spiritDzoe (2014)
Diplodisc
Dopo otto anni di lavori realizzati con il Collettivo Unfolk, e prima di partecipare all’album “Suite degli Animali Fantastici” (2015) dei Quanah Parker (band in cui ha militato anche nei primi anni ’80), Alessandro Monti si “regala” il primo lavoro solista: spiritDzoe.
Va precisato sin da subito che per approcciarsi al lavoro di Monti bisogna essere “preparati”: l’immediatezza, intenzionalmente, è forse l’ultima delle caratteristiche dell’album. Siamo, infatti, di fronte ad un lavoro che si muove tra sperimentazione, minimalismo, improvvisazione, musica astratta, il tutto permeato da un intimismo che si scorge lungo l’intero percorso. Una ricerca del suono che a tratti può sembrare “irritante” ma che, anche in questo, ha la sua forza espressiva. “Nel riascoltare la Suite ho avuto la netta sensazione che più che un suono di ricerca, io abbia intrapreso una sorta di ricerca del suono che per il sottoscritto sembrava ormai perduto… qualcosa che si concretizza solo nella parte finale col ritrovamento del ritmo primitivo”.
E se il particolare titolo, composto dalle parole “spirit” e “zoe” (“termini casualmente legati alla musica”), arricchite da quella “D” al centro che fa inciampare la pronuncia e ha uno strano effetto recitato! Insomma una parola casuale, ma magica, che a mio parere descrive la musica altrimenti di difficile classificazione (dall’intervista rilasciata ad Athos Enrile) suona “strano”, il sottotitolo “8 rituali in forma di suite”, invece, dona, forse una prima, fugace, chiave di lettura: un cerimoniale in otto passaggi che, dopo una prima forte scossa (e risveglio) iniziale, guida verso un’ascesa spirituale che s’interrompe con i capitoli finali dell’album. Anche se l’eloquente frase riportata all’interno della confezione (la sequenza (dei brani) è solo indicativa, una riproduzione random della suite è consigliata), “scompagina” questa possibile chiave di lettura…
Per rendere concreto tutto ciò Alessandro Monti “gioca” con suoni elettronici, feedback di mandolino elettrico, chitarra acustica 12 corde, chitarra elettrica 6 corde, basso, mandolino, vibrafono, pianoforte, oboe e fagotto (virtuali), tracce separate di percussioni: triangolo, maracas, claves, shekere, campana (continuo), tre diverse campane (rintocchi), piattini, campanelli, sfere risonanti, gong, tamburo africano, timpano batteria, battimani.
Parte 1. Monti chiede sin dalle prime battute un “atto di fede” all’ascoltatore: per circa sei minuti, un feedback di mandolino elettrico (coadiuvato da un drone), il quale “snerverebbe” anche il primo dei suoi fan, penetra nei più reconditi abissi del cervello. Sembra quasi un’estremizzazione del brano “Rumore bianco” dei Dedalus (in “Materiale per tre esecutori e nastro magnetico”). Superato questo scoglio, tutto sarà possibile e si verrà ripagati.
Il premio che si riceve al superamento di Parte 1 è la rilassante e ipnotica Parte 2: un lungo loop di chitarra acustica, arricchito da morbidi inserti di vibrafono e da brevi interventi di una seconda chitarra. Un fresco ricordo di uno dei momenti più intimi (e strumentali) cari a Moltheni/Umberto Maria Giardini. Il tutto ispirato dalla silenziosa nebbia di gennaio in campagna e sulla laguna.
Parte 3. Prosecuzione concettuale del brano precedente è la descrizione dell’imprevista uscita del sole dopo una lunga stagione piovosa. Due chitarre sovrapposte creano un’armonia ciclica rasserenante tenendo, però, “sulle corde” chi ascolta in attesa di qualcosa che non avverrà mai. Sulla scia del Battiato “estremo” di “Zâ” o “L’Egitto prima delle sabbie”.
Parte 4. Sempre più magnetica la chitarra di Monti e l’atmosfera, grazie anche agli interventi di basso e piano, ben collocati lungo il percorso, si fa meditativa. La seconda parte del brano diviene quasi “estraniante”, qui l’artista percorre la strada della pura improvvisazione, rallentando progressivamente la successione delle note di basso, ma mantenendo inalterata la velocità della base: l’effetto é quello di un suono che gradualmente si stempera nello spazio, perdendo i riferimenti ritmici. Un viaggio infinito nel proprio “io” al termine del quale sarà difficile quantificare il tempo trascorso tra le “onde” di Monti.
Solenne, emozionante e cinematografica la breve Parte 5. Il soave intreccio di oboe e fagotto virtuali scioglie anche gli animi più duri e permea nelle ossa delicatamente.
Largo all’elettronica con Parte 6. Un flusso sintetico corposo, articolato e avviluppante è il filo conduttore di un brano che si muove egregiamente tra l’Arturo Stalteri de “Il prisma magico” e il Terry Riley di “A rainbow in curved air”. Sul finire l’inserto di chitarra dona un tocco più “terreno” all’episodio.
E con Parte 7 Monti torna a giocare con la “pazienza” dell’ascoltatore: tre minuti di continuo scampanellio (campanelli, piattini, sfere risonanti) che di certo non suonano come carezze… L’idea di fondo del brano può ricordare a tratti “Elegia” di Lino Capra Vaccina.
Parte 8. Col brano conclusivo Monti passa ad un vasto campionario di percussioni che va dalle maracas allo shekere, passando per claves e tamburo africano, costruendo un’atmosfera tribale coinvolgente che va in crescendo, un po’ alla Aktuala. Gli ultimi due brani sono gli unici ad esser stati composti prima di entrare in studio. Così Monti: pezzi sopravvissuti dall’originario progetto di Musica Rituale che traeva ispirazione da un viaggio in Africa, dallo studio approfondito della musica di Don Cherry e dall’esperienza musicale assieme ai ragazzi disabili che mi ha dimostrato le potenzialità umane, psicologiche e fisiche della ricerca ritmica.
Un lavoro polimorfo, particolare e di certo non adatto a tutti i “palati”.
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