Intervista agli Eveline’s Dust

Diamo il benvenuto ad Angelo Carmignani (A.C.), Marco Carloni (M.C.), Lorenzo Gherarducci (L.G.) e Nicola Pedreschi (N.P.): Eveline’s Dust.

A.C.: Grazie per questa opportunità!

Iniziamo la nostra chiacchierata con una domanda “scontata”: quali sono le origini del progetto Eveline’s Dust? E perché la scelta di tale nome?

N.P.: Gli Eveline’s Dust sono ufficialmente nati nel 2012, al termine di un contest. La competizione era durata due o tre mesi, durante i quali il nostro repertorio aveva subito una metamorfosi netta: eravamo passati da un Fusion vecchio stampo al Progressive. Decidemmo di raccogliere i nuovi brani in un EP e, di conseguenza, scegliemmo un nuovo nome che fosse più coerente col nostro nuovo genere: Eveline’s Dust fu una scelta influenzata dalle atmosfere che volevamo evocare con la nostra musica, fortemente ispirate dalla poetica Joyceana. “Eveline” è uno dei racconti di “Dubliners”, scritto dall’autore Irlandese: uno degli aspetti fondamentali del racconto, così come dell’intero volume, è l’immobilità, l’incapacità della gente di Dublino di separarsi dalle proprie oppressive esistenze, e la polvere è il simbolo che suggella questa stasi, avvolgendo e ovattando il mondo di Eveline e dei suoi compaesani.

Quali sono gli studi e i percorsi musicali (non solo di ascolto) di ognuno di voi?

A.C.: Io mi sono diplomato in batteria alla Scuola Bonamici di Pisa, nel frattempo, ed ancora ora, ho preso lezioni dal maestro Christian Meyer (Elio e le Storie Tese). Ho suonato in progetti di generi molto diversi (alcuni di questi comprendevano anche Nicola, Lorenzo e Marco). Mi sono avvicinato allo strumento da appassionato di rock vecchio stampo, ma poi ho iniziato ad apprezzare e sperimentare molte correnti molto diverse. Gli interpreti a cui faccio maggior riferimento oggi sono Gavin Harrison, Marco Minneman, due icone del nostro genere, ma anche Larnell Lewis e Robert Sput Searight, due mostri del jazz/funk.

M.C.: Io ho iniziato a studiare il basso con il maestro Di Tanno, dopodiché ho proseguito lo studio come autodidatta. Da adolescente ascoltavo e suonavo principalmente punk e hard rock. Dopo aver iniziato a suonare con Lorenzo e Nicola ho intrapreso assieme a loro la strada del fusion e poi del prog. Ad ogni modo sono appassionato di molti generi e musicisti diversi. “Stickman” e Nick Beggs sono due tra i bassisti cui più mi ispiro.

L.G.: Io ho iniziato a studiare chitarra con il maestro Danny Crews per poi seguire i corsi accademici Lizard e conseguire il diploma. Ho seguito presso la Fondazione Siena Jazz lezioni con il maestro Andrea Scognamillo e dal 2014 studio chitarra jazz presso il conservatorio G. Puccini di La Spezia con, tra gli altri, il maestro Alessio Menconi. Io ascolto Prog da sempre, complice la passione di mio padre, dunque i miei mostri sacri non possono che essere Robert Fripp e David Gilmour. Ad ogni modo, proprio come tutti i miei compagni, sono in primo luogo un appassionato di Musica, in generale, quindi mi ispiro ad interpreti fondamentali anche di altri generi, tra i quali sicuramente spicca il grande Robben Ford. Per quanto concerne i chitarristi a noi contemporanei Guthrie Govan è sicuramente la mia più grande fonte di ispirazione.

N.P.: Io ho studiato piano classico da privatista, da ragazzino, poi piano moderno e jazz presso la scuola Pentagramma prima, e la Scuola Bonamici dopo, con i maestri Piergiorio Pirro e Piero Frassi. Per quanto riguarda l’ascolto, sono sempre stato un malato di blues, soul, funk e jazz oltre che tutti quei generi crossover che mescolano varie indoli musicali come il Fusion, Jazz-Rock e non ultimo il Prog. Con Lorenzo, Marco e Angelo nel corso degli anni ho davvero suonato un po’ di tutto e spero di poter continuare a sviluppare anche altri generi musicali oltre al nostro giovane progetto. I pianisti e tastieristi cui mi ispiro sono Bill Evans, Oscar Peterson e Franco D’Andrea, per quanto concerne i miei miti del passato, e Cory Henry, Jacob Collier e ovviamente Adam Holzman sono invece i miei modelli attuali.

Nonostante la giovane età del progetto, avete già all’attivo due  lavori, l’EP “Time Changes” (2013) e l’album “The Painkeeper” (2016). Vi va di presentare e descrivere la vostra prima “fatica” discografica?

L.G.: Come già detto abbiamo iniziato a lavorare a “Time Changes” nel 2012, componendo parte dei brani durante la partecipazione ad un contest terminato nel Giugno di quell’anno. Durante il resto di quell’estate abbiamo realizzato altri due o tre pezzi e così abbiamo deciso di provare a registrare, per la prima volta, le nostre creazioni. Per farlo ci siamo affidati al RedRoom Recording Studio, di Nodica (PI), con cui si è creato un forte legame, professionale e non solo. Al nostro primo lavoro, dal successo moderato ma di cui andiamo comunque fieri, è seguito un periodo di attività live piuttosto intenso che ci ha incoraggiato e convinto che avremmo potuto fare qualcosa di ancora migliore.

Come detto, nel 2016 pubblicate “The Painkeeper. Quali sono, a vostro modo di vedere, le differenze sostanziali con “Time Changes”? Nella recensione parlo di “enorme balzo in avanti rispetto al lavoro d’esordio” e della capacità di esser riusciti a ““limare” i suoni e le idee esposte nella prima uscita mostrando maturità e capacità compositive di ottimo livello”. Quale “forma” ha, dunque, l’evoluzione degli Eveline’s Dust? E  cos’è cambiato nel modo di approcciarsi alla fase compositiva tra i due album?

M.C.: Prima di tutto è cambiata la formazione. Marco Calafà, batterista con cui abbiamo registrato “Time Changes”, ha intrapreso un’altra strada ed Angelo, con cui avevamo già avuto il piacere di suonare, è entrato a far parte del gruppo portando nuova energia creativa!

L.G.: In effetti ci rendiamo conto anche noi di essere cresciuti sul piano tecnico, singolarmente e come gruppo, e compositivo: siamo estremamente contenti che nella maggioranza delle recensioni che “The Painkeeper” ha ricevuto ci venga riconosciuto di mostrare buona tecnica ma senza abusarne, lasciando sempre il brano in primo piano. Il suono più caldo di questo nostro secondo lavoro, che è una scelta un po’ in controtendenza nel nostro ambiente, è anche questo frutto della maggior esperienza acquisita: avevamo in mente come desideravamo che “The Painkeeper” suonasse e, grazie anche ai nostri amici del RedRoom, oltre ad un’attenzione maniacale per i dettagli, possiamo dire di aver raggiunto l’obiettivo.

La storia del concept album è piuttosto singolare ed è tratta dalla poesia “Il Custode di Dolori” di Federico Vittori. In questa, il finale è piuttosto negativo mentre nella vostra rilettura c’è una sorta di “luce in fondo al tunnel”. Come mai questa scelta?

N.P.: Probabilmente questo è legato alla nostra giovane età e alla speranza e fiducia che riponiamo nel nostro futuro. Le opprimenti atmosfere Joyceane certo ci affascinano, ma allo stesso tempo le raccontiamo in musica per esorcizzarle, per combattere la polvere. Siamo convinti che i sogni possano essere forza motrice in grado di sospingere le persone verso traguardi inimmaginabili così come verso vite tranquille e felici, anche in un mondo, come quello in cui viviamo, in cui la disuguaglianza sembra costituire un ostacolo sempre più invalicabile. Dunque privare definitivamente gli abitanti del “nostro” villaggio dei loro sogni non sarebbe proprio stato coerente con le nostre personalità e con ciò in cui crediamo.

Ammettete di ispirarvi al prog dei ’70 (Perigeo, Banco, King Crimson, ecc.) e a quello contemporaneo (Steven Wilson su tutti) e alcune di queste influenze si scorgono nel vostro sound, soprattutto in “The Painkeeper”. Ma in che modo questi artisti vi hanno “aiutato” e vi “aiutano” tutt’ora in fase di scrittura (ma anche sul palco)?

M.C.: Sicuramente in fase compositiva, i mostri sacri cui ci ispiriamo, influenzano a volte le linee melodiche a volte la struttura armonica di un pezzo o la ritmica. Però, solitamente, ci rendiamo conto dei riferimenti ai nostri idoli solo a posteriori. Per quanto riguarda Steven Wilson il discorso forse è appena diverso: dei suoi brani ciò che ci ipnotizza tutti, ancora prima degli aspetti compositivi e stilistici, è la cura del suono e quella cerchiamo di riprodurla piuttosto consciamente. Per quanto riguarda le performance live abbiamo da imparare un po’ da tutti questi grandi maestri del genere e non solo (gli Eveline’s Dust suonano prog, ma noi quattro suoniamo e ascoltiamo di tutto): certo ci piace pensare ai nostri concerti come esperienze poli-artistiche, come nel caso degli show dei Genesis, Pink Floyd e ancora Steven Wilson; da qui l’idea di coinvolgere Francesco Guarnaccia, disegnatore e fumettista pisano che ha realizzato l’artwork di “The Painkeeper”, anche dal vivo con la proiezione alle nostre spalle del suo live painting.

The Painkeeper” è stato realizzato grazie ad una campagna di crowdfunding fruttuosa. È una “metodologia” che consigliate anche alle altre giovani band che sognano di veder materializzarsi i propri sogni? Inoltre, l’uscita dell’album vede la collaborazione di Lizard Records e GDC Rock Promotion. Come nasce il rapporto con le “creature” di Loris Furlan e Gianni Della Cioppa?

A.C.: Il crowdfunding per noi è stato fondamentale perché ci ha permesso di investire qualcosa in più in questo disco rispetto a quanto avremmo potuto fare con le nostre sole forze: e il risultato è stato estremamente soddisfacente. A chiunque voglia intraprendere un esperienza del genere consigliamo decisamente di farlo, magari ponendosi obiettivi realistici: meglio raggiungere più facilmente la soglia e poi eventualmente superarla che non rimanere delusi. Per quanto riguarda i contatti con la Lizard i ragazzi avevano già proposto “Time Changes” a Loris qualche anno fa, ma in quel momento non c’era stata possibilità di iniziare una collaborazione. Dopo aver registrato “The Painkeeper” abbiamo inviato il nostro materiale di nuovo a Loris che questa volta ci ha fatto subito capire che c’erano tutti i presupposti per lavorare insieme. Noi dobbiamo dire che ci siamo sentiti trattati con enorme rispetto e serietà fin dalle prime mail scambiate, anche con Gianni, che sta facendo un lavoro egregio come ufficio stampa. Siamo estremamente soddisfatti di questa collaborazione!

Siete piuttosto attivi sul fronte concerti, ma come sono gli Eveline’s Dust sul palco? E qual è la vostra opinione sulla scena progressiva italiana attuale? Ci sono abbastanza spazi per poter crescere ed emergere per una giovane band come la vostra?

M.C.: Dal vivo diamo tutto. Come già detto, siamo riusciti a coinvolgere in diverse nostre esibizioni Francesco Guarnaccia, oltre ad Ilaria Giannecchini, una cantante bravissima che ci ha accompagnato in diverse occasioni. In effetti, dall’uscita del disco abbiamo allestito un calendario concerti abbastanza ricco, o almeno per noi mai così ricco. Abbiamo girato un po’ per tutta Italia portando il nostro spettacolo da palchi importanti a locali minuscoli ma accoglienti. Stiamo facendo molta esperienza e ci stiamo anche divertendo parecchio: fortunatamente oltre ad essere quattro musicisti siamo anche quattro amici di vecchia data e ci piace passare del tempo insieme.

N.P.: Probabilmente l’unico modo per emergere dalla scena odierna è inventarsi qualcosa di nuovo. I fanatici di Prog non più giovanissimi non amano, a nostro avviso giustamente, le imitazioni dei mostri sacri e per quanto riguarda i giovani ascoltatori del genere, il numero sembra essere destinato a calare sempre più. Perciò, per farci breccia tra chi il Prog lo ama da sempre e chi invece ancora non sa neanche cosa sia, dobbiamo necessariamente presentare un prodotto musicale originale. È questo ciò che stiamo cercando di fare e che siamo convinti che anche altri nostri giovani colleghi stiano facendo.

Il mese di settembre vi vedrà partecipare a due manifestazione eccellenti: il 2 Days Prog + 1 e  il FIM. Come vi arrivano mentalmente gli Eveline’s Dust e come si stanno preparando al doppio evento?

L.G.: Siamo pronti. Non vediamo l’ora di confrontarci con queste due esperienze per noi assolutamente nuove. A Veruno e ad Erba ci confronteremo per la prima volta con manifestazioni di questa entità quindi siamo decisi a fare del nostro meglio: in entrambi i casi sappiamo che saranno presenti ascoltatori del genere estremamente colti ed appassionati quindi ci teniamo particolarmente a fare bella figura! Per quanto riguarda la preparazione, è sempre quella: provare, provare, provare!

Cosa prevede il prossimo futuro degli Eveline’s Dust? Ci sono novità che potete anticiparci?

N.P.: Adesso ci attendono due primi weekend di Settembre infuocati, dopodiché inizieremo a lavorare all’allestimento del calendario concerti per il 2017, oltre a qualche sorpresina che chiunque voglia potrà scoprire seguendo il nostro canale Youtube o il nostro sito www.evelinesdust.com.

Grazie per la bella chiacchierata!

L.G.: Grazie mille della vostra disponibilità e del vostro supporto!

(Agosto 2016)

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