Sessa Simone – See the Zen Key

SIMONE SESSA

See the Zen Key (2017)

Lizard Records / Zeit Interference

 

Grazie a tutti i registi che mi hanno fatto sognare: David Lynch, Quentin Tarantino, Mathieu Kassovitz, John Carpenter, Terry Gilliam, Werner Herzog, John Milius, David Cronenberg, Orson Welles. È tenendo bene a mente questa lista di maestri del cinema, cui è dedicato, tra gli altri, l’album, e le loro peculiarità artistiche, che bisogna approcciarsi al lavoro di Simone Sessa: See the Zen Key.

La sperimentazione, l’estro “fuori dal coro”, la visionarietà: è questo ciò che Sessa ha “rubato” concettualmente agli otto cineasti. Poi, tramite l’utilizzo di una chitarra elettrica, effetti e loops, ha suddiviso il “bottino” in otto parti uguali, otto episodi che ne richiamano l’animo empirico.

Quindi solo una chitarra e tanti pedali, questa l’artiglieria messa in campo da Simone Sessa, ed è con questo equipaggio che si lancia senza paura oltre gli schemi, tra improvvisazione, minimalismo, drone music, sperimentazione, kosmische muzik e melodie esotiche. E, come in un sogno surreale, i fotogrammi cinematografici messi in musica da Sessa, prendono vita nella bizzarra copertina realizzata Francesca Pannone.

Vacua ma carica di crescente tensione ci accoglie Mulholland Empire, primo capitolo di See the Zen Key. Pochi suoni rarefatti, alienanti, sensazioni floydiane che si fondono a suoni d’altri mondi di marca cosmica, un mix di elementi che ci conduce al limite della pazzia.

Bill Kill. Una linea di basso (che, ovviamente, basso non è) “senza pretese” dà il via ad una sorta di western lisergico morriconiano che si apre ad influenze di tradizione siciliana, per poi scorrere via sensualmente.

Un arpeggio regolare, avvolgente, che emana una sensazione un po’ malinconica e che s’incastra tra “Dream on” degli Aerosmith e “Quelli che benpensano” di Frankie HI-NRG MC, apre The Hater. Un loop senza fine “infastidito” da suoni elettronici che, alla lunga, creano un secondo layer ipnotico.

Escape From Michael Myers è un lungo viaggio nello spazio più profondo grazie agli effetti sintetici della chitarra di Simone che spaziano tra la kosmische muzik e il Battiato sperimentale più estremo. E, con il trascorrere dei secondi, i corrieri cosmici s’impossessano completamente dell’anima del musicista.

Atmosfera decisamente più rilassante e spensierata per Brazil: brasileira, appunto. È un episodio in cui Simone Sessa si lancia in piacevoli giochi chitarristici che si sovrappongono “senza disturbare e senza disturbarsi”, limitando all’essenziale l’uso di effetti elettronici.

Totalmente estraniante Even Small Started Dwarfs. Bizzarrie chitarristiche che colpiscono da ogni direzione creando una sensazione di stordimento. A tratti ricorda la sensazione di smarrimento provata nel brano “Roastbeef”, dall’album “Antropofagia”, di Patrizio Fariselli.

Rasserenante e ammaliante, con un forte sentore hawaiiano, compare Little Wednesday. Sembra quasi di vedere le movenze sinuose delle danzatrici che eseguono la Hula sulla sabbia di Waikiki Beach, mentre un piccolo gruppo di suonatori sorridente pizzica gli strumenti pacatamente.

Si chiude con Video Drome. Una serie infinita di “prime note” distorte, trascinate, diluite, un’attesa infinita di un brano rockeggiante che sembra sempre lì pronto per partire ma che, scopriremo sulla nostra pelle, non arriverà mai, con un clima che si fa man mano più pesante e opprimente, sino al delirio.

Un album coraggioso, nulla da eccepire. Non per tutti.

Per maggiori info: Simone Sessa

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