Diamo il benvenuto a Ugo Ponticiello (U.P.), Raffaele Ponticiello (R.P.), Mauro Sarti (M.S.), Vincenzo Ponticiello (V.P.), Stefano Melani (S.M.) e Matteo Biancalani (M.B.): Spettri.
La storia degli Spettri (o meglio, de Gli Spettri), ha ormai superato i cinquant’anni (congratulazioni!). Come ha inizio l’avventura in quel lontano 1963? Come nasce la scelta del nome e quali sono gli artisti che hanno dato “linfa” alle vostre prime note?
U.P.: L’avventura comincia nel settembre del 1963, con mio fratello avevamo voglia di suonare alla maniera dei Beatles di cui ci giungevano i primi 45 giri…insieme agli amici Ubaldo Paolanti (detto Billo) e Giuliano Giunti (detto Gingio). Fui io a suggerire il nome Spettri, perché avevo passione per i film horror di quegli anni, tipo “Dracula il vampiro”… L’autunno del 1965 portò un cambio nella formazione iniziale perché sia Billo che Gingio dovettero lasciare il gruppo costretti dai genitori a cercare un lavoro “vero”! Al posto di Gingio entra Roberto Binchi detto Zimba, mentre Mauro Sarti detto Tarzan, sostituisce Billo. Con Tarzan il sodalizio diventa così solido e importante che ancora oggi è in piedi, sostenuto da una vera e fraterna amicizia.
R.P.: Suonavamo già prima dell’avvento dei Beatles, rifacendo i brani degli Shadows, con le chitarre di marca Hagstrom che costavano meno delle Fender. Erano svedesi…le fanno ancora?
Nel 1966 pubblicate 3 singoli per la Nuova Enigmistica Tascabile, due in coabitazione con Telstars e uno con Danny e il suo Complesso (oltre al singolo, pubblicato l’anno successivo, con la Dischi SBX). Come entrante nel circuito della N. E. T.? I brani proposti sono vostre creazioni o cover (e in tal caso, come avviene la scelta dei brani da “italianizzare”)?
U.P.: Gingio è sempre stato geniale, fu lui a proporre alla N.E.T. di farci registrare i flexy disc ma solo di brani originali di nostra composizione.
R.P.: Sai chi era Danny? Il chitarrista Paolo Tofani. Nostro amico di quartiere che “rubò” il nome Danny ad un personaggio interpretato da Elvis, in uno dei suo primi film… Fin da piccolo la sua passione per la chitarra era così forte che la portava sempre in giro con se…nel quartiere venne soprannominato “Cicala”… poi Cicalino…. Io e Cicalino (Tofani) facevamo un patto giornaliero: lui mi prestava la sua chitarra ed io gli prestavo la bicicletta…un’ora al giorno….
Vi va di condividere qualche aneddoto del vostro periodo beat? Gli Spettri hanno mai partecipato a manifestazioni quali il Cantagiro o sono mai apparsi in TV prima della “virata” progressiva?
U.P.: Per creare un po’ di fama, decidemmo di noleggiare un auto funebre che veniva parcheggiata davanti all’ingresso delle balere dove ci si esibiva….
R.P.: …i nostri amici ci portavano nel locale dentro le bare…vere! Le lasciavano sul palco mentre un registratore a bobine diffondeva urla e rumori macabri… Gingio era un vero tecnico del suono…uscivamo dalle bare e si cominciava a frastornare tutti i presenti con gli amplificatori da 100 watt GRS, una potenza inaudita per quegli anni… Qualche tempo dopo fummo invitati alla trasmissione TV “Studio 1”….ci volevamo presentare con le bare ma decisamente dissero no…e noi non andammo.
Nel 1968 Mauro Sarti lascia la band (al suo posto arriva Giorgio Di Ruvo) e si “lancia” in altri progetti quali La Verde Stagione e Campo di Marte. Come ricordi quest’ultima avventura? La tua strada artistica si è poi mai incrociata nuovamente con quella di Enrico Rosa?
M.S.: Io conoscevo i fratelli Lando e Luca (Ihle), con loro decidemmo di utilizzare “Il mattino” di Edvard Grieg e adattarci un testo… È stata un’esperienza molto positiva, ma un giorno in un negozio di strumenti musicali a Firenze incontrai Enrico e facemmo amicizia. Ci scambiammo delle idee dopodiché ebbi l’intuizione di fare una band a due batterie coinvolgendo il mio amico Marcovecchio che suonava con I Califfi. Da questo primo embrione sono nati i Campo di Marte, sicuramente un gruppo innovativo nella scena Pop nazionale. E’ stata un’esperienza molto bella e particolare… Con Enrico ci siamo ritrovati a metà anni ‘90 circa e abbiamo ripreso insieme delle idee dalle quali è nato un progetto che poi è stato messo “on hold”.
La svolta arriva nel 1970 quando, grazie anche all’arrivo di Stefano e Vincenzo, il sound degli Spettri cambia (e scompare anche l’articolo “Gli”). Cosa vi spinge ad intraprendere questo nuovo cammino e, nel cambiamento, qual è stato l’effettivo contributo dei nuovi arrivati?
U.P.: Era il momento del rinnovamento… era necessario…
R.P.: I due ragazzini mostravano vero talento… erano sempre pronti ad imparare e a dare idee importanti… Tecnicamente Stefano era già bravo… Vincenzo un po’ meno ma è migliorato col tempo…
V.P.: È stata determinante la forza propulsiva che noi “ragazzini” abbiamo generato. Eravamo sempre alla ricerca di quel qualcosa che ci caratterizzasse, che facesse sapere alla società che noi esistevamo e che vivevamo sempre contro corrente. Così abbiamo indirizzato i nostri ascolti verso la musica “altra”, scoprendo così quei nuovi gruppi che poi facevamo ascoltare ai più “grandi”.
S.M.: A Firenze c’era un negozio di dischi che aveva delle cabine dove si poteva ascoltare un LP prima di comprarlo o meno… Passavamo ore lì dentro e quando ci capitò fra le mani uno strano disco con un faccione rosso in copertina rimanemmo folgorati… Da allora il faccione dei King Crimson ci ha aperto le orecchie ed i cervelli permettendoci di viaggiare con loro, gli ELP, i Deep Purple, etc. fino ad adesso. Che altro potevamo fare se non trasporre nella band quello stile…
Il percorso verso quello che sarebbe dovuto essere il vostro primo “vero” album è breve. Il tema del concept album “Spettri”, scritto da Ugo, è particolare e piuttosto duro e anche musicalmente non vi “risparmiate” affatto. Vi va di raccontare la genesi e i contenuti dell’album? Com’era accolto durante i live il vostro sound energico?
U.P.: Il pubblico mostrava interesse… piaceva quello che suonavamo… Era una storia di ribellione che sfocia nel metafisico. Grandi tappeti hard rock avvolgevano il racconto.
R.P.: …però era musica che presupponeva un ascolto meditativo… non era roba da sballo…
V.P.: I nostri erano concerti intellettuali, rivolti ad un pubblico interessato, era un grido pacifista ed anarchico. Tutto nacque dall’estremo bisogno di dare una risposta ai mali della società… contro ogni guerra… contro il capitalismo imperante…
S.M.: L’esigenza era di scrivere una storia politica ma da Spettri… e quindi non potevamo non prescindere da un elemento metafisico… Pensammo a raccontare la storia usando la seduta spiritica che divenne il mezzo per poter esplicare gli aneliti “rivoluzionari” del nostro protagonista. Infatti, il giovane dell’epoca chiede all’aldilà la soluzione alla violenza e all’ingiustizie che si manifestano intorno a lui, ma dall’oltretomba il messaggio che ne riceve è terrificante in quanto non è altro che la propria immagine, implicando il fatto che il male si trova nella natura umana, facendolo impazzire.
Quale etichetta avrebbe dovuto pubblicare l’album? E perché saltò tutto?
U.P.: Doveva essere la Ariston di Carlo Alberto Rossi.
R.P.: Saltò tutto perché i testi furono travisati… pensavano di avere a che fare con i demoni…
V.P.: Io mi sono sempre chiesto come è stato possibile pubblicare testi che inneggiavano alle bombe (“La Locomotiva”…) e non i nostri che erano lo specchio di un’anima…
S.M.: Misteri della fede… in senso letterale, in quanto si urtava una morale cattolica che attraverso la censura aveva potere politico.
Anche per questa “seconda vita” degli Spettri non possiamo non chiedervi qualche aneddoto, vista anche l’importante attività live che vi ha visti protagonisti accanto alle band più blasonate.
U.P.: La prima volta che salimmo sul palco prima dei New Trolls, quando c’erano Di Palo, Belleno, Salvi e Laugelli, eravamo davvero straniti… Cercammo di essere all’altezza… e il pubblicò gradì…
R.P.: Eravamo all’“Altro Mondo” di Rimini… quindi Spettri… altro mondo… fu una seratona. Molta gente non sa o non ricorda che questi erano una delle migliori band rock in circolazione nei primi ’70… Poi è successo di tutto…
V.P.: Io ricordo sempre con piacere l’incontro con i Jumbo di Alvaro Fella… Straordinari.
S.M.: A Rimini suonammo anche con Le Orme, poi al Piper di Roma per una serata tutta dedicata alla Musica d’Avanguardia o Pop come si chiamava allora…!
“Con la seconda metà degli anni ’70, le nuove tendenze musicali, ed un sempre maggiore disinteresse del pubblico nei confronti di una musica colta e da ascolto, porterà il gruppo a trasformare le proprie scelte ed il progetto Spettri rimarrà in sospeso”. Cos’hanno dunque fatto gli Spettri (e Mauro Sarti) in questi ultimi 40 anni?
U.P.: A partire dagli inizi degli anni ‘80, con l’esplosione della dance-music, Gli Spettri si trovano a combattere con disastrose difficoltà economiche e con la conseguente impossibilità di pubblicare il concept album omonimo e svanimmo nel limbo silente dell’indifferenza, rimpiangendo assai l’inferno musicale da cui eravamo stati evocati. Io e mio fratello fummo costretti ad un periodo di “piano bar”… per campare le nostre famiglie…
R.P.: Attenzione però… era un modo di suonare redditizio ma molto impegnativo… La nostra specialità era diventata la musica brasiliana… con due chitarre… In quel periodo tutte le forze culturali, sbocciate durante le rivolte degli anni ‘70, si trovarono in competizione l’una con l’altra per attirare l’attenzione di un pubblico diversificato e frammentato più di quanto fosse mai stato. Si chiuse così uno dei capitoli più proficui ed innovativi della musica rock in Italia.
V.P.: …sembravano Murph & the Magic Tones, la band dei Blues Brothers che suona allo Sheraton… “dimmi quando quando quando….”. Meno male che io e Mauro Sarti poi li portammo via e costituimmo un gruppo rock and roll, anni ’50… Dennis and the Jets… Mai sentiti? Mauro Sarti fu ben felice di riallacciare la corda artistica e fraterna, che si era sfilacciata anni prima con i Ponticiello. Mauro, Lello ed Ugo erano “Gli Spettri”: il geniale gruppo beat, che, con macabra ironia, saltava fuori da vere bare poste sul palco dagli amici, che si improvvisano maggiordomi funebri. Era il delirio della creatività ed il pubblico apprezzava con enfasi anche l’auto da trasporto funebre che veniva noleggiata per rimanere parcheggiata all’uscita del locale.
S.M.: All’inizio degli anni ’80 ho formato un gruppo new wave sul genere degli Ultravox. Si chiamava Tape Transfer e pur essendo molto apprezzato nell’ambiente non siamo mai riusciti a uscire discograficamente… Poi sono stato all’estero per un periodo praticamente senza suonare dopo di che, tornato in Italia, sono rientrato nella band Dennis and the Jets.
M.S.: Dal 1983 fino alla rinascita di Spettri siamo stati Dennis and the Jets… abbiamo partecipato a tutte le trasmissioni televisive di Renzo Arbore negli anni ’80, pubblicato 7 dischi e partecipato a 3 compilation italiane molto importanti.
Nel 2011 l’album “Spettri” rispunta dal “cassetto” e viene pubblicato dalla Black Widow Records. Come avviene questa riscoperta? Quanto è forte il legame tra questo avvenimento e il vostro ritorno sulle scene e com’è stato “ritornare in campo”?
U.P.: È stata una casualità…
R.P.: …avevo conservato il nastro per tutti questi anni… Paolo Strino regista e biografo della band ci ha chiesto insistentemente di ascoltare il nastro… così l’ho consegnato a lui… se ne è innamorato e ha insistito così tanto che alla fine… aveva ragione.
V.P.: Dopo il riascolto del nastro, solo io e Paolo Strino eravamo veramente convinti che si trattasse di una grande opera. Mi misi in contatto con un giornalista specializzato nella musica prog, Daniele Nuti, che a sua volta ci mise in contatto con Black Widow…
S.M.: Eventi karmici strani… Quando abbiamo riascoltato quel nastro dopo 40 anni, all’inizio non pensavo che avrebbe potuto suscitare tanto interesse, ma poi il virus libertario del prog si è risvegliato e oggi è ridiventato un febbrone creativo!
I nuovi Spettri vedono il ritorno di Mauro Sarti e l’ingresso di Matteo Biancalani. Quando avviene il “ritorno di fiamma” per Mauro e come entra in contatto con il mondo degli Spettri Matteo?
M.S.: Ci siamo ritrovati all’inizio degli ‘80… Loro suonavano rock’n’roll acustico nei piano bar e allora abbiamo deciso di rimetterci insieme e formare una vera band rockabilly i Dennis & the Jets.
M.B.: Io sono entrato nel 2004 come sassofonista di Dennis and the Jets… loro mi hanno traviato ulteriormente spingendomi a suonare prog… Io non avevo mai ascoltato questo genere… suonavo solo be-bop e con loro rock and roll… Sono i miei maestri…
E si giunge al 30 aprile 2015, giorno in cui viene pubblicato “2973 – MMCMLXXIII La nemica dei ricordi”, album con cui riprendete il discorso interrotto quattro decenni prima. “Confezionato” con un sound aggressivo e un artwork “spettrale”, il lavoro racconta il nuovo ”viaggio” del protagonista di “Spettri”. Questo concept era custodito nel cassetto degli Spettri o è nato ex novo?
U.P.: Ricordo che la seconda parte di “La profezia” è musica scritta nell’estate del 1974… è un disco nuovo che guarda indietro.
R.P.: Lo stile con cui sono realizzati i riff chitarristici sono originali anni ’70.
V.P.: …negli anni ’70 il suono del basso, la tecnica più semplice ma “tirata”, la cura nel doppiare i riff della chitarra era la base dei gruppi rock…
S.M.: È il frutto nato da questo immergersi di nuovo nella musica della nostra giovinezza e l’evoluzione naturale, per usare un termine alla moda, direi organica della storia e dello stile del primo album. La musica, con l’eccezione della seconda parte de “La profezia”, tecnicamente è nata ex novo ma, quando ti immergi nella composizione, il tempo non esiste e ciò che scrivi oggi poteva benissimo essere scritto 40 anni fa o esserlo nel 2973!
M.B.: Molto del mio stile attuale deriva dalla insistenza con cui Stefano mi ha spinto a cambiare, a scoprire nuovi orizzonti, ad essere meno prevedibile…
Cura dei testi, arrangiamenti articolati e dal forte impatto emotivo, un apparato grafico cupo e descrittivo, tutti elementi che contribuiscono a descrivere al meglio il viaggio simbolico in se stesso del protagonista. Quanto lavoro c’è dietro ad un disco del genere e come prendono forma i singoli capitoli dell’opera?
U.P.: È stato un lavoro duro per tutti…
R.P.: Soprattutto impegnativo… non eravamo più abituati… Ci è voluto molto studio, per ripassare lo stile heavy…
V.P.: Per prima cosa abbiamo costruito una sceneggiatura… come il soggetto di un film… per ripercorre il passato nel presente… Poi è stato interessante e stimolante scegliere una scrittura “anticata” per rendere il racconto più gotico… Anche fra noi ci sono state discussione per accettare quello che scrivevo… il modo… i temi.
S.M.: Dopo aver concordato la storia e la sceneggiatura è stato abbastanza “naturale” scrivere come se si trattasse della colonna sonora del film. Quello che è stato difficile è che abbiamo dovuto impegnarci molto nelle prove, poiché vogliamo sempre poter essere in grado di replicare live tutto ciò che pubblichiamo. Quindi, se scrivi un passaggio tecnicamente difficile o un arrangiamento complesso con sovraincisioni, per decidere di mantenerlo devi essere sicuro che possa essere eseguito fedelmente sul palco con i mezzi che abbiamo a disposizione. Abbiamo quindi dovuto passare molto tempo sia per levare la ruggine dalle articolazioni, sia nel fare gli arrangiamenti. Tutto il processo è durato circa 1 anno. Una volta soddisfatti siamo entrati in studio ed in dieci giorni abbiamo completato le registrazioni ed il mix analogico per l’LP.
M.S.: Ogni brano è un capitolo di un libro da leggere e abbiamo cercato di rendere il tutto in maniera omogenea.
M.B.: Io ho dovuto cambiare l’impostazione del suono e l’approccio all’improvvisazione… quindi c’è voluto un po’ di tempo e pazienza da parte degli altri per trascinarmi dentro un mondo musicale che non conoscevo.
Ne “La nemica dei ricordi”, inoltre, troviamo la collaborazione di Elisa Montaldo (Il Tempio delle Clessidre) e Stefano Corsi (Whiskey Trail). Come nasce il vostro rapporto e secondo quale logica sono stati “assegnati i compiti” ai due musicisti?
S.M.: Per quanto riguarda Elisa, l’abbiamo conosciuta suonando insieme ed appena l’ho sentita cantare mi sono innamorato della sua voce. “Il delfino bianco” sembrava perfetta per lei e quindi l’abbiamo chiamata e lei ha partecipato con molto entusiasmo. In un pomeriggio ha imparato il brano e registrato! Fantastica!
Stefano invece è un amico di vecchia data… Quando ho scritto “L’approdo” volevo che si respirasse un’atmosfera celtica… come se il viaggio terminasse ad Avalon. Quindi chi meglio di Stefano con la sua arpa! Pensa che oggi i Whisky Trail eseguono “L’approdo” come brano finale dei loro concerti live! Satisfaction! 🙂
Nel 2973 non molto in verità sembra cambiato. Qual è, dunque, la situazione sociale, politica e musicale che hanno ritrovato gli Spettri dopo tanti anni? E il vostro modo di fare musica è mutato?
U.P.: Sono passati 40 anni… ma le guerre continuano.
R.P.: Il potere borghese ha sconfitto le masse proletarie… non esiste più la coscienza di classe.
V.P.: La cosa che vogliamo dire è che la rivoluzione degli anni 2000 parte da noi stessi, dalla ricerca di un profondo cambiamento interiore.
S.M.: Beh, io sono fondamentalmente ottimista e quindi una certa evoluzione positiva c’e’ stata… basta pensare ai progressi in campo medico e tecnologico, però è indubbio che se te riascolti il primo album, ciò che dicevamo nel ‘72 è oggi attualissimo. Le ingiustizie continuano come le guerre e la fame… quindi è vero: non molto pare cambiato… incluso il nostro modo di fare musica! 🙂
Siete molto legati al concetto di “musica dal vivo”, alla volontà di realizzare dischi con un impatto “da concerto” e all’utilizzo di tecniche vintage (vedi la completa realizzazione in analogico dell’ultimo LP). Qual è il pubblico degli Spettri del nuovo millennio? E che differenza notate nel modo di produzione e fruizione della musica tra oggi e gli anni ’60-’70?
U.P.: Tutto è cambiato… anche i fan.
R.P.: Mah… io suono… poi non so mai cosa succede dopo…
V.P.: Oltre i nostri coetanei, conoscitori ed appassionati di musica prog, vediamo che molti “giovani trentenni” si stanno appassionando alla musica che facciamo… che non è comunque d’immagine.
S.M.: Quando vado a sentire un gruppo voglio ascoltare nel live tutto ciò che mi ha fatto innamorare nel disco. Molte volte sono rimasto deluso in questo senso… quindi parto sempre da questo assioma fondamentale sia nel comporre sia nel proporre gli arrangiamenti. Per essere chiari, se voglio inserire una parte di Mellotron devo essere sicuro che possa eseguirla anche dal vivo con le sole due mani che ho oppure avere il budget necessario a pagare altri musicisti sul palco. Sembra una banalità ma in realtà impone uno stile d’arrangiamento preciso. Vero è che oggi molti tastieristi arrivano sul palco con dei bei PC portatili carichi di suoni o parti pre-registrate che suppliscono a molte parti che sono sul disco, ma purtroppo ti costringono ad una attenzione che io non riesco a sopportare e quindi le uniche basi che usiamo nel live sono gli effetti sonori che vengono fatti suonare dal fonico. Detto questo gli strumenti che possediamo sono più o meno quelli che avevamo negli anni ‘70 e a maggior ragione nel seguito del primo album, non v’era motivo di cambiare… Per quanto riguarda, invece, la produzione e la fruizione della musica, beh, in questo caso penso proprio che siano cambiate moltissime cose. L’avvento del computer ha fatto sì che qualsiasi persona con un minimo di esperienza informatica oggi può creare una canzonetta o diciamo mettere insieme un motivetto orecchiabile. Nei ‘70 o sapevi suonare o non facevi musica. Inoltre, oggi la maggior parte dei dischi sono a basso budget e registrati su computer in piccoli studi da persone che sanno solamente utilizzare dei loop senza sapere leggere una nota su uno spartito e sopratutto avendo come fine solamente il successo commerciale, mentre allora se non avevi un contratto discografico alle spalle ed un’educazione musicale e non potevi fare molto. Purtroppo la rivoluzione digitale degli ultimi 30 anni pare essere direttamente proporzionale all’involuzione culturale… quindi, se da una parte si può registrare, promuovere e distribuire a costi minori, l’uso delle tecnologie moderne ti permette una facilità compositiva e progettuale che nella maggior parte dei casi va a detrimento della qualità del prodotto finito. Bassa qualità equivale a fruizione/consumo usa e getta… Per fortuna esiste sempre il buon rock che resiste… ed il prog è probabilmente la sacca di resistenza più forte!
Chiudiamo con un classico: progetti per il futuro? Ci sarà un “terzo viaggio” per il protagonista?
U.P.: Spero proprio di si… anzi, il contrario sarebbe un dispiacere… ma non c’è 2 senza 3…
R.P.: Io ho già tre o quattro riff da urlo…
V.P.: Finché il nostro protagonista non muore…
S.M.: O forse è già morto? Quien Sabe?… No dai, abbiamo già l’idea di partenza per il terzo capitolo.
Grazie per l’estrema disponibilità e la piacevolissima chiacchierata!
Spettri: Un piacere!
(Gennaio 2016)
Lascia un commento