Ultranova – Orion

ULTRANOVA

Orion (2017)

Rock Symphony / Musea Records

 

Novità nel mondo progressivo giungono dal Brasile. Nati nel 2012, e con una buona attività live nel proprio palmarès, gli Ultranova, formati da Thiago Albuquerque (piano, synth), Daniel Leite (chitarre), Príamo Brandão (basso), Henrique Penna (batteria, percussioni), si presentano al mondo discografico nel 2017 con l’album Orion.

Un esordio di tutto rispetto quello dei quattro ragazzi di Belém (una delle città più importanti dell’Amazzonia), abili nell’alternare andature solo superficialmente lineari a corposi frangenti sfaccettati e decisamente sopra le righe, nello spaziare tra le varie sfumature del prog (e non solo) e nel modificare i propri “colori” con naturalezza. Ottimo il lavoro descrittivo delle tastiere e delle chitarre supportate brillantemente dalle cesellature ritmiche (qui, al basso, troviamo la mano dell’ex bassista Mário Neto nei primi cinque brani, sostituito in corso d’opera da Brandão, ora in pianta stabile nel progetto).

I primi minuti di Órbita, brano che dà il via ad Orion, si presentano compatti, con un vivace lavoro corale ciclico e molto fluido interrotto a tratti da “variazioni sul tema”. Poi Penna dà il via ad una lenta marcia accompagnata dalla chitarra diluita di Leite, prima che lo stesso batterista imprima una nuova andatura che trascina in scena gli “inquieti” e crimsoniani colleghi. Sul finire si “torna alla base”.

É il vellutato e romantico piano di Albuquerque il protagonista iniziale di Abismo Azul, con i suoni sintetici e la compassate ritmiche a fare da contorno, in un quadro che si muove tra Saint-Preux e Roberto Cacciapaglia. A seguire, sono dapprima le tastiere e poi la chitarra a prendere il posto del piano e a proseguirne il “dettato” lambendo anche territori neoprog.

La partenza tribale di Aquântica lascia intendere sin da subito che il capitolo precedente è, appunto, alle spalle. Synth ronzanti e chitarre graffiate occupano quasi completamente lo spazio esplodendo poco oltre. Ancor più rapido, a tratti, il cammino seguente con Albuquerque completo padrone della scena, mentre, sullo sfondo, Neto prosegue il suo “viaggio nascosto”. In coda gli Ultranova danno una nuova lettura, più scura e drammatica, al frammento iniziale.

Policroma e solare Salinas, episodio in cui chitarre dal sapore funky dialogano ottimamente con la tastiera celestiale di Albuquerque, quasi sempre presente, e con le ritmiche costantemente dinamiche. C’è spazio anche per un bell’assolo di basso.

Molto frizzante Chronos, brano che nelle prime battute emana una spensieratezza sixties. É Albuquerque, con il suo tocco alla Luca Scherani, a trascinare i compagni cedendo poi lo scettro all’aggressivo intervento di Leite. Sullo sfondo Neto e Penna tengono degnamente il passo. E, per non farsi mancare nulla, ecco comparire, prima di concludere, un rapidissimo assolo dalle tinte metal.

Chiusura affidata alla lunga Orion. L’avvio si presenta con la forma di una morbida e malinconica ballad. Fissati sulle retrovie i colpi compassati di Penna, chitarra, basso e piano si lasciano trasportare dalla situazione, senza mai esagerare. É il synth di Albuquerque, poco oltre i quattro minuti a suonare la carica e il brano prende forza con gli affondi ritmici e le scudisciate elettriche. A tratti sembrano affiorare anche qualche sentore di PFM e “schizofrenie” alla Balletto di Bronzo (richiamando anche l’opener). Negli ultimi minuti le distorsioni creano tormentate traiettorie, con sprazzi di Secret Tales de “L’antico regno”, “contagiando” anche tastiere e ritmiche, per chiudere poi solennemente alla Latte e Miele.

E se la Musea Records li ha introdotti nel mercato europeo qualcosa vorrà pur dire.

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