesia al piano che rendono l’opera eterogenea ed omogenea allo stesso tempo.

Il disco esprime un concetto di musica visionaria, a tratti sediziosa, talvolta allucinata, che demolisce schemi precostituiti e modella utopistici archetipi a vocazione intimista. Offre sonorità in bilico tra ambient e sperimentazione, elevando a fonte di ispirazione le criptiche elucubrazioni del Peter Gabriel a vocazione strumentale, l’espressionismo dei Tangerine Dream più enigmatici, il magnetismo multistrutturato dei frippertronics intersecanti ed ambigui, l’oscura propensione dei Goblin più cupi e anticonformisti.

Birth of a flower (In A Post-Atomic Landscape) – Part 1, capitolo che dà il via a Fleeting Steps, è un viaggio nello spazio profondo, è musica cosmica, è ambient (vedi Tangerine Dream, ma anche il Fripp solista). L’elettronica eterea e non invadente è la protagonista indiscussa del brano e a tratti sembra di ascoltare anche il Battiato sperimentale. La “sirena” finale, poi, ridesta dal lungo “sonno”.

Decisamente diversa rispetto alla prima parte è Birth of a flower (In A Post-Atomic Landscape) – Part 2, episodio affidato quasi esclusivamente al tocco poetico e malinconico di Massimo Sergi al piano, una via di mezzo tra Nocenzi e Scivales.

Livi e soci tornano all’elettronica con i suoni di “cristallo” di Fujiko mine – Part 1. Lungo il cammino incrociamo anche le pelli tribali di Livi, il basso minimale di Dente e la chitarra di Pontani: un interessante ordito che riporta per un breve frangente l’ascoltatore in una dimensione più “palpabile”.

Irrational thoughts. Quadro suggestivo e malinconico (e a tratti estraniante) quello costruito da Sergi al piano e Pontani alla chitarra: il primo volteggia intensamente ma senza mai eccedere, il secondo dilata all’eccesso i suoni distorti del suo strumento. Un connubio perfetto condito dal gran lavoro nelle retrovie del basso di Dente.

Atmosfera rarefatta nelle prime battute di Zero gravity in my lair in cui Pontani sembra quasi proseguire il lavoro avviato nel brano precedente fondendosi con soluzioni cosmiche e un piano delicato. D’un tratto ecco affiorare una tastiera dal suono gobliniano che va a mutare il quadro rendendolo più cupo e sinistro. L’indole sperimentale di Livi, Pontani, Sergi, Dente, però, ha la meglio e l’elettronica teutonica riprende il controllo del brano sino a spingersi, a tratti, anche verso il Battiato più estremo.

Molto cupa Lost in space con i suoni plumbei di chitarra e basso in primo piano mentre l’elettronica di Livi li avvolge con un manto nero. Ad un tratto lo stesso Livi alla batteria decide di apportare un tocco di linearità al brano ravvedendosi molto presto. L’ultimo frammento dell’episodio è alquanto free.

Piuttosto estranianti i primi minuti di Talkin’ to an alien about eternity caratterizzati da suoni eterogenei e dilatati che provengono da ogni direzione. Solo il piano di Sergi cerca di dare, qui e là, un tocco più “terreno”. A tratti sembra tornare il Battiato dei ’70. É l’elettronica alemanna a prendere poi il sopravvento rendendo il quadro sempre più alienante e richiamando, ad esempio, quanto fatto di recente dalla coppia Günter Schickert & Pharoah Chromium. In tutto ciò, va aggiunto, ci sono anche le chitarre di Pontani a squarciare l’aria. Di certo Talkin’ to an alien about eternity è un cammino lungo e impervio, spesso allucinatorio, i suoi oltre quattordici minuti sono molto probabilmente la summa del pensiero di Livi.

Si chiude con la breve Fujiko mine – Part 2, episodio folle che con i suoi suoni “rovesciati” sembra trasportarci direttamente nei deliri lynchiani.

Un “esperimento sperimentale” ben riuscito. Sarebbe un gran peccato non proseguire il cammino.

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