Diamo il benvenuto a Riccardo Tosi, chitarrista e membro fondatore della Preghiera di Sasso.
R.T.: Salve a tutti.
Prima di parlare dell’avventura con la Preghiera di Sasso, conosciamo meglio i tuoi “primi passi”. Come e quando nasce l’amore per la musica e per la chitarra in particolare? Hai suonato in qualche altro gruppo prima dell’esperienza “progressiva”?
R.T.: Mah, diciamo dall’adolescenza, sull’onda dei movimenti sociali e culturali degli anni ‘68/’70 la chitarra rappresentava il mezzo espressivo più immediato per molti giovani e dopo un approccio musicale scolastico tradizionale e qualche esperienza con complessini locali ho sentito subito l’esigenza di provare a fare qualcosa di “mio” che mi permettesse di esprimermi come volevo.
Come si giunge alla Preghiera di Sasso? Perché la scelta di tale nome e quali sono gli artisti che hanno influenzato le vostre prime note?
R.T.: Come al solito in quegli anni eravamo un gruppo di amici appassionati di musica “alternativa” e passavamo le giornate ad ascoltare dischi su dischi, Deep Purple, Genesis, King Crimson ma anche Mahavishnu Orchestra etc. etc. Eravamo come spugne, assorbivamo di tutto e non eravamo mai sazi (tra l’altro, in quegli anni, a Pescara c’era uno dei più interessanti festival Jazz internazionale dove sono passati i nomi più grandi di tutti i tempi) e ad un certo punto decidemmo che era ora di provare a fare qualcosa anche noi.
Cercavamo un nome adatto a quel periodo e casualmente su un atlante geografico leggemmo questo nome di un passo di una qualche catena montuosa che ci piacque e decidemmo di usarlo per la band.
Ben presto entrate nel “giro” dei grandi Festival (partecipate, ad esempio, al Festival Pop di Villa Pamphili e a quello di Nettuno). Ci sono ricordi e/o aneddoti che ti va di condividere?
R.T.: Si, per un gruppo di provincia allora era molto difficile farsi conoscere così decidemmo di partecipare ad un concorso indetto dalla rivista Ciao 2001 che si teneva a Latina, presentato dal mitico Eddy Ponti. Prendemmo armi e bagagli e molto umilmente andammo a cercare fortuna fuori casa. C’erano diversi ottimi gruppi, noi eravamo naturalmente molto emozionati ma eravamo convinti che la nostra musica fosse piuttosto originale e particolare e, infatti, destammo qualche interesse e ci classificammo fra i primi 3 ottenendo la partecipazione al festival di Nettuno. Eddy Ponti ci prese in simpatia e ci invitò a Villa Panphili e a diversi altri festival “minori” un po’ in tutta Italia.
A Nettuno facemmo un’ottima esibizione e quando il pubblico ci chiese un bis non eravamo preparati e fummo costretti a ripetere uno dei pezzi fatti precedentemente.
L’unica testimonianza “fisica” della Preghiera di Sasso di quegli anni è una delle due facciate dell’album “Preghiera di Sasso / Diapason” condiviso, appunto, con la band pescarese dei Diapason. Come nasce quest’iniziativa di condivisione? E perché non giungeste mai ad un album tutto vostro?
R.T.: Si, anche in questo caso, allora, era molto difficile riuscire ad ottenere contratti con case discografiche e già si sentiva parlare di autoproduzione per cui decidemmo di dividere le spese con un altro gruppo e tentare questa carta.
Non si fece altro perché andammo tutti e tre a studiare fuori e quindi la band si sciolse.
Cos’ha fatto Riccardo Tosi in seguito? Ti va di raccontare le tue esperienze con l’etichetta bolognese Italian Records e con la band new wave/post punk Dens Dens – Hypnofunk?
R.T.: Nel frattempo mi sono trasferito a Roma per studio ed ho continuato a suonare e collaborare con vari gruppi della scena pescarese allora molto attiva, il prog era ormai scomparso incalzato dal punk e new wave e ad un certo punto, nel 1980, decisi di trasferirmi a Bologna insieme ad un altro chitarrista pescarese perché in quel periodo Bologna era il miglior posto d’Italia per fare musica. Infatti, riuscimmo subito ad inserirci nella scena locale e formammo una band con altri due musicisti bolognesi che chiamammo Dens Dens – Hypnofunk e arrangiammo una serie di mie canzoni in stile abbastanza dark e iniziammo a fare parecchi concerti con un certo successo. In questo gruppo, oltre a comporre i pezzi, io ero anche il frontman cantante, devo dire che avevo tentato qualche pezzo cantato anche nella Preghiera di Sasso e in altre esperienze successive.
Fummo notati da Oderso Rubini dell’Italian Records, unica (o quasi) etichetta indipendente in Italia, che ci mise sotto contratto e ci fece incidere un EP nel famoso Stone Castle di Carimate una bellissima esperienza.
Purtroppo, a metà anni ’80, ci fu la disgregazione totale che tutti conosciamo e l’immenso patrimonio creativo di quella esperienza venne seppellito dal business sfrenato ormai dilagante che avrebbe causato i disastri che ancora oggi subiamo.
In ogni caso, credo che quella esperienza andrebbe recuperata e rivalutata almeno storicamente.
Della Preghiera di Sasso si torna a parlare nei primi anni ’90, quando la Mellow Records pubblica “Preghiera di Sasso”, album in cui troviamo, accanto ai quattro brani presenti in “Preghiera di Sasso / Diapason”, alcune registrazioni inedite. Come nasce quest’iniziativa? E com’è stata accolta dal pubblico?
R.T.: Per rispondere a questo domanda quoto il blog di Masetto Perlino che portò avanti l’iniziativa:
“Innanzitutto il cd per Mellow Records è stato pubblicato nel 1994, Mauro Moroni non era interessato a pubblicare anche il gruppo Diapason. Per cui decisi, essendomi stata affidata la produzione del cd, di registrare un brano in studio, “Il suono del silenzio”, mio solo di batteria e di inserire gli altri brani che avevo in una vecchia audiocassetta che non ho mai consegnato a Moroni, ma che custodisco tuttora. Infine, l’etichetta Delta fu una nostra iniziativa che intendeva valorizzare anche altri gruppi ma che purtroppo non potè proseguire per i nostri impegni di studio. Infine, non furono mai ritirate copie e l’errore di stampa c’è sempre stato e nessuno forse se ne sarà accorto…ahah! Il numero di copie stampate non lo dico…..ma è molto superiore alle 20 e molto inferiore al migliaio!”
Nel disco si nota un certo stacco tra le prime registrazioni, più ruvide, e quelle ufficiali del 1975, dall’anima jazz. A cosa è dovuto questo cambiamento di “stile”?
R.T.: Direi semplice evoluzione tecnico/stilistica, il nostro gusto musicale in quel momento ci aveva spinto verso quelle determinate sonorità.
Tornando a te: la musica fa ancora parte della tua vita? Sei ancora in contatto con il resto della band?
R.T.: Questa è la parte che mi preme di più perché rappresenta il presente e una sorta di Redemption che ho maturato in questi ultimi anni.
Dal 1986 ho iniziato a lavorare come impiegato in una multinazionale americana per cui, dal punto di vista creativo e musicale, ho subito un black out di 25/30 anni.
Fortunatamente sono riuscito a liberarmi della schiavitù del lavoro (il come ve lo spiego un’altra volta) e da qualche anno ho incominciato con grande sforzo a riavvicinarmi alle mie antiche passioni ripartendo però dal pianoforte per approdare alla tastiera elettronica. Dopo lunghe ore di esercizi per acquisire la tecnica sufficiente per poter ricominciare ad esprimermi, ho composto dei pezzi nuovi sia in forma di canzoni che strumentali di genere direi funk/prog/psichedelico.
Ho raccattato i resti di altri amici, vecchie glorie delle scene passate, ed ho creato un collettivo artistico indipendente assolutamente privo di condizionamenti commerciali, sociali, culturali e/o pseudointellettuali che si chiama The Palmipedes Experience (il perché ve lo spiego un’altra volta) e organizziamo serate in vari locali proponendo varie mini performance, non solo musicali, di circa 15 minuti l’una, tutte naturalmente originali, inedite e non commerciali, a costo zero perché vogliamo poter controllare completamente quello che facciamo. Ecco il link della ns. pagina ufficiale se volete divertirvi a capire un po’ di più di che si tratta: The Palmipedes Experience.
Forse fra altri trent’anni qualcuno scoprirà che era una cosa interessante, almeno dal punto di vista concettuale e sociologico, ma c’è anche molto di più. 😉
Non c’è mai stata la possibilità di una reunion con la band? E in futuro dobbiamo aspettarci qualcosa sul fronte Preghiera di Sasso?
R.T.: Personalmente le reunion le trovo patetiche. Cito Philip Dick, “io sono vivo voi siete morti”, però, in una delle ultime serate Palmipedes, ho invitato il bassista della Preghiera di Sasso e abbiamo fatto un pezzo nuovo insieme iniziando con una citazione di “Praxis” della Preghiera di Sasso. 🙂
Grazie per l’estrema disponibilità e per la piacevole chiacchierata!
R.T.: Un piacere.
(Marzo 2016)
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