Diamo il benvenuto a Marco Gemmetto (M. G.), Guglielmo Campi (G. C.), Donato Di Lucchio (D. Di L.), Lorenzo Checchinato (L. C.) ed Emanuele Vassalli (E. V.) dei Liquid Shades. Partiamo da una domanda forse banale: come nasce il progetto Liquid Shades? E la scelta del nome (facendo una semplice ricerca sul web con le parole “Liquid Shades”, soprattutto nella sua sezione immagini, si ottiene un numero enorme di risultati riguardanti prodotti cosmetici!)?
M. G.: Il progetto Liquid Shades nasce nel lontano 2007 da un idea mia e dell’allora bassista di creare una nuova linea di prodotti cosmetici per rivivere le occhiaie dei “doposbornia” dei musicisti. Ma, non essendoci riusciti dopo diversi tentativi abbiamo deciso di darci al prog. E così abbiamo provato ad unire sonorità del periodo d’oro del progressive anni ’70 sia italiano che non, a sperimentazioni più moderne… primo frutto fu appunto il nome della band, che tenta di richiamare qualcosa di non ben definibile, come un’immagine astratta di qualcosa che non può esistere nella realtà ma puoi immaginarla.
G. C.:Io, da ultimo arrivato, posso dire poco della vera e propria genesi del gruppo, ma devo ammettere che il nome mi piace e suona decisamente psichedelico, non ha a che fare con prodotti cosmetici…
Il 2009 è l’anno della realizzazione del vostro primo EP. Quali sono le caratteristiche principali del lavoro d’esordio?
M. G.: Nel 2009 era ancora attiva la prima formazione della band, quella con cui ho realizzato l’EP 2010, e che vedeva tutti elementi diversi dalla formazione attuale eccetto me. Quello è stato un lavoro conclusivo di un periodo in cui portavamo in giro per i concerti un concept legato al brano “Reaching for Freedom” e suonavamo tutte le canzoni inedite che avevamo all’epoca. I brani erano all’incirca quelli che si possono sentire ora, ma avevamo un organico di soli 4 elementi, quindi gli arrangiamenti erano molto più essenziali e c’era una concentrazione maggiore nel ricreare atmosfere psichedeliche. L’EP 2010 fu registrato in presa diretta in un solo giorno e mixato il giorno seguente, quindi è praticamente una versione live di come suonavamo allora. Seppur anche il secondo EP della band, ovvero quello del 2014, fosse anch’esso un “demo migliorato”, non c’è alcun paragone con la qualità di registrazione tra i due lavori.
Il rinnovamento della formazione avvenuto nel 2012 ha portato anche ad un’evoluzione nel modo di “fare musica” dei Liquid Shades? Quali sono le differenze sostanziali col passato? Leggiamo nella vostra bio, ad esempio, l’inserimento dei fiati.
M. G.: Il rinnovamento totale della formazione è stato una manna dal cielo perché, con musicisti nuovi e molti strumenti aggiuntivi, sono finalmente riuscito a trovare il sound che avrei sempre voluto per il progetto. L’aggiunta dei fiati è naturalmente la cosa che si nota di più al primo ascolto, ma in particolare è cambiato il modo di lavorare sui brani, dalla scrittura all’arrangiamento.
D. Di L.: La disponibilità di impiegare fiati all’interno della band secondo me amplia moltissimo le possibilità creative in fase di stesura e composizione dei brani. Influenza tutto il modo di pensare della band, e anche durante i concerti consente al pubblico di poter provare percezioni differenti derivanti dall’intreccio delle varie sonorità.
Come si “gestisce” una formazione “allargata” (al momento con sette elementi) durante la fase compositiva? L’avere a disposizione un consistente parco strumenti sviluppa maggiormente la creatività nella scrittura?
M. G.: La gestione della band a 7 elementi è qualcosa di inspiegabile a parole. Io da fondatore del progetto spesso cerco di dare delle direttive ma fortunatamente tutti i ragazzi cercano di dare il massimo per aiutare ad organizzare al meglio i lavori, e questa cosa è fondamentale. C’è però un grande feeling e voglia di fare in ognuno di noi, e crediamo tutti molto nel progetto, quindi è sempre un piacere fare le cose insieme agli altri ragazzi della band perché siamo tutti grandi amici ormai, oltre che compagni d’avventura in questo progetto musicale. Per quanto riguarda la fase compositiva è come avere un foglio di carta bianco e infiniti tubetti di colori per ogni nuovo brano. Diciamo che è il sogno di ogni musicista poter avere tutti questi strumenti a disposizione già dalla fase creativa e non solo nelle fasi di arrangiamento finale.
D. Di L.: La gestione del nostro gruppo e dei nostri pezzi è quanto meno originale: i brani fatti e finiti possono nascere da riff di alcuni strumenti, possono essere totalmente improvvisati, o possono essere già tutti scritti su pentagramma con le voci per ogni strumento, pensati ed ideati da qualcuno di noi.
L. C.: Certamente l’avere un’ampia scelta di strumenti può aiutare molto: un timbro inusuale può fare la differenza. Per quel che riguarda il “metodo compositivo” dobbiamo capirlo anche noi, alcune parti vengono proposte da uno o più componenti, mentre altre nascono proprio per caso durante una jam-session.
G. C.: In effetti la scelta di mantenere una formazione abbastanza allargata porta molti vantaggi in fase compositiva e anche in sede live per quello che riguarda la pienezza di sound anche in contesti molto “amatoriali”; c’è però il rovescio della medaglia in entrambi i sensi, infatti sia in studio che dal vivo supportare con idee e strumentazione adeguate una formazione così nutrita può rivelarsi un problema, senza contare le inevitabili difficoltà che nascono cercando di far combaciare le tempistiche e gli impegni di tutti noi.
Recentemente ho recensito il vostro ultimo lavoro “EP 2014” apprezzandone le idee e le sonorità in esso contenute. Vi va di raccontare la genesi dell’opera?
M. G.: EP 2014 è sostanzialmente un “demo fatto meglio” rispetto a quello che era il primo EP del 2010. Non lo considererei un’opera in quanto è solo un piccolo assaggio dei brani che usciranno nel l’album a cui stiamo lavorando, ma siamo comunque molto felici che stia riscuotendo pareri positivi perché abbiamo lavorato moltissimo ai nuovi arrangiamenti.
D. Di L.: Secondo noi era arrivato il momento di incidere qualche brano con la nuova formazione per poter consentire a tutti di avere in macchina una copia del nostro lavoro e per farci capire come suonano i nostri brani in studio.
L. C.: Per lo più è la rigenerazione dell’idea originale di Marco Gemmetto, una rivisitazione più matura ed evoluta con qualche sorpresa in più. Anche per Marco stesso.
G. C.: Io, pur avendo apportato modifiche a quasi tutte le parti scritte dal mio predecessore, devo dire che posso parlare realmente di composizione personale solo per il brano “To Glimpse the Oneiric Shades”, perché tutto il resto è materiale composto precedentemente il mio ingresso in formazione. Posso dire però che, nonostante credo sia il pezzo più breve dell’EP, la sua genesi sia stata una vera sfida musicale (anche nel prog non sempre lunghezza equivale a difficoltà o viceversa!). Registrazione e mixaggio sono entrambi stati effettuati da noi e, nello specifico, Lorenzo ha fatto tutto il lavoro negli studi in cui lavora, consentendoci di non spendere praticamente nulla per la realizzazione del prodotto finale. Per quello che riguarda l’esecuzione, le tracce sono state registrate molto “di getto”; il risultato mi è sembrato quello di un feeling molto naturale e devo dire che ne sono soddisfatto!
Tra le influenze che si “leggono” nel disco, almeno secondo il mio orecchio, troviamo King Crimson, Van der Graaf Generator, Soft Machine, ma anche band italiane come i Malibran. Qual è il vero “peso” delle influenze settantiane (e non solo) in questo lavoro?
M. G.: Il sound degli anni ’70 è stato fondamentale nella mia formazione musicale e naturalmente questo lo si può sentire nelle mie creazioni. Per quando riguarda il sound della band sì, c’è una grande ispirazione a band del rock e del prog più classico, ma molto meno di quello che si possa pensare. In realtà il mix di sonorità che ciascuno di noi porta all’interno della band è molto più vario e articolato dell’influenza che possono avere avuto certe band sul singolo componente.
D. Di L.: Tutte le esperienze musicali personali di ogni componente della band incidono sul sound del gruppo, e inoltre tra di noi ci contagiamo e ci consigliamo ogni giorno musica nuova.
L. C.: Ovviamente le nostre radici sono molto importanti anche se sono tutte diverse: ogni componente ha origini musicali totalmente differenti e questo può creare una combinazione vincente, lo si capisce perché persino voi avete notato influenze di gruppi che mai nominiamo né in sala prove né in birreria.
E. V.: Ritengo che uno dei nostri pregi sia quello di non avere alcun tipo di barriere musicali o creative, e forse è proprio questo che fa accostare il nostro gruppo al progressive. In realtà non è solo ciò che ascoltiamo che influisce sui nostri brani, ma anche il nostro stile di vita, l’ambiente in cui viviamo, i nostri studi, e soprattutto la nostra grande curiosità.
G. C.: Non posso dire di possedere uno stile batteristico molto settantiano, ma le influenze ci sono e si sentono!
Due ultime curiosità su “EP 2014”: perché avete deciso di scrivere i testi in inglese? E perché la scelta di un titolo così “asettico”?
M. G.: Tutti i testi sono stati scritti da me e arrangiati e tradotti poi da Matteo ed Emanuele. Per i primi testi che ho scritto si è scelto l’inglese perché sia l’armonia delle parole usate sia la metrica delle frasi sarebbero risultate forzate in italiano. Adoro comunque il cantato in italiano nella musica, e infatti nel prossimo album inseriremo alcuni brani cantati nella nostra lingua. Per la scelta del titolo EP 2014 rimando alla mia risposta di prima, ovvero al fatto che questo è solamente un anticipo del CD, e in quanto tale ci tenevamo a far capire che non ha le pretese di un’opera o di un lavoro di logica ma solamente di un “demo fatto meglio” per dare un piccolo assaggio di chi siano i Liquid Shades!
E. V.: La scelta della lingua inglese nei brani dell’EP non è stata complicata o sofferta. Molto semplicemente ci sembrava da subito la più adatta. Così come per gli altri strumenti, nemmeno per il cantato ci poniamo limiti. Non escludiamo a priori nemmeno lingue come l’arabo, il calabrese, l’eschimese, o addirittura lingue inventate: di volta in volta scegliamo quella che più si addice al brano, senza pensare a quale sia la più utile per il mercato o per essere cantata nei karaoke giapponesi!
Venendo allo stato attuale della musica progressiva italiana e del panorama relativo alle giovani band, esistono difficoltà nel promuovere la propria musica tali da sentirsi quasi “obbligati” a ricorrere all’autoproduzione? E sul fronte concerti qual è la situazione?
M. G.: Esistono band progressive italiane emergenti non autoprodotte o che escono con un primo album prodotto da major? Senza dover pagare l’inverosimile per far uscire in commercio un loro primo lavoro? I tempi sono cambiati e non c’è bisogno che diciamo noi quanto sia degradante e umiliante per i musicisti di oggi provare a far valere i sacrifici di una vita dedicata alla musica…
D. Di L.: Noi puntiamo a far girare il più possibile il nostro EP, e in generale la nostra musica. Quanto ai concerti, al momento contattiamo personalmente qualsiasi tipo di locale che sia disposto a farci suonare, senza fare nessuna discriminazione di luoghi e di pubblico.
L. C.: Purtroppo la nostra è una generazione che non ha molta pazienza, i ragazzi cercano melodie e ritmi che colpiscano immediatamente. Noi suoniamo musica da ascoltare e da capire, e questa la vedo personalmente come un’arma a doppio taglio, che però non cambierei mai. Comunque ultimamente vediamo sempre più consensi tra i nostri coetanei. Una vittoria non da poco.
E. V.: Le difficoltà che incontriamo noi le incontra qualsiasi gruppo, sia sul piano della promozione sia per quel che riguarda i concerti. In questo caso la cosa migliore da fare è agire come una piccola azienda: utilizzare strategie di marketing efficaci e adattate ad ogni diversa situazione, lavorare sempre seriamente e senza sosta, ma soprattutto non perdersi d’animo se i risultati non arrivano subito né tanto meno fermarsi o montarsi la testa non appena arriva qualche soddisfazione.
Al momento siete impegnati nelle registrazioni del vostro primo lavoro “lungo”. Vi va di anticipare qualcosa? C’è l’intenzione di proporlo a qualche etichetta discografica o anch’esso verrà autoprodotto?
M. G.: Al momento siamo intensamente al lavoro sul nostro primo album e infatti siamo eccitatissimi perché finalmente dopo tanto lavoro potremo chiudere una parentesi che abbiamo aperto da troppo tempo e, si sa, ognuno è sempre fiero delle proprie fatiche ma in questo caso noi faremo in modo che possa uscire il meglio delle nostre possibilità e anche di più! Possiamo anticiparvi che il titolo dell’album sarà “Reaching for Freedom” e sarà un album tematico, ma non un concept: tutte le tracce e i testi avranno un filo tematico comune e vi saranno dei “mini-concept” all’interno. Per quanto riguarda la produzione abbiamo già alcune proposte, ma siamo ancora aperti a qualsiasi offerta.
L. C.: Stiamo tastando il terreno inviando l’EP a diverse etichette di distribuzione, ma nel frattempo ci stiamo concentrando sulla realizzazione dell’album con tutte le nostre forze.
G. C.: Per il momento quelle di batteria rimangono le uniche tracce complete, il lavoro quindi è ancora decisamente in fieri. Il lavoro che vi ho svolto mi ha decisamente soddisfatto perché ho avuto la possibilità sia di registrare pezzi mai fatti prima, sia di far “cantare” e di dare corpo in maniera definitiva a quelli già inseriti nell’EP rendendoli di fatto miei e dandone una versione discografica definitiva. Il lavoro è stato registrato al Drums Percussions Recording Studio di Massimo Malaguti (che ringrazio moltissimo per disponibilità e consigli!) in centro a Ferrara e ancora non è certo se ci affideremo ad una casa discografica per distribuire il prodotto finale ma sicuramente cercheremo, da soli o appoggiati che sia, di farlo girare il più possibile.
Ci sono altre novità all’orizzonte (concerti, videoclip, ecc.)?
M. G.: So che remiamo sempre controcorrente ma in questo senso siamo una band “all’antica”. Stiamo lavorando soprattutto sulle registrazioni al momento e nei tempi liberi stiamo già scrivendo nuovo materiale per i prossimi lavori, quindi amiamo concentrare l’interesse più sull’aspetto creativo e musicale che di immagine. Per quel che riguarda i concerti, con l’estate sicuramente ci potrete vedere più spesso in giro e speriamo anche in contesti più importanti di quelli che già abbiamo sondato.
E. V.: Nonostante il nostro impegno nella registrazione di questo album sia davvero notevole, abbiamo deciso di non interrompere la nostra attività live, sia per non perdere l’abitudine di stare sul palco, sia per continuare a diffondere la nostra musica ovunque. Inoltre, durante le prove stiamo continuando a scrivere nuovi brani, e ogni giorno ognuno di noi sforna numerose idee. Ultimamente i nostri lavori stanno riscuotendo interesse e apprezzamento anche all’estero, dove radio, riviste e siti internet analizzano e recensiscono il nostro ultimo EP. Chissà quindi se qualche novità non arrivi proprio dall’estero…
Grazie davvero per la bella chiacchierata!
G. C.: Grazie mille!
(Aprile 2015)
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