Diamo il benvenuto a Noemi Bolis (N.B.), Alex Carsetti (A.C.) e Davide Freguglia (D.F.): Kalisantrope.
N.B.: Grazie per averci dato l’opportunità di far sentire la nostra voce!
A.C.: Ciao! Grazie per la recensione e per l’intervista!
D.F.: È un piacere per noi essere intervistati!
Iniziamo la nostra chiacchierata con un classico: quali sono le origini del progetto Kalisantrope? E come avviene la scelta nome?
N.B.: Noi tre suoniamo insieme da parecchio tempo in un gruppo dove era presente la chitarra e io cantavo. Suonavamo cover di vario genere, dai Rush ai Megadeth. Questo progetto è mutato verso qualcosa di più sperimentale dove la chitarra non esisteva e due bassi facevano da padroni. Per problemi personali ci siamo ritrovati in tre e abbiamo deciso di concentrarci sulla produzione di brani originali e in cinque mesi abbiamo scritto “Anatomy of the World”.
A.C.: Il nome nasce come fusione del mio cognome e di quello di Noemi: Calis. In seguito a varie ricerche abbiamo aggiunto l’espressione dal greco anthropos che significa uomo e abbiamo scoperto che kalos significa bello/buono. Abbiamo quindi costruito questo composto che potrebbe richiamare il significato di uomo buono, l’opposto di ciò che noi vogliamo esprimere con la nostra musica. Il nostro obiettivo è quello di creare una mitologia che sia in continua evoluzione, infatti con il prossimo album anche il significato di Kalisantrope muterà.
Qual è il background, sia di studi sia di ascolti, di ognuno di voi? E cosa c’era nelle “vite musicali” di Noemi, Alex e Davide prima dei Kalisantrope?
N.B.: Io non nasco come musicista prog, bensì come cantante punk/death metal quindi il mio background musicale è molto vario. La passione per il prog nasce per caso, grazie ad un programma tv che passava la musica dei VDGG e grazie ad un vecchio chitarrista con cui tutti noi abbiamo suonato, che aveva proposto “Tom Sawyer” dei Rush.
A.C.: Ho iniziato a suonare la batteria a 6 anni… in realtà erano le pentole di mia madre! A quest’età ho sviluppato una passione per qualsiasi genere musicale, caratteristica che porto avanti da sempre. Ho iniziato a suonare la batteria a 14 anni, scoprendo nuovi generi musicali come il latin fusion. Io sono dell’idea che se una canzone è ben strutturata e ben suonata, indipendentemente dal genere, merita di essere ascoltata.
D.F.: I miei gusti musicali sono cambiati radicalmente a 16 anni, quando iniziai a suonare il pianoforte e ad ascoltare musica progressive metal e musica classica. Con il tempo ho iniziato ad esplorare tutta la scena prog italiana e inglese degli anni ‘70 e da questo momento mi sono appassionato alle sonorità moderne, arrivando a comprare un set up adatto al genere.
Nonostante la giovane età del progetto, avete già all’attivo un EP, “Anatomy of the World”, pubblicato nel 2014. Vi va di raccontare la genesi dell’opera?
A.C.: Diciamo che ognuno ha contribuito a creare ogni canzone ispirandosi ai vari temi. Abbiamo individuato il tema portante cioè la sofferenza umana e la crudeltà. Abbiamo poi individualmente cercato dei temi che rappresentassero i sentimenti che ognuno provava in quel momento. Io per esempio mi sono ispirato particolarmente alla natura e agli avvenimenti storici portando “Varroa Destructor” e “Holodomor”. L’ispirazione di Noemi, invece, è letteraria. Leggendo John Donne ha dato vita alla nostra mini suite “She”. Mentre Davide, per “Concept Fading”, ha analizzato i comportamenti umani dal punto di vista psicologico.
D.F.: Dopo la scelta delle tematiche, ci siamo occupati della resa in musica di queste. Abbiamo cercato di creare dissonanze al fine di dare l’idea d’inquietudine. Esempio lampante di questo meccanismo è “Holodomor” dove abbiamo i ritmi serrati che stanno ad indicare l’arrivo della carestia, mentre la parte centrale fusion rappresenta l’indifferenza degli altri popoli nei confronti dei terribili fatti ucraini. Anche in “She” è presente questa tecnica compositiva. Infatti l’intro “Funeral Elegy” (preso dal poema di John Donne) vede protagonista l’organo proprio per trasmettere ciò che l’opera descrive, cioè la morte di una giovane ragazza, amica del poeta.
Gli elementi che fin da subito saltano all’occhio (orecchio) ascoltando “Anatomy of the World” sono due “assenze”: voce e chitarra. Sono davvero “superflui” per il vostro modo di intendere e comporre musica o si tratta solo di un “caso”?
N.B.: Per quanto mi riguarda l’assenza di voce e chitarra è una provocazione. Vogliamo dimostrare che è possibile fare buona musica anche senza seguire lo standard. Ci capita molto spesso che ai concerti il pubblico ci faccia notare questa mancanza… ma utilizzare il termine mancanza per qualcosa che non è previsto che ci sia, è inappropriato.
A.C.: Non sono assenze e non è un caso. E’ una scelta studiata fin dall’inizio. Quando abbiamo iniziato a comporre i nostri primi pezzi abbiamo compreso fin da subito che la nostra strada era quella di mantenere questa formazione. Ormai si è creato uno standard di ascolto e noi vogliamo andare oltre ai soliti stereotipi.
D.F.: Non si tratta di elementi superflui ma di una scelta voluta da noi al fine di uscire dall’ordinario. Per il sound che vogliamo creare, non sono assolutamente necessari.
Restando sempre su “Anatomy of the World”, nella recensione affermo che dai vostri brani affiora l’amore per gli anni ’70 e per le sonorità scure e space (ma non solo). Quali sono dunque gli artisti che più hanno influito nel vostro modo di approcciarvi alla musica, in generale, e nella stesura del lavoro, in particolare?
A.C.: Io cerco di trarre ispirazione da qualsiasi genere, dall’elettronica al latin fusion, passando per la classica. Secondo me è proprio la versatilità di un musicista a renderlo sempre più ispirato.
D.F.: Sicuramente il richiamo agli anni ‘70 è qualcosa che si sente, ma il nostro obiettivo è quello di aggiungere qualcosa di nuovo, o perlomeno di personale. Traggo ispirazione non solo da Le Orme e gli Emerson Lake & Palmer ma anche da gruppi più attuali.
Un dato che colpisce sulla la vostra pagina Facebook è il seguente: Per tutti i locali che vogliono farci suonare, ricordiamo che siamo iscritti a Soundreef e non alla Siae. […] Il monopolio degli spettacoli non è più in mano di quest’ultima. È dura muoversi lontani dall’“ombra” Siae? Ed è una scelta che consigliate alle giovani band che inizialmente “sbattono” contro il non semplice muro del loro sistema?
A.C.: La risposta purtroppo è sì. La Siae può essere considerata come la “criptonite” per i musicisti. E’ l’ennesimo giro burocratico all’italiana che fa guadagnare denaro solamente ai famosi big. La scelta di iscriverci a Soundreef è stata presa fin dall’inizio, poiché ci siamo rifiutati di far gestire le nostre opere dalla Siae.
Ci vuole una bella rinfrescata al settore del mercato musicale e sicuramente Soundreef è la soluzione. Basti pensare che il 75% della licenza pagata dal locale viene data direttamente agli artisti, in modo veloce e trasparente. Il borderò si compila sul sito, prima del concerto. Il gestore del locale deve solamente scaricare la licenza e pagarla comodamente dal computer, senza spendere ore della propria vita agli uffici della Siae.
Purtroppo però sono molti i locali restii ad accettare di pagare la licenza di Soundreef, sia per paura di una eventuale multa da parte della società degli autori (anche se è tutto legale), sia perché tante volte non vogliono aprirsi alle novità. Per nostra esperienza consigliamo comunque alle giovani band di entrare a far parte di questa nuova realtà che porta il massimo rispetto per tutti gli artisti.
Qual è la vostra opinione sulla scena progressiva italiana attuale? Ci sono abbastanza spazi per poter crescere ed emergere per una giovane band come la vostra?
N.B.: La situazione è complessa. Uno spazio per emergere si può trovare, non è facile ma l’importante è non fossilizzarsi sul genere ma cercare di aprirsi alle novità contaminando la propria musica con vari generi e togliendosi quindi il paraocchi che purtroppo molti ancora oggi indossano. Essere aperti mentalmente è un obbligo che tutti i giovani musicisti dovrebbero avere!
D.F.: Essendo un genere per affezionati, molti di loro limitano i propri gusti alle band che hanno segnato il genere. Per fortuna però la scena, nonostante sia attiva da 50 anni, è ancora molto attiva e vede tra le proprie file dei veri e propri appassionati sempre pronti a conoscere nuovi gruppi. Persone come queste le abbiamo incontrate e conosciute e la loro passione ci ha spinto a migliorare. E queste stesse persone sono preziose anche a tanti altri giovani gruppi che come noi si sono trovati davanti alle numerose difficoltà.
Siete piuttosto attivi sul fronte concerti e negli ultimi tempi condividete spesso il palco con gruppi quali Silver Key e Diraxy. Come vivete questa “convivenza” e come nasce l’idea di condividere il palco con altre band?
N.B.: Per noi è fondamentale suonare con altri gruppi, per imparare da loro, ma soprattutto creare un’atmosfera di condivisione e divertimento. Con i Silver Key e i Diraxy siamo riusciti in questo, infatti sono nate delle bellissime amicizie che porteremo con noi. Inoltre abbiamo suonato anche con gli Unreal City, un gruppo fenomenale con cui ci piacerebbe continuare a condividere i palchi.
D.F.: È stato bello condividere il palco con loro ed è stato utile per poter scambiare opinioni sia musicali sia tecniche. Vorrei infatti ringraziare Davide, il tastierista dei Silver Key, per avermi consigliato di utilizzare il Mac… mi spiace ma la Apple non mi avrà!
Cosa dobbiamo attenderci dai Kalisantrope per il prossimo futuro? Sappiamo già di un nuovo album all’orizzonte. Vi va di anticipare qualcosa?
N.B.: Il prossimo lavoro sarà senza dubbio più maturo ma i nostri tratti caratteristici saranno ancora presenti, ad esempio i suoni e le tematiche dark. Inoltre vorremmo creare un pattern tra i vecchi e i nuovi brani: alcune tematiche verranno portate avanti per far si che i nostri lavori siano “leggibili” sia orizzontalmente sia verticalmente.
A.C.: Non vogliamo anticipare molto, ma un indizio parecchio importante si trova nel disegno della copertina di “Anatomy of the World”…
D.F.: Dall’ultimo concerto abbiamo iniziato a portare live due nuovi brani. Nel prossimo lavoro saremo sicuramente più maturi e preparati nel portare avanti la nostra musica. Il primo EP è servito proprio a rompere il ghiaccio a metterci in gioco in questo genere.
Grazie per la bella chiacchierata!
Kalisantrope: Grazie per l’attenzione!
(Maggio 2016)
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