Un caro benvenuto al polistrumentista e cantautore Carmine Capasso.
C.C.: Ciao Donato, grazie infinite per questa meravigliosa opportunità.
Iniziamo la nostra chiacchierata dalle origini. Quali sono i tuoi primissimi passi nel mondo della musica e i primi “amori”? Per esempio il clarinetto…
C.C.: Bisogna cominciare dai miei sei anni… I miei genitori mi iscrissero nella banda di musica del paese perché vedevo che gran parte dei miei coetanei ne facevano parte, come moda del momento. Questa occasione mi ha permesso di esibirmi in tutta Italia ed anche in Francia.
…e poi arrivano i Led Zeppelin e la chitarra…
C.C.: Io e mio padre siamo collezionisti di vinili, passione che ormai ha più della mia età. Tra i dischi di vario genere arrivo alla scoperta di una raccolta dei Led Zeppelin… folgorazione allo stato puro! Ho capito che volevo essere un musicista, sentivo quella musica dentro di me, effetto che mi fa tutt’ora! Credo che gli Zep siano il massimo dell’espressione rock e pathos. Per quanto riguarda la chitarra, invece, tutto è nato ascoltando gli Slash’s Snakepit (la band di Slash post Guns N’Roses); mio padre lasciò lo studio della chitarra per permettermi di andare a scuola di musica, quindi in casa c’era quella chitarra classica che mi sembrava impossibile da suonare ma poi mi decisi ad impararla. Ho ricevuto una sola lezione di chitarra perché alla seconda mi venne detto che non ero portato per lo strumento…
A sedici anni, siamo nel 2008, pubblichi il tuo primo EP “Immerso nel tuo mondo”. Ti va di raccontare la genesi della tua prima opera e le emozioni che un ragazzo così giovane prova nel raggiungere, così presto, un obiettivo del genere? Quali riscontri hai ottenuto da critica e pubblico in quell’occasione?
C.C.: Ero il chitarrista solista di gran parte delle band locali di rock e metal e la voglia di esprimermi cresceva sempre di più, ma non volevo cantare assolutamente. Le mie canzoni venivano bocciate dalle band e il perché non lo so… questo è un problema grande di chi non presta ascolto. Ho sempre pensato che il genere di una canzone lo determini la band in base alle proprie esperienze e stile, ma si ha la tendenza a bocciare a priori perché non sembra essere adatto. Riguardo ad “Immerso nel tuo mondo”, ascoltandolo oggi sembra più una demo che un EP vero e proprio, infatti la critica mi distrusse letteralmente… tant’è che ho preferito bandirlo e quindi è difficilmente reperibile. Sto riprendendo quei brani che lo compongono per riproporli in una nuova veste.
Tra 2009 e 2013 collabori con Sasha Torrisi dei Timoria. Come ricordi quell’esperienza e cos’ha aggiunto nel tuo bagaglio da artista ancora molto giovane?
C.C.: I Timoria sono tutt’ora la mia band italiana preferita e nei miei live già in quegli anni proponevo tante loro covers. Entrare nella sua band fu una grande soddisfazione e soprattutto un’esperienza che mi ha fatto crescere sia dal punto di vista professionale sia personale. Ho girato l’Italia e conosciuto tanti nuovi amici che fanno ancora parte della mia vita… ma con gli anni sentivo l’esigenza di aprirmi a nuovi orizzonti e quindi decisi di lasciare il progetto. Ancora oggi mi capita di suonare con Sasha per un paio di brani, magari come suo ospite in qualche suo concerto.
In ambito compositivo sei abbastanza prolifico e, tra 2010 e 2012, pubblichi due nuovi lavori, “Fiabe” e “Il mio passo”. Quali sono i punti di contatto e le differenze sostanziali con il primo EP? E cosa ti ha influenzato nella loro realizzazione?
C.C.: “Fiabe” è un singolo che nacque in una camera d’albergo in Basilicata dopo la fine di un concerto. Solitamente, dopo i concerti, preferivo scambiare due chiacchiere con i fans che rimanevano ad aspettarci alla fine del concerto ma quella sera decisi di rientrare in albergo e così scrissi questo brano. Avevo in testa già l’arrangiamento che oggi presenta il brano. “Il mio passo” è un EP composto durante il mio servizio militare e il mio gioco di parole, nel titolo, lo fa capire chiaramente. Gli orari di caserma erano gli opposti della vita in tour, quindi ci fu un cambiamento drastico. Ogni brano di questo EP racconta la mia storia eccetto “Ho vissuto con te”… mi colpì la storia di una ragazza in treno che raccontava alla sua amica la fine della sua relazione col ragazzo.
E come nasce l’incontro tra un cantautore e chitarrista come te e il rapper Doppia B (in occasione della realizzazione del singolo “Comincerò dal Rap”)? Com’è stato approcciarsi ad un genere, credo, non proprio nelle tue corde?
C.C.: Ho conosciuto Doppia B quando mi è stato assegnato il Premio Canzoni Nuove a Cercola (NA) per l’album “Il mio passo”. Mi ricontattò dopo qualche giorno proponendomi di scrivere il testo di questo brano dove avrei cantato e suonato la mia chitarra, così mi misi in gioco e il risultato lo lascio giudicare agli altri, inoltre ci sono altre collaborazioni quali Dj Jad (Articolo 31), Ciccio Merolla (Bennato, Senese, Gragnaniello) e tanti altri! Speravo in qualcosa che suonasse come i Rage Against The Machine e direi che la mia parte di sicuro è ispirata a quel genere.
Nel 2015, invece, entri nell’orbita dell’etichetta indipendente Snap Music e ripubblichi “Il mio passo”, seguito poi, nel 2017, dal nuovo EP “Pausa caffè”. Perché decidi di dare una “seconda chance” a “Il mio passo”? E ti va di descrivere un po’ l’ultimo lavoro?
C.C.: Nel 2015 ho iniziato a collaborare con la Oiné e la Snap Music come turnista per diversi album così, con il produttore Pietro Razzino, abbiamo deciso di distribuire in digitale “Il mio passo”. Non pubblicando nuovo materiale da diversi anni, rispolverai dei brani che avevo composto per altri artisti ma che ho deciso poi di tenere per me, così è nato “Pausa caffè” che contiene il singolo “Faccia d’attrice”. Questo è un EP di transizione, nato in una fase compositiva quasi nulla… purtroppo ero carente di ispirazione e non avevo la giusta voglia di scrivere.
…e poi nella tua vita arriva il progressive rock: The Trip. Quando e come scocca la scintilla con la storica band di Pino Sinnone? Com’è stato “calarsi nei panni” di chitarristi quali Ritchie Blackmore e, soprattutto, Billy Grey? E quali sono le sensazioni che si provano a far parte di una leggenda come i The Trip?
C.C.: Con il mio trasferimento a Milano, decisi che avrei suonato solo nei progetti che avrei ritenuto interessanti e che mi sarei concentrato sul mio progetto solista. Ho sempre avuto una passione viscerale per il progressive rock e ricordo ancora quando mio padre acquistò “Caronte” dei The Trip… ne rimasi stupefatto e ne feci uno degli album fondamentali per la mia crescita musicale. Un giorno, su Facebook, lessi l’annuncio di Pino Sinnone che stava provinando dei componenti per riformare la storica band, così mi proposi. In quel periodo mia moglie Angela era in dolce attesa di nostro figlio Antonio, quindi avevo grosse difficoltà per spostarmi a Torino per il provino e fu Pino stesso a venire da me a Milano per provinarmi e così, entusiasta del risultato, mi chiese di entrare a far parte di questa mitica band. Accettare questo ruolo ricoperto da Blackmore e Grey è un peso davvero grosso ma con i fan dei Trip ho subito chiarito che non voglio essere il sostituto di nessuno ma semplicemente colui che vuole portare avanti il loro discorso musicale e la loro storia. Il mio ruolo nei Trip non è solo quella di chitarrista e seconda voce, ma ho dato una mano a Pino anche nella riorganizzazione della band.
E non è tutto perché, di recente, hai raggiunto anche la Scandinavia progressiva, grazie alle tue partecipazioni negli album “Gulliver” di Marco Bernard e Kimmo Pörsti e “Wayfarer” dello stesso Pörsti. Come nascono e come si concretizzano queste collaborazioni? E com’è confrontarsi con ambienti diversi da quello italiano?
C.C.: Grazie al web ho conosciuto il musicista Danilo Sesti per cui ho registrato delle chitarre in un suo album ed è stato lui a segnalarmi a Marco Bernard. Seguivo già i lavori dei The Samurai of Prog e sapevo anche della collaborazione di Danilo, quindi presi parte alle registrazioni di “Gulliver”, un lavoro davvero superlativo! Ormai grazie ad internet si possono instaurare bei rapporti di amicizia ed infatti, come quelli nati con Marco (Bernard) e Kimmo (Pörsti). Come hai già detto, ho lavorato anche nell’album di Kimmo che è una piccola perla! Sto continuando a lavorare con loro per le prossime uscite discografiche, una vera goduria!
Il 2020 è anche l’anno del singolo “Se sono con te”, dedicato a tuo figlio. Com’è cambiata la tua vita con il suo arrivo? È stato facile ispirarsi a lui nella stesura del brano?
C.C.: La nascita di un figlio è un qualcosa che non si può spiegare e, pur facendolo, non si troverebbero parole giuste. Ovviamente la tua vita cambia, così come le tue proiezioni per il futuro ma ciò mi ha spinto a fare solo cose selezionate. “Se sono con te” ha avuto due fasi… avevo scritto e già registrato la parte musicale durante le sessioni di “Pausa caffè” ma con la Snap Music decidemmo di lasciarla come eventuale singolo di presentazione per Sanremo. Con il mio trasferimento a Milano e gli altri progetti in corso, la cosa è stata archiviata così, qualche recentemente, abbiamo ripreso quella musica, dove abbiamo apportato diverse correzioni, ma ovviamente mancava un testo e l’ispirazione nello scriverlo non mi è mancata. Ho descritto le mie sensazioni, quelle di padre, adesso consapevole di esserlo diventato… anche perché i primissimi mesi ti sembra solo un sogno, irreale. Essere padre ti dà la forza di combattere ogni giorno e sempre col sorriso… spero solo che un giorno, rovistando tra i miei CD e vinili, possa prenderne uno e leggere orgoglioso il nome del suo papà che vi ha suonato. Ecco… per me questo significherà aver avuto successo!
Tra le tue numerose esperienze di questi anni, oltre a quelle già citate, ci sono anche, tra le altre, Antonio Onorato, Luca Sepe e Jeff Michell. Tutte queste collaborazioni, diverse tra loro per genere e pubblico di riferimento, come hanno formato e arricchito l’artista Carmine Capasso?
C.C.: Suonare con Antonio Onorato, uno dei più grandi chitarristi mondiali (definito il Pat Metheny italiano), ha cambiato il mio approccio con lo strumento… ovviamente ho capito che potevo avere maggior potenziale! Durante la nostra collaborazione si è complimentato con me per il mio sound e il mio stile e questo non ha fatto altro che riempirmi d’orgoglio. Luca Sepe è un grande performer, molto apprezzato in Campania come showman! Jeff Michell è il cantante della progressive band cilena The Bridge, ha collaborato anche con Neal Morse. Ho suonato nel suo album “One”, nel brano “Crazy Angel”, una collaborazione che mi ha dato tanta visibilità nel suo paese.
Capitolo a parte sono Gli Effendi. Ti va di parlare del tuo amore per Rino Gaetano e del progetto con cui porti sul palco la sua musica?
C.C.: Rino Gaetano con Ivan Graziani sono dei cantautori che adoro. L’idea di fare un tributo a Rino è nata ben undici anni fa… ad oggi dei membri originali sono rimasto soltanto io e originariamente ero solo il chitarrista di questa band. Ma si sa come vanno le cose… eravamo alla ricerca di un cantante e così iniziai a cantare io nelle prove e con i ragazzi ci fu la decisione di passare al microfono, così abbiamo riorganizzato lo show e creato una nuova identità alla band. Suoniamo la sua musica soprattutto per l’amore verso questo grande artista.
Cambiando discorso, il mondo del web e dei social è ormai parte integrante, forse preponderante, delle nostre vite, in generale, e della musica, in particolare. Quali sono i pro e i contro di questa “civiltà 2.0” secondo il tuo punto di vista per chi fa musica?
C.C.: Ormai internet è il presente e il futuro… Il suo problema è quello di essere alla portata di tutti, in quanto sono fermamente convinto che ci debba essere una selezione su chi può utilizzarlo e chi no. Ovviamente se lo si usa nel giusto modo, può darti tanta visibilità e accrescere le proprie conoscenze soprattutto dal punto di vista artistico, così ho potuto concretizzare le mie collaborazioni e uscire fuori da un circuito più locale per conoscerne uno più “internazionale”.
E quali sono le difficoltà oggettive che rendono faticosa, al giorno d’oggi, la promozione della propria musica tali da ritrovarsi, ad esempio, quasi “obbligati” a ricorrere all’autoproduzione?
C.C.: Il problema reale è che oggi in tanti si improvvisano produttori e discografici… credono di sapere il segreto del successo e la vendibilità quando, in realtà, non hanno mai venduto neanche un singolo su Itunes. Credo sia questo l’insuccesso della musica d’autore, in quanto oggi si bada al tormentone/musica “usa e getta”… disagio che avverto in tante “nuove leve”. I miei riferimenti da adolescente erano i miti del rock, li vedevo come un obiettivo da raggiungere… oggi i ragazzi, quei miti, eccetto 2/3 canzoni, neanche li conoscono. Così nasce l’autoproduzione! Con pochi euro puoi creare un Home studio e buttar giù le tue idee senza il consenso di qualcuno, che crede possa saperne di più! La musica è espressione personale, perché lasciarsi convincere che non è così?
Proseguendo sul tema, in più di un’occasione, per i tuoi lavori sei ricorso all’autopubblicazione. Facendo un parallelo tra letteratura e musica, tra il mondo editoriale e quello discografico, è, non di rado, pensiero comune etichettare un libro rilasciato tramite self-publishing quale prodotto di “serie B” (o quasi), non essendoci dietro un investimento di una casa editrice (con tutto il lavoro “qualitativo” che, si presume, vi sia alle spalle) e, in poche parole, un giudizio “altro”. In ambito musicale percepisci la stessa sensazione o ritieni questo tipo di valutazione sia ad uso esclusivo del mondo dei libri? Al netto della tua esperienza, consiglieresti alle nuove realtà che si affacciano al mondo della musica la via dell’autoproduzione?
C.C.: Si senz’altro consiglierei l’autoproduzione, come dicevo in precedenza, è il modo migliore per esprimere se stessi.
Qual è la tua opinione sulla scena progressiva italiana attuale?
C.C.: Oggi in Italia c’è un gran ritorno delle storiche band progressive, come ad esempio anche i miei The Trip. Per quanto riguarda le nuove band progressive potrei citare Sophya Baccini (mia cara amica), La Batteria, Il Segno del Comando e tanti altri che trovo davvero validissimi.
“Addentrandoci” nella tua vita privata (che, in realtà, è legata indissolubilmente alla musica), ci sono altre attività artistiche che svolgi nella vita quotidiana?
C.C.: Così potrei dirti che principalmente la mia passione è quella di stare in famiglia, viaggiare e visitare luoghi. Un hobby che coltivo è anche quello del traforo (intagli su legno), che però, purtroppo, tra lavoro e altri impegni, non riesco a coltivare come vorrei. Ho anche riscoperto da poco la passione per il cinema…
Tu e tuo padre siete liutai. Com’è il vostro rapporto “musicale”? Quanto ha influito, se ha influito, la sua figura sul tuo percorso artistico?
C.C.: Sì, vero, io e mio padre siamo liutai… tutto però è iniziato quando io già suonavo da un bel po’! Mio padre aveva questo pallino e iniziò a cimentarsi in questa arte con ottimi risultati, tant’è che poi insieme abbiamo deciso di frequentare un corso dal maestro liutaio napoletano Umberto Amato.
Devo a mio padre la passione per la musica, lui già era un collezionista di CD e vinili e quindi mi sono ritrovato ad ascoltare la musica che lui acquistava per poi continuare questa bellissima ma costosissima passione!
E, restando sul tema, da liutaio, qual è il tuo rapporto quotidiano con la chitarra (quella che suoni e quella che crei)?
C.C.: Solitamente tra musicista e strumento si crea un rapporto quasi amoroso, nel caso di uno strumento autocostruito si crea un rapporto ancora più forte, perché puoi scegliere il legno da utilizzare, le componenti e quindi la crei in base alle tue esigenze!
Chi sono i “mostri sacri” della chitarra cui ti ispiri o che ti hanno dato “qualcosa di tangibile” lungo il tuo percorso artistico?
C.C.: Qualche anno fa Gianni Leone (Balletto di Bronzo) mi disse che il mio modo di suonare gli ricordava Alvin Lee (Ten Years After), eppure ho sempre cercato di ispirarmi a Slash, Jimmy Page e Jeff Beck. Ma in realtà Gilmour, Hendrix, Iommi, Latimer, Mussida, Petrucci, Bumblefoot ecc. sono parte essenziale della mia crescita chitarristica.
E parlando, invece, di gusti musicali, di background personale (in fatto di ascolti), ti va di confessare il tuo “podio” di preferenze personali?
C.C.: Se dovessi citare un album per ogni band che adoro potrei fare questa lista:
- Led Zeppelin – IV
- Beck – Bogert & Appice
- Genesis – A Trick of a tail
- Slash’s Snakepit – It’s five o’ clock somewhere
- Deep Purple – In Rock
- The Trip – Caronte
- Pink Floyd – Wish You Where Here
- John Mayall – Blues Breakers with Eric Clapton
- Spock’s Beard – The Light
- Aerosmith – Get a grip
- Ray Wilson – Makes me think of home
- Black Sabbath – Paranoid
- Timoria – Viaggio senza vento
- The Beatles – Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band
Ma non finirei mai! Ovviamente ne ho mancati davvero tanti, ma questi sono album che non potrei mai dimenticare!
Restando ancora un po’ con i fari puntati su di te, c’è un libro, uno scrittore o un artista (in qualsiasi campo) che ami e che consiglieresti di approfondirne la conoscenza a chi sta ora leggendo questa intervista?
C.C.: Se dovessi consigliare un musicista, consiglierei Ray Wilson (ultimo cantante dei Genesis) nella sua carriera solista!
Tornando al giorno d’oggi, alla luce dell’emergenza che abbiamo vissuto (e che stiamo ancora vivendo), come immagini il futuro della musica nel nostro paese?
C.C.: Ad oggi stiamo vivendo la ripresa e vedo che in tanti hanno ricominciato a fare musica dal vivo, quindi credo che si ritornerà alla normalità. Riguardo alla nuova musica, spero solo che questo periodo abbia aperto la sensibilità degli artisti per creare un qualcosa di davvero emozionante… di certo non manca l’ispirazione!
Durante la quarantena sei stato comunque molto attivo realizzando “video condivisi” con altri musicisti. Com’è suonare senza “contatto fisico”?
C.C.: Sì, vero, creare questi video condivisi, mi porta ancora oggi a farlo! Questi video hanno creato nuovi stimoli e riprendendo il discorso di qualche domanda fa, internet, se usato nel modo giusto, porta a grandi risultati! Nel mio caso suonare senza “contatto fisico” era già collaudato con le mie collaborazioni con artisti quali The Samurai of Prog, Jeff Michell e tanti altri, quindi non è risultato anomalo! Il mio disco solista, in uscita, è stato realizzato in toto in questo modo, quindi è molto piacevole!
Prima di salutarci, c’è qualche aneddoto che ti va di condividere su questa tua prima e densa parte di carriera artistica?
C.C.: Aneddoti ce ne sono davvero tanti ma uno in particolare è questo: eravamo in concerto in Basilicata e gli impresari del live ci portarono a cena fuori prima del concerto… nessuno si rese conto che erano le 22 e noi dovevamo iniziare il concerto alle 21. Ovviamente arrivammo sul palco alle 22:30 sommersi da fischi ma ci facemmo perdonare con un concerto che durò fino alle 3 del mattino e con la gente che non voleva più che smettessimo di suonare! In quel concerto sono nate anche amicizie che ancora oggi coltivo!
E per chiudere: c’è qualche novità sul prossimo futuro che ti è possibile anticipare?
C.C.: Certo! Settembre/ottobre uscirà il mio album da solista pieno di collaborazioni importanti che ad oggi non posso ancora svelare! Mentre il prossimo anno uscirà il nuovo album di inediti dei The Trip ed anche il rifacimento dello storico album “Caronte” suonato interamente dalla nuova formazione della band per festeggiare i suoi primi 50 anni! Abbiamo già iniziato le registrazioni e ti assicuro che è una vera bomba!
Grazie mille Carmine!
C.C.: Ciao Donato! Grazie a te!
(Luglio 2020)
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