GIGI PASCAL E LA POP COMPAGNIA MECCANICA
Debut (1973)
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Dopo aver intrapreso la carriera melodica solista negli anni ’60, Giancarlo D’Auria, in arte Gigi Pascal, decide di fare un salto negli “ambienti progressivi” e, nel 1973, incide un album (Debut) col nome di Gigi Pascal e La Pop Compagnia Meccanica (una scelta “onomastica” che richiama quella dei conterranei Fabio Celi e Gli Infermieri).
Del gruppo che accompagna Pascal si sa ben poco. Solo del batterista, Fulvio Marzocchella, conosciamo nome e cognome e sappiamo esser stato turnista, tra gli altri, di Umberto Bindi e Patty Pravo, mentre degli altri tre conosciamo solo il nome di battesimo: Arturo (chitarra), Mario (organo) e Franco (basso). La Pop Compagnia Meccanica entra quindi di diritto nella galleria delle band “misteriose” del prog italiano dove, solo fino a pochi anni fa, vi facevano parte anche Underground Set, Psycheground Group e Planetarium.
L’album è un mix di atmosfere beat e (soft) prog, sulla scia di Capricorn College, Dik Dik, Flashmen e Gleemen. I musicisti sono di buon livello e lo dimostrano senza mai eccedere più di tanto, soprattutto Marzocchella e Mario, i quali risultano essere i protagonisti del disco insieme a Pascal.
Debut si apre con La tua voce. Il coro iniziale, reso molto solenne dall’organo, richiama alla mente quello in apertura di “Suite bambini innocenti” dell’Officina Meccanica, poi il brano viaggia su frequenze decisamente tendenti al beat dei ’60, con l’organo di Mario che fa da tappeto alla voce di Gigi Pascal (un mix tra Nico Di Palo ed Erminio Salvaderi). Solo Marzocchella cerca di dare sprazzi più vivaci con la sua batteria.
L’avvio di Ormai, con il suo ritmo lento, sembra continuare il discorso avviato in precedenza, ma una bella accelerata di batteria ed organo scuote per alcuni secondi gli animi (portano alla mente un’atmosfera da Orme). I cori che inframmezzano e seguono le galoppate fanno ripiombare il brano nel decennio precedente.
Con i primi secondi di Fuga in SI minore la band entra di prepotenza nei territori progressivi. Notevoli le fughe classicheggianti di organo, mentre la batteria e il basso martellanti tengono ottimamente il passo così come la chitarra. Un vortice sonoro pregevole e mai eccessivo. E, dopo una pausa in cui si viene coccolati dalle onde e da una lieve chitarra, eccoci giunti in un’atmosfera western cinematografica con una cavalcata alla Ennio Morricone. L’ultimo minuto e mezzo è affidato alla fantasia solitaria di Marzocchella e alla sua batteria.
Crescente prosegue quanto di buono fatto con il brano precedente. Marzocchella continua a correre, Arturo, con la sua chitarra, si lancia in territori quasi funky, l’organo di Mario si mantiene su buoni livelli e su tutto c’è la voce di Pascal. Dal secondo minuto la band si lancia in un segmento tribale/psichedelico prima di chiudere nuovamente con Pascal.
Debut. La title track è un concentrato di atmosfere cangianti, si va dalle rapide soluzioni progressive al beat estivo, dalle divagazioni classiche/barocche dell’organo al momento melodico con tanto di cantato. Tutto questo in tre minuti.
La partenza di Oriente ci riporta alla melodia sessantiana del brano iniziale, con Pascal che canta su di un leggero arpeggio di chitarra. Poi il brano prende forza grazie ad una nuova accelerata, con l’organo di Mario (lo troveremo anche nel finale) che sembra richiamare il Tony Pagliuca della parte centrale di “Uno sguardo verso il cielo”, ad un frammento “medievale” e a vari giochi sonori. Affascinanti anche gli sprazzi quasi jazz ai due minuti.
È con Un concerto che si ritorna completamente agli anni ’60. L’organo alla Procol Harum fa da sottofondo, con chitarra, basso e batteria molto moderati, al cantato di Pascal, il tutto vicino alle soluzioni dei Camaleonti. Un po’ di vitalità si ha quando la batteria decidere di picchiare più forte, mentre anche durante l’assolo di chitarra il clima resta leggero.
Io mi diverto. Anche l’intro del brano finale è affidato all’organo e Mario non si lascia di certo pregare offrendoci un nuovo interessante esercizio di stile classicheggiante. Poi il brano prende corpo con l’ingresso di batteria, chitarra e coro beat, interrotto solo da un frammento dove viene lasciato spazio alla fantasia di Arturo e Marzocchella.
Di certo non sarà un album basilare per il prog italiano, ma possiamo cogliere spunti interessanti che permettono di aggiungere un nuovo tassello nel panorama dei ’70 nostrano.
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