West, Space and Love (2012)
Space Rock Productions
Gli Øresund Space Collective continuano a sfornare dischi su dischi. West, Space and Love è il secondo di quattro album pubblicati nel solo 2012.
Il collettivo musicale “multinazionale” in questa occasione vede impegnati i soli Scott “Dr. Space” Heller (synth), uno dei “padri fondatori” del progetto, KG West (chitarra acustica ed elettrica, sitar e basso, già con gli Øresund negli album “Good planets are hard to find” del 2009 e “Glossolalia” del 2010) e Billy “Love” Forsberg (tabla, spring drum, darbuka, tamburello e chitarra acustica), gli ultimi due provenienti dai Siena Root.
L’elemento fondante il progetto, l’improvvisazione, è rispettato anche in questo nuovo lavoro, nonostante risulti un album meno “suonato” rispetto ai precedenti, molto probabilmente a causa della “carenza d’organico”.
L’essere solamente in tre porta ad emergere i rispettivi strumenti principali (synth, sitar e percussioni in genere), il tutto a creare una musica che potremmo definire un raga-rock cosmico. Importanti sono i richiami alle sonorità teutoniche dei ‘70 (per quanto riguarda l’utilizzo dei synth) come il Klaus Schulze di “Irrlicht” o i Tangerine Dream, mentre sitar e percussioni, con le loro atmosfere etniche, portano alla mente alcuni brani de “Il canto dell’arpa e del flauto” di Pepe Maina.
L’album, il cui titolo è preso in prestito dai tre nomi d’arte dei musicisti, è stato registrato tra il 10 e l’11 ottobre del 2009 presso lo Space Station Studio CPH di Copenhagen, ed è stato pubblicato in due versioni, la prima limitata a 200 copie (con copertina bianca e, per 100 di esse, inserto dipinto a mano) e la seconda a 500 copie. La cover presente in questa recensione è quella della seconda stampa.
Il raga-rock cosmico di cui si parlava poco prima è ben esplicato dal brano d’apertura High rise, dove un “vento elettronico” alla Tangerine Dream s’intreccia al suono orientale di un sitar e alle percussioni, creando un’atmosfera ipnotica per l’ascoltatore. Solo negli ultimi minuti la sezione elettronica diventa più viva.
Avvio meditativo per Kafi (for your love) con un clima molto diluito (una via di mezzo tra un brano dei Pink Floyd e uno ambient). Poi avviene l’ingresso in scena dell’elemento orientale che sembra preso in prestito dai primi secondi di Fata Morgana dei Litfiba. Il brano si trascina con questa trama elettronico/esotica sino al termine, veleggiando su di un’onda mistica e rasserenante.
È la chitarra acustica di KG West la protagonista di Spirit blues che, come lascia intendere il titolo del brano, ha uno spirito blues tipicamente americano. Ad essa si aggiungono, lungo il tragitto, il darbuka di Love (che dà un tocco etnico al brano) e i suoni sintetici di Dr. Space.
Repetition. Come per il brano precedente anche in questo il titolo è rivelatore del contenuto. Siamo di fronte ad una sorta di ripetizione/citazione dei primi due brani fusi tra loro. Protagonisti i soliti sitar, percussioni e synth in un vortice sonoro lento ma ipnotico.
Sitars in space. Lungo viaggio lisergico di oltre quattordici minuti. Il synth cosmico fa da supporto al sitar effettato con un notevole eco (questo, a tratti, priva l’ascoltatore di punti di riferimento), mentre in sottofondo, questa volta, troviamo anche un loop di basso. In alcuni punti il synth diventa padrone assoluto della scena con sonorità talvolta più cupe, altre più vive, ma sono solo lampi che spezzano il lungo cammino di basso e sitar.
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