Tacita Intesa – Tacita Intesa

TACITA INTESA

Tacita Intesa (2014)

Autoproduzione

 

Arriva dalla Toscana questo nuovo e interessante esordio progressivo. Sono Alessandro Granelli (voce e chitarra), Filippo Colongo (chitarra), Daniele Stocchi (tastiere), Pasquale Balzano (batteria) e Thomas Crocini (basso) i membri del progetto Tacita Intesa e i creatori dell’album omonimo.

Un quintetto che mostra fin da subito di possedere gli “attributi” e lo fa confezionando un lavoro policromo, caratterizzato da un suono robusto e scelte imprevedibili, ma non privo di frammenti suggestivi e “riflessivi”. Nei sette brani di Tacita Intesa ritroviamo nitide le influenze settantiane confessate dalla band. Nelle chitarre graffianti e negli inserti di organo, nelle virate improvvise e nei momenti “rilassanti” si scorge la storia progressiva italiana e anglosassone, da Il Rovescio della Medaglia ai Pink Floyd, passando per i Van Der Graaf Generator e altri.

Particolare e poetico l’artwork di Daniele Stocchi dove l’umano e la natura si intrecciano con la tecnologia e la scienza: dall’albero in copertina, le cui foglie e i frutti sono rappresentati da un’infinità di ingranaggi, alle immagini interne dove, come in uno specchio che riflette gli opposti, la vita incontra la meccanica (robotica) e viceversa, in una sorta di “fusione empatica”.

Brano d’apertura piuttosto articolato. Avvio ipnotico per Ciutikutown con il suo intenso crescendo e il prolungato intreccio tra chitarre, basso, suoni sintetici e batteria. Successivamente siamo “colpiti” alle spalle dalla voce filtrata di Granelli, quasi un rispettoso omaggio a Greg Lake in “21st Century Schizoid Man”, che incarna la figura del robot raffigurato all’interno dell’artwork: Prendo in mano una rosa / quanto è bella e non ne so nulla / Poi l’orgasmo dopo la scoperta / strappando il petalo dell’esistenza. La stessa poi, leggermente “ripulita”, fa emergere la sua grande energia e il “cambio di stato” del robot: Io non son più un robot / schiavo della scienza / Credimi, il senso lo so / prendo il fiore della vita. Si avanza con uno stacco caratterizzato da un morbido arpeggio e un ritorno corale. Qui grande prova di Stocchi alle tastiere, mentre a tratti si scorgono barlumi di Orme. Ampio spazio poi alla chitarra ruvida di Colongo e al basso di Crocini, con la batteria sempre ben presente e costante. L’accelerata finale fa di questa minisuite in tre parti (Robotomia – Epifania – Metamorfia) uno dei punti più alti dell’album.

Introdotte da “1 Marzo 1954: l’equipaggio del peschereccio giapponese Daigo Fukuryu Maru assiste impotente al primo test di fusione nucleare nei pressi dell’atollo Bikini” (queste parole in realtà sono presenti solo nella descrizione del video su Youtube e non nel libretto dell’album), le prossime due tracce sono da “vivere” insieme. Daigo: Un breve frammento al piano di Stocchi, poi impreziosito dalle tenere chitarre, dona intensità e un tocco di classicismo al lavoro dei Tacita Intesa e lascia intravedere la figura dei poveri pescatori giapponesi in mare ignari dell’imminente tragico destino. Il brano sembra uscire direttamente dalla penna di Roberto Cacciapaglia. Un netto cambio di rotta si ha con Valzer della morte dove Granelli ci racconta la triste sorte dei pescatori. L’andamento sonoro del brano sa molto di cantautorato e “veste” perfettamente il canto, ma troviamo anche alcuni “ornamenti”, come le galoppate all’organo di Stocchi e l’assolo penetrante di Granelli, che donano tocchi progressivi alla composizione.

Portmanteau. Continua il “girovagare” sonoro dei Tacita Intesa con questo episodio ai limiti della follia scherzosa. Frammenti aggressivi, ritmiche decise, testo assurdo con canto beffardo, organo brioso e seventies e un gran finale: tutto racchiuso in poco più di un minuto. Ah, questo è il testo: Mascherar / Il me / Petali / Sepali / Tepali / Brucerei / Le maschere / Resto e vivo un cupo “Portmanteau” / Conformar / Il Caos / Petali / Sepali / Tepali / Brucerei / Su Zeta Naos / Resto e vivo un cupo “Portmanteau”.

Suoni “liquidi” alla Pink Floyd amalgamati a momenti alla Timoria di “Sole Spento” occupano i primi minuti di Corona. Ci pensa poi la batteria di Balzano a dare il via ad una svolta repentina fatta di spinte hard con zigzagare di chitarre, basso e organo, prima di ripiombare in una “calma” floydiana. L’ultima parte vede Granelli seguire come un’ombra l’arpeggio delle due chitarre e momenti in cui le stesse chitarre s’irruvidiscono “lanciando” il solo, un po’ alla Jan Akkerman (in Focus III), di Colongo.

Anche Terzo rigo quarta parola ha “vita propria” e anche in questo caso emergono le qualità cangianti della band. Si passa con facilità dai primi secondi rapidi, con un leggero rimando agli “arabeschi” sonori degli Accordo dei Contrari, alle parti cantate “rilassate”, sino ad attraversare frammenti corposi e duri. E questa è solo la prima metà del brano. A seguire ogni strumento inizia a distendere e incrociare i propri fili sino ad ottenere la fitta trama di un immaginario grande arazzo, la cui rappresentazione ci porta nuovamente al confine tra sonorità italiche e british anni ’70.

E con Periodo refrattario, e le sue sei parti (La fabbrica – Teste in serie – Code in serie – Assemblaggio – Saldatura – Imballaggio e spedizione), i Tacita Intesa creano l’ultimo “patchwork” sonoro di questo lavoro. È Stocchi ad aprire le danze e a spingersi verso territori space ed elettronici. Poi il “ticchettare” di Balzano ci introduce in un loop ipnotico fatto soprattutto di chitarre spigolose. Un nuovo scenario si apre quando la batteria inizia una solida marcia e l’organo si spinge indietro con gli anni, giungendo all’esplosione “visionaria” corale finale. Un’ottima chiusura per un album d’esordio.

Il lavoro di cinque ragazzi con tante buone idee. Basterà continuare ad “innaffiare” questi primi semi gettati e i frutti che nasceranno non potranno che continuare ad essere succosi!

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