MEZZ GACANO & ZONE EXPÈRIMENTALE
Froka (2016)
Lizard Records
Non è semplice presentare il progetto Mezz Gacano, una creatura che negli anni ha assunto varie fisionomie (mai semplici), e ancora più arduo è presentare in poche parole l’idea musicale del progetto. Un dato però è certo, il suo ideatore: David(e) Nino Urso Mezzatesta.
L’album in questione, poi, vede incrociarsi sulla stessa rotta Mezz Gacano e l’ensemble svizzero sperimentale Zone Expèrimentale. Da questo incontro, e dai concerti registrati tra il 15 e il 16 gennaio 2013 presso il Mitte di Basilea e Le Pantograph di Moutier, nasce Froka, un album che raccoglie parte delle partiture composte nei quindici anni precedenti da Mezzatesta (che negli anni ha assunto definitivamente il nome Mezz Gacano), co-arrangiate con Flavio Virzì ed eseguite da Dario Lo Cicero (flauto, synth, strumenti auto-costruiti), Sara Bagnati (violino), Sofia Ahjoniemi (fisarmonica), Flavio Virzì (chitarra elettrica), Mezz Gacano (chitarra elettrica), Marco Lo Cicero (contrabbasso, basso elettrico), Franziska Fleischanderl (dulcimer), Julien Megroz (batteria, vibrafono), Johannes von Buttlar (batteria, percussioni, toy piano).
Detto ciò proviamo ad “entrare” in Froka e quello che incontriamo è sperimentazione sonora tout court, nessuna volontà, da parte di Mezz Gacano, di essere compreso al primo ascolto (e forse neanche al quinto). Pura e semplice arte che sgorga dall’interno e, come ogni forma d’arte che si rispetti, sincera e personale.
È di certo l’indole avant-prog/R.I.O. l’elemento che maggiormente emerge dalle idee di Mezz Gacano. Ecco quindi affiorare dalle note di Froka tutta la schiera “avanguardistica” che ha ben difeso la corrente artistica: Henry Cow, Art Zoyd, Art Bears, Univers Zero, Samla Mammas Manna, Aksak Maboul. Ma ci sono anche echi zappiani, una complessità che richiama, ad esempio, gli Yugen di “Iridule” con tonalità meno scure e qualche sprazzo folle alla The Residents. E poi c’è anche quel carattere cinematografico che non guasta affatto.
L’unica nota apparentemente semplice è la cover dello stesso Mezzatesta, forse ispirata alle opere di Mark Rothko.
Froka. È il vispo flauto di Dario Lo Cicero ad aprire l’album. Ben presto si accodano, ricalcando lo stesso percorso, alcuni degli elementi di Zone Expèrimentale e il brano assume una forma cameristica. E con l’ingresso della sezione ritmica il breve brano assume una fisionomia molto più cupa, prima di esplodere nel finale.
Suoni diluiti e sinistri aprono l’enigmatica Okain Loiknaf, poi il sentiero si fa tortuoso: ogni elemento mostra il proprio “punto di vista” contribuendo a creare frammenti cinematografici e tensivi che si alternano e si fondono ad altri più free. Tutto un po’ Univers Zero.
L’episodio Lioschi Lioschije è suddiviso in cinque parti non continuative, eccetto per le prime due. Un passo elefantiaco caratterizza l’apertura della prima parte (I. Sull’album le cinque parti non hanno elementi grafici distintivi, per comodità useremo i numeri romani), con innesti nervosi di fisarmonica e flauto su tutti. Poi è un crescendo alienante sino alla sferzata distorta che, per un attimo, arresta il flusso vorticoso che stordisce sino alla fine.
Una sorta di soave candore ci introduce in Lioschi Lioschije II, nonostante a tratti i suoni risultino eccessivamente pungenti. Hai poi inizio un “battibecco” tra violino, vibrafono, ritmiche e flauto, risolto infine da quest’ultimo il quale lancia una melodiosa andatura scalfita a tratti dalla manifestazione delle chitarre.
Con Bechamel emerge l’anima più cervellotica di Mezz Gacano & Zone Expèrimentale. Una parte iniziale a prima vista schematica, lineare, ben resa dal sovrapporsi “educato” di flauto, basso e violino, è in seguito sovvertita, destrutturata, “violata” dalle follie del gruppo, una sorta di saliscendi zappiano in cui il ricordo iniziale sembra svanire per poi ricomparire rivoluzionato, tra valanghe di suoni eterodossamente ma intelligentemente accostati che sfociano in un finale dalla fisionomia quasi jam.
Altro caleidoscopio sonoro è Lioschi Lioschije III, brano in cui si passa con disinvoltura dall’avvio classico e sereno a passaggi folli ed estranianti, da frammenti articolati a sfuriate distorte. È vietato cercare appigli, ogni attimo può accadere (e accade) l’imprevisto che muta di netto il quadro, una caratteristica in cui il gruppo si riconosce pienamente.
Prosegue il cammino non lineare con Kitch Bitch Beach dove a ripide “cascate” di matrice quasi crimsoniana, in cui emergono alla grande, dal magma sonoro, ritmiche e vibrafono, si alternano fasi in cui, sempre i due protagonisti citati, fraseggiano meno caoticamente, tutto immerso in uno sfondo un po’ sinistro.
Il piacevole crescendo che apre Lioschi Lioschije IV ha un’anima classica riletta in chiave Mezz Gacano & Zone Expèrimentale. E, dopo una parentesi molto cupa e tesa, la fisarmonica di Ahjoniemi dona un lieve tocco luminoso ben presto assorbito dal contesto antitetico.
Con Strategia n. 1 si raggiungono momenti di “delirio ragionato” in cui si incontrano The Residents e Frank Zappa: ogni elemento del progetto appone la propria pennellata su una tela a prima vista priva di significato. L’etereo intermezzo certifica l’intelligenza di fondo dell’episodio.
L’avvio soffice di Lioschi Lioschije V, con il pacato intreccio di flauto e violino, è molto poetico. Come però abbiamo ormai imparato, non durerà molto. Infatti, ben presto, subentrano elementi “disturbanti” in abbondanza e il tragitto diventa spigoloso lasciando esplodere tutta la vena sperimentale e free di Mezz Gacano & Zone Expèrimentale.
A coronamento dell’album troviamo Finale, brano che riassume in poco più di sei minuti quanto ascoltato sinora (ma non solo). Ed è tra sprazzi cameristici, bizzarrie sonore, cambi di ritmo ed atmosfere cinematografiche che si giunge al vorticoso e nero finale: una tempesta di suoni che frastorna e lascia senza respiro. Una chiusura degna di un lavoro senza dubbio sopra le righe.
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