Merry Go Round (2015)
Black Widow Records
La “seconda vita” dei Merry Go Round, oltre ad aver portato in dote la sorprendente voce di Martina Vivaldi e la chitarra di Sandro Vitolo, regala alla band anche il primo vero album: Merry Go Round.
La giostra sonora (“giostra” è il significato dell’espressione inglese “merry go round”), partita come The Storks nel 1985, grazie a Renzo Belli (chitarra), Michele Profeti (organo Hammond, Mellotron, Moog), Stefano Gabbani (basso) e Sandro Maccheroni (batteria), ha ripreso a girare nel 2012.
La nuova “corsa” ci conduce attraverso un percorso che si snoda tra gli anni ‘60-’70, tra le atmosfere hard, psichedeliche e progressive che hanno impreziosito enormemente quel periodo magico. Tramite arrangiamenti ben curati, in cui spesso e volentieri ad ergersi trascinatori troviamo le tastiere e le chitarre, senza dimenticare il notevolissimo apporto della voce della Vivaldi, e un filo conduttore delle liriche piuttosto “nero”, i Merry Go Round dimostrano di aver assimilato perfettamente gli insegnamenti di Uriah Heep, Julie Driscoll, Brian Auger & The Trinity, Frumpy, Iron Butterfly, Atomic Rooster, Beggars Opera (solo per citarne alcuni), con Profeti e Gabbani che mettono in campo anche la loro precedente esperienza Standarte.
Il tutto, inoltre, è corroborato dalla presenza delle cover di Wildwood, Richie Havens e Atomic Rooster e dall’artwork visionario/psichedelico caratterizzato dalla giostra di copertina che, tramite i suoi occhi, “gira e osserva”, e dalle immagini lisergiche presenti all’interno del libretto.
L’album si apre con Dora’s dreams. Dopo un avvio sinistro e una lugubre risata, ecco l’impennata esplosiva che sembra tratta dall’ultimo lavoro degli Spettri, “2973 – MMCMLXXIII La nemica dei ricordi”: a guidare la squadra troviamo l’indemoniato organo di Profeti. Riposte momentaneamente le “armi”, scende in campo la voce intrigante, e un po’ alla Linda Hoyle, di Martina Vivaldi che dà consistenza ad un testo oscuro. Riprende la corsa impazzita poco dopo, ancora una volta trascinata dalle mani di Profeti, con la collaborazione fattiva di Vitolo, Belli, Gabbani e Maccheroni. Ottimo inizio.
La ballad malinconica After è caratterizzata dalla presenza di chitarre ora liquide ora acide, un organo manzarekiano e alcuni interventi di Mellotron che tessono una morbida trama su cui si sviluppa l’intenso canto di Martina e che s’ispessisce quando la stessa canta “And now i know that time is not ours”. C’è spazio anche per della sana psichedelica.
Si riacquista ritmo, grazie all’andatura spinta di Maccheroni, con Autumn’s days, un brano che musicalmente sembra un mix tra Jefferson Airplane e Old Rock City Orchestra (di “Back to Earth”). Come accaduto in precedenza, e come accadrà nei prossimi brani, la voce della Vivaldi dona il giusto tocco d’intensità al tutto. E, a metà brano, Profeti veste i panni di Brian Auger e si lascia andare…
Brano molto fresco e vivace è Poison Ivy. Tutto ruota intorno al magnetico canto di Julie Driscoll/Martina Vivaldi che si snoda tra i rapidi passaggi di batteria e basso, le dinamiche chitarre del duo Belli/Vitolo e le tastiere acide di Profeti.
Il primo dei tre “omaggi” al passato è la cover di Free ride dei Wildwood ed è in brani come questo che affondano le radici delle sonorità dei Merry Go Round. La struttura creata dai Wildwood calza a pennello addosso ai nostri, i quali si destreggiano senza problemi tra le asperità sonore di tastiere e chitarre e un’andatura alla Iron Butterfly.
Changeling cammina su un doppio binario fatto, da un lato, di chitarre ruvide e ritmiche decise, e, dall’altro, dai luminosi organo e Mellotron. In mezzo vi è la solida voce di Martina Vivaldi che cerca di assecondare entrambe le anime del brano.
Molto lisergica To die of fear. L’ammaliante canto di Martina è avviluppato, per buona parte del brano, dai suoni liquefatti creati dalle mani di Belli, Vitolo e Profeti. Quest’ultimo, poi, sempre più “acido”, fa compiere un ulteriore passo in avanti al “viaggio mentale”.
La seconda cover proposta dai Merry Go Round è Indian rope man di Richie Havens, brano riproposto da molti artisti negli anni, vedi, tra gli altri, The Revells e Julie Driscoll, Brian Auger & The Trinity. Ed è alla versione frizzante di questi ultimi che la band s’ispira nella sua esecuzione, grazie alle grandi prove, su tutti, di Profeti e Vivaldi. Soprattutto il primo trascina i compagni dall’inizio sino all’ultimo secondo, ben supportato dalle ritmiche della coppia Gabbani/Maccheroni.
Calano un po’ i “giri” con In search of lost time, episodio ritmicamente più compassato dei precedenti e che richiama alcune soluzioni dei Frumpy (e con Martina che a tratti ricorda Inga Rumpf). La chitarra distorta e ciclica che troviamo ovunque, eccezion fatta per i punti corali e più densi, è il legante del brano e ha il ruolo, ben svolto, d’ipnotizzatore.
Sono le tastiere di Profeti a “pilotare” buona parte di Mesmerized Worlds verso territori “distesi” cari ai Procol Harum, una serenità sonora cui si accodano anche i restanti elementi della band. Solo nelle deflagrazioni vocali, che trascinano chitarre e sezione ritmica, il brano tende verso i Quatermass. Questi tentativi di “destabilizzare” l’ambiente hanno poco successo.
L’ultimo omaggio offerto dai Merry Go Round è Friday the 13th degli Atomic Rooster. Profeti, Belli e Vitolo si spartiscono i compiti assegnati in origine al solo Vincent Crane (l’avvio eseguito dalle sole chitarre, ad esempio, risulta più aggressivo rispetto all’originale). Intanto, la Vivaldi mette in campo la stessa energia di Nick Graham e riceve il giusto supporto dalle voci di Belli e Gabbani. E, per non farsi mancare nulla, Profeti, a metà brano, veste in solitaria i panni di Crane e vola via. E non finisce qui: terminata Friday the 13th, e attesi alcuni secondi, ecco apparire una ghost track. Oltre quattro minuti strumentali in cui i cinque musicisti esprimono tutta la loro libertà esecutiva tessendo trame rapide e taglienti, muovendosi tra Atomic Rooster ed Uriah Heep senza patemi.
Un gradevole tuffo in un passato attualizzato.
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