Diamo il benvenuto a Paolo Faenza, batterista e membro storico dei Semiramis. Ciao Paolo!
P.F.: Salve a tutti voi!
Prima di parlare dell’avventura con i fratelli Zarrillo & Co., conosciamo meglio i tuoi “primi passi”. Come e quando nasce l’amore per la musica e per la batteria in particolare? Hai suonato in qualche altro gruppo prima dell’esperienza Semiramis?
P.F.: Allora, a 10 anni per Natale mio padre mi regalò una chitarra, perché ero già fissato con la musica. Dopo aver imparato qualche accordo, ascoltai, con un giradischi stereofonico di mio padre, “Homburg” dei Procol Harum e per la prima volta riuscii a distinguere nettamente il lavoro della batteria (dal ride alla cassa, al rullante), cosa che nei dischi italiani, missati in modo pessimo, non avevo mai colto. Ne rimasi folgorato! Poco dopo arrivò una batteria quasi giocattolo e qualche mese dopo una Hollywood Meazzi (usata!). Parliamo del ’67. Un compagno di classe mi disse che aveva un gruppo e che stavano cercando un batterista. Non ebbi esitazioni e accettai. Dopo un paio di mesi esordimmo in una rassegna di musica in una parrocchia nel quartiere Prenestino di Roma, dove io vivevo. Mi ricordo due pezzi di quelli che suonavamo: “Venus” degli Shocking Blue (la cantavo io) ed “Eternità” dei Camaleonti. Dopo qualche mese il chitarrista ci mollò. Parlando di questo problema con un compagno, lui mi disse: “Ho un amico che è un fenomeno, all’uscita te lo presento!”. All’uscita, io: “Piacere, Paolo Faenza”, e lui: “Piacere, Giampiero Artegiani”. Da quel giorno, tranne che per brevi periodi, non ci siamo più separati. Nel periodo tra il ’68 ed il ’72 ebbi varie esperienze con gruppi diversi, fra i quali uno in cui Giampiero non c’era, Lo Specchio dei Sensi, con me alla batteria, Michele Zarrillo alla chitarra e alla voce, Stefano Piermarioli (poi R.R.R.) alle tastiere e un bassista di cui ricordo solo il nome, Tony. Era un progetto di musica originale che però non durò molto. Tuttavia Eddy Ponty – che aveva conosciuto il talento di Michele ascoltandolo in un locale con il trio Piccoli Lords – ci invitò a salire sul palco del Piper durante “Controcanzonissima” per suonare mezz’ora della nostra musica. Il problema era che io e Stefano avevamo 14 anni, Tony 15 e Michele 13 e mezzo!!! L’emozione era altissima, ma forti del nostro talento e con un grandissimo “culo in faccia” suonammo mezz’ora di bellissimo rock! Seguirono diverse esperienze con Giampiero e altri musicisti, suonando cover di gruppi rock, fino al momento di Semiramis.
Il tuo nome è legato indissolubilmente a quello dei Semiramis, nonostante la nascita del gruppo risalga al 1970 e il tuo ingresso pochi anni dopo. Conoscevi già la band prima del tuo arrivo? Sei al corrente di qualche dettaglio sulla loro genesi?
P.F.: Certo, ci conoscevamo un po’ tutti lì nel quartiere di Centocelle, ma mentre io, Michele e Giampiero suonavamo con diverse band di notevole livello, acquisendo una buona preparazione tecnica sui nostri rispettivi strumenti, Maurizio Zarrillo e Marcello Reddavide, con Memmo Pulvano, iniziavano a suonare componendo musica legata a testi di ispirazione varia, molto psichedelici. Io e gli altri ogni tanto assistevamo alle loro prove con grande curiosità.
Si narra che a suggerire il tuo ingresso in formazione sia stato Giampiero Artegiani. Come sono andate realmente le cose e qual è stato l’impatto con la band?
P.F.: Dopo il concerto di Villa Pamphili e altri due concerti, Memmo Pulvano abbandonò il gruppo per motivi familiari. Michele a quel punto chiamò il batterista che suonava con lui nei Piccoli Lords, Settimio Corà, e poco tempo dopo chiamò anche Giampiero, che in quel momento suonava con me. Lui accettò e io non la presi molto bene. Dopo circa un mese, però, i pessimi rapporti fra Michele e Settimio portarono alla rottura e fu a quel punto che entrai nei Semiramis. Ricordo che trovai un ambiente in evoluzione, con Michele che tirava il carro e gli altri molto ben disposti a crescere e ad essere propositivi!
Il tuo ingresso nei Semiramis si concretizzò poco prima dell’entrata in studio per le registrazioni di “Dedicato a Frazz“. È vera la storia che vede attribuire a Michele Zarrillo la scrittura musicale dei brani del vostro unico album?
P.F.: Questa è un’inesattezza. Noi entrammo in studio, alla Regson di Milano, il 17 settembre del ’73. Nel ’72 io e Giampiero lavorammo per circa un anno nella sala prove di Michele e Maurizio. Credo sia giusto sapere che nei tre concerti iniziali non c’era nessun pezzo di “Dedicato a Frazz“, che nacque interamente con questa formazione. Infatti, anche se il 70% della musica partì da spunti e riff di Michele, anche io e gli altri contribuimmo alla composizione dei brani del disco.
Il tuo apporto ritmico non si limitò di certo ad eseguire parti già scritte. Col tuo ingresso in formazione, infatti, comparvero un vibrafono e una Rogers. Come e in quale misura contribuisti alla definizione del sound della band?
P.F.: Non esistevano parti scritte, perché non esistevano pezzi! Marcello un giorno arrivò in sala e ci lesse la storia di questo personaggio che, prendendo le iniziali dei nostri cognomi, chiamammo FRAZZ. Quindi nacquero: “La Bottega del Rigattiere”, “Luna Park”, “Uno Zoo di Vetro”, “Per una Strada Affollata”, “Dietro una Porta Di carta”, “Frazz” e “Clown”! In un angolo della sala c’era un vibrafono, che un giorno portai a casa e iniziai a studiare! Tutte le ritmiche del disco e tutte le parti di vibrafono sono mie creazioni!
Una curiosità sul periodo precedente al tuo arrivo e sulla poco chiara “sostituzione” Maurizio “Macos” Macioce/Michele Zarrillo. Secondo Macioce il suo ruolo all’interno della band fu “usurpato” con furbizia da Michele, per altri (Pulvano) si trattò di un semplice “ricambio fisiologico” seguito alle prime prove di Michele col gruppo. Cosa sai al riguardo?
P.F.: Memmo (caro amico fraterno) è, a differenza di me che amo la chiarezza, un diplomatico! Quando Maurizio Zarrillo mandò la richiesta di partecipazione al MITICO Festival di Villa Pamphili e ricevette la risposta positiva ebbe un sussulto, perché si rese subito conto che il loro livello era sì buono, come intenzione e testi, ma non eccelso come livello musicale. Quindi riferì a suo fratello della possibilità di suonare insieme ai grandi del rock mondiale! La decisione fu inevitabile, anche perché quel Macos aveva fatto solo qualche prova con loro, e poi avere un talento come Michele, con il quale Maurizio Macioce non poteva assolutamente competere, avrebbe alzato notevolmente il livello della band!
C’è qualche aneddoto che riguarda quegli anni che ricordi con particolare interesse? Qual era e com’era vissuta l’atmosfera sociale e musicale in cui muovevano i loro passi Paolo Faenza e i Semiramis?
P.F.: Dunque, quando hai 17 anni, uno di 18 è moooooolto più grande di te, ed era un po’ la realtà della vita dei Semiramis: io, Giampiero e Michele, sempre insieme, invece Marcello e Maurizio, i “grandi”, un po’ più staccati. Certi giorni, Michele, Giampiero ed io, tutti e tre chitarra sulle spalle, entravamo dentro Cinecittà, dove il papà di Giampiero lavorava, e andavamo a cercare ispirazione fra villaggi Western abbandonati, la Rimini ricostruita e la sagoma del Rex del set di “Amarcord” di Fellini, che un giorno, uscendo da uno studio di posa, ci incrociò squadrandoci da capo a piedi, combinati come eravamo in quel periodo!
Cosa pensi di “Dedicato a Frazz” a distanza di oltre quarant’anni dalla sua pubblicazione?
P.F.: Molti lo considerano un capolavoro, una piccola perla di quel genere POP che più tardi sarà chiamato PROGRESSIVE. Io posso dire che è un disco ricco di musica di buon livello, eseguita con una notevole capacità sugli strumenti. Bisogna considerare il fatto che nel periodo in cui componemmo quelle musiche, l’unico che ascoltava un po’ di prog ero io; Michele non conosceva Genesis e compagnia bella, ma apprezzava i New Trolls, e dal suo originale modo di cantare si sente!
Il “romanzo” di Reddavide, i trucchi di scena di Artegiani e il sound dei Semiramis ci spingono a chiederti: chi è Frazz?
P.F.: Il caro Frazz, chi è? Uno psicopatico ingenuo, che vive benissimo nel suo mondo surreale, magico e divertente, che al Luna Park non vede il lucro di chi è dietro le luci e i giochi, che entra nel suo Zoo di Vetro fino alla sua “guarigione” che ne determina la morte (nei live rappresentata con l’impiccagione di un manichino su una forca a grandezza naturale!).
A rendere memorabile il vostro album ha contribuito anche l’incredibile e visionario artwork realizzato dall’artista inglese Gordon Faggetter (ex batterista di Cyan Three e Patty Pravo, nonché pittore quotato e grafico della RCA). Il fiabesco volto di Frazz in copertina e il surreale “Luna Park” dipinto all’interno hanno fatto di “Dedicato a Frazz” una delle più importanti icone del rock progressivo italiano. Ti va di spendere due parole in merito?
P.F.: Quando ci dissero di andare a casa di Gordon per vedere i quadri, rimanemmo affascinati da quel volto così strano, così “fuori”. Quegli occhi ci catturarono subito! Nessuno sa che esisteva un terzo quadro, oltre i due della faccia e dell’interno, che rappresentava la nuca di Frazz. La Trident, però, per risparmiare i soldi della stampa sulla busta interna del disco, la eliminò stampando i titoli sul retro.
Tra il materiale registrato vi è anche una “lacca” che include una versione di “Luna Park” diversa da quella contenuta nell’album, più un’inedita versione di “Frazz”. Che fine ha fatto questo materiale? C’è la possibilità di riprendere in mano qualcosa?
P.F.: Quella lacca ce l’ho io, gelosamente custodita, ma ormai l’ascolto è molto frusciante.
Nel 1974 lavorate al secondo disco che, purtroppo, non vedrà mai la luce. Quali sarebbero state le caratteristiche del nuovo album? Esiste qualche registrazione? E perché non se ne fece più nulla?
P.F.: Siamo andati per un paio di settimane negli studi della BASF a Roma, in via Nomentana, ma già si era rotto qualcosa! Purtroppo non ci sono registrazioni!
Poco dopo il cammino dei Semiramis si arresta. Come mai?
P.F.: Dopo una grande attività live, poco prima del concerto di Roma, per la presentazione dell’uscita di “Dedicato a Frazz“, Marcello e Maurizio lasciarono il gruppo: il panico! Li sostituimmo con due musicisti, forse tecnicamente superiori, ma il legame era forte e quella magia purtroppo era svanita. La presentazione fu fantastica, un grande concerto. Di spalla a noi c’era un giovane cantautore romano, Antonello Venditti, mentre tutti gli addetti ai lavori ci avevano ormai consacrato come fenomeni, vista la nostra giovane età. Dopo alcuni concerti tutto finì, quasi per inerzia e soprattutto senza esserci resi conto di ciò che avevamo creato!
Quanto ha influito avere nella propria formazione due artisti del calibro di Michele Zarrillo e Giampiero Artegiani che, di lì a pochi anni, sarebbero diventati grandi firme della musica italiana?
P.F.: Moltissimo! Michele era una locomotiva, Giampiero un poeta del pentagramma, io con loro sono cresciuto tantissimo! Io poi con Giampiero, dall’84 al ’91, ho lavorato come batterista e road manager nelle sue tournée estive, e all’inizio della sua carriera solistica anche con Michele!
Cos’ha fatto Paolo Faenza in questi ultimi 40 anni? La musica ha sempre fatto parte della tua vita?
P.F.: Dopo Semiramis, alla fine del ’74, mi sono fermato fino al ’78, quando con Giampiero abbiamo fondato un gruppo (Carillon) per cercare di lavorare nel pop, scrivendo brani del genere, ottenendo un contratto di quattro anni con la EMI, nei quali abbiamo fatto promozione in radio e TV ma senza sfondare, fino a quando Giampiero non ha iniziato la sua carriera di cantautore.
Il 26 giugno del 2014, in occasione del Progressivamente Festival di Roma, tornano sul palco i Semiramis. Accanto agli storici Paolo Faenza, Giampiero Artegiani e Maurizio Zarrillo troviamo anche volti nuovi quali Vito Ardito, Antonio Trapani, Ivo Mileto e Daniele Sorrenti. Chi è l’artefice della reunion? Ti va di presentare la nuova formazione?
P.F.: L’artefice di questa reunion è solo uno: Paolo Faenza! Un giorno di marzo ho alzato il telefono e ho chiamato l’amico di sempre, Giampiero Artegiani, e gli ho detto: “SECCO – così l’ho sempre chiamato – voglio riformare Semiramis e voglio riportare sul palco Frazz!”. Lui: “Eh?”. Io: “Hai capito bene, che fai?”. Lui: “Io ci sto!”. Maurizio erano quarant’anni che non suonava più in maniera seria, ma ha subito ritrovato lo spirito di un tempo. Marcello non ha più toccato il basso e Michele non era interessato. Ho trovato dei giovani musicisti, amanti del prog, molto motivati: Antonio Trapani (chitarre), Daniele Sorrenti (tastiere), Ivo Mileto (basso) e Vito Ardito (voce, chitarre). Il concerto del 2014 al Planet Live Club di Roma, nell’ambito del Progressivamente Free Festival (organizzato da Guido Bellachioma), è stato un grandissimo successo. C’erano circa 900 persone (il Planet ne contiene circa 700), per metà giovani e alcune delle quali venute da diverse parti del mondo per ascoltare “Dedicato a Frazz” suonato dal vivo da una band potentissima, dopo anni di ascolto su vinile. Il risultato: una musica modernissima, carica di significati!
Cosa pensi di questa “seconda giovinezza” che sta vivendo il Progressive Rock in Italia? E cosa pensi della nuova generazione?
P.F.: È una grande soddisfazione, per me e per tutti i grandi musicisti che hanno contribuito a scrivere la pagina (secondo me) più nobile della musica italiana dopo Verdi, Rossini, ecc. C’è un grande fermento intorno a questa musica, ma in un periodo di grande crisi com’è quello che stiamo vivendo adesso, ci sono pochi eroi che con pochissimi mezzi organizzano festival ed eventi con grande sacrificio! Spero che la cosa continui, noi Semiramis andiamo a suonare, anche con il solo rimborso spese, pur di portare in giro la nostra musica!
In questo nuovo scenario, cosa dobbiamo aspettarci dai Semiramis? È in cantiere un nuovo album? E, perché no, un concerto/evento con il ritorno di Michele Zarrillo?
P.F.: Stiamo iniziando a scrivere qualcosa di nuovo, l’intenzione di fare un nuovo disco c’è, ma è difficile fare un “dopo Frazz”! Michele non farà mai più parte di Semiramis, lui considera questa musica troppo datata, rispetto alla modernità del suo pop!
Grazie infinite per l’estrema disponibilità e la piacevole chiacchierata!
P.F.: Ringrazio voi per questa opportunità, che mi ha anche permesso di chiarire, senza ombra di dubbio, alcune cose. Sperando di essere stato esauriente, vi abbraccio e… grazie di esistere!
Grazie a te, Paolo!
(Novembre 2015 – intervista realizzata a quattro mani con Antonio Menichella)
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