Nine witches under a walnut tree (2020)
Goodfellas
La leggenda narra che, volando attraverso le gole dei Monti del Taburno, vicino alla città di Benevento, le streghe raggiunsero un noce dove celebrarono dei riti. Il 14 novembre 1572, mentre la terra brillava della luce della supernova Tycho, nove storie si fondevano in una sola, sublimando un legame di profonda empatia stretto sotto i rami di quell’albero stregato.
Dopo il primo “seme” gettato in “Viandanze”, dove, nel brano “Magica noce”, Cutillo tornava alle sue origini, quelle sannite, percorrendo l’oscura storia delle janare, le streghe di Benevento, con i loro riti celebrati sotto un albero di noce nei pressi del fiume Sabato, ecco che il polistrumentista, cantante e cantautore, sotto il nome di OAK, lascia riemergere tutto il suo amore verso l’elemento “occulto” della propria terra (e non solo), ambientando sotto i rami di quell’albero stregato la sua nuova fatica: Nine witches under a walnut tree.
Nove streghe, nove provenienze diverse, nove storie: il viaggio tra le tradizioni esoteriche europee, iniziato con “Viandanze” e portato avanti con “Giordano Bruno”, prosegue in questo nuovo album, concludendo la “trilogia prog esoterica” degli OAK.
E, ancora una volta, musicalmente Cutillo riesce nell’impresa di fondere sapientemente l’elemento folk con quello progressive rock, impreziosendo il lavoro con sortite nel Canterbury sound e qualche pennellata sinfonica, e apponendo al tutto una sorta di “filigrana” cupa e cinematografica alla Goblin, un tassello oscuro e arcano che ne eleva ancor più il pregio. Melodie intriganti, forza ed eleganza esecutiva, ricercatezza nei suoni, tutto tenendo sempre alta la tensione anche attraverso la narrazione delle storie delle protagoniste con testi ricercati, particolari, interpretati magnificamente ed espressi in diverse lingue da Jerry e dagli ospiti.
Ed è, appunto, anche la nutrita schiera di collaboratori l’elemento ulteriore che va a sancire maggiormente la qualità dell’opera. E se Cutillo ha l’“onere” di destreggiarsi tra flauto traverso, tin whistle, chitarra acustica, mandolino, tastiere, e-bow e drum programming, oltre ad offrire la propria voce, una importante mano la donano Jonathan Noyce (basso in tutti i brani eccetto Janet Boyman), David Jackson (sax in Donna Prudentia), Daniele Fuligni (piano in Dame Harvillers), Tetyana Shyshnyak (voce soprano e cori in Gioconna e Rebecca Lemp), Cristiana De Bonis (voce e cori in Nadira e Rebecca Lemp), Gerlinde Roth (recitato in Rebecca Lemp), Marta Perozzi (cori in Chlodswinda) ed Eclisse di Luna (cori in Rebecca Lemp).
Dulcis in fundo, grazie al lavoro grafico di Daniele Lanzini, ancor prima di addentrarci tra le gole dei Monti del Taburno, possiamo “incontrare” le protagoniste dell’opera e calarci nell’atmosfera che andrà a schiudersi appena la puntina del giradischi avrà “urtato” la superficie del vinile.
Provenienti dal sud della Scandinavia, i Longobardi si stabilirono nel Sannio dando origine al ducato di Benevento. Veneravano gli alberi considerandoli elementi sacri e incarnazioni di divinità. Nei loro rituali appendevano brandelli di carne ai rami per poi infilzarli al galoppo con lunghe spade. Ai pedi del magico albero di Noce, Chlodswinda rievoca quelle gesta brandendo la spada dei suoi antenati.
Pioggia battente, armi che impattano, cavalli irrequieti: così ci accoglie Chlodswinda. Poi tutto svanisce tra note cosmiche, correndo infine tra le corde tese del mandolino di Jerry Cutillo. Un senso di irrequietezza permea l’atmosfera, con il canto di Jerry, e i suoi stessi interventi tastieristici, che accentuano la sensazione. Alza il tuo scudo al Noce, divina Chlodswinda, damaschinature d’oro impugni nell’ombra. / Salti sul fuoco e balli, Urobura estatica, Masca guerriera Strega, Anfisbena orgiastica. / Sei morta e sei risorta dal MedioEvo all’Era Robotica. Sei fuoco, sangue, seme, Vassalla dell’Haeretica Pravitas […]. L’intervento crescente delle ritmiche battenti amplia ancor più l’elemento “nervoso” che si scioglie quando tutto si “apre” vocalmente, con l’ottimo supporto fornito, in retrovia, da Marta Perozzi. E quando pensi di essere “entrato” nell’ottica del brano, una cupa spirale gobliniana emerge dalle tenebre per avvilupparti, trascinandoti in un anfratto oscuro. La luce (sempre velata da uno strato corvino) riappare più avanti ad illuminare il cammino e si prosegue “rivivendo” le emozioni provate nei minuti precedenti.
Gioconna è una discendente della “Zucculara”, una strega del folklore beneventano. Come la sua antenata, cammina rumorosamente calzando pesanti zoccoli e trasportando ceste piene di cibo ed erbe rare da consumare al sabba con le sue compagne. Gli spiriti evocati da lei quella notte prevederanno disastri ambientali causati dall’impatto antropico nei secoli a venire.
Gioconna si apre con poche note di flauto, un senso di calma che fa immaginare un possibile scenario ma che, in realtà, si “sgretola” ben presto, quando le tastiere rapide e nere, le pelli tirate, l’eccellente lavoro al basso di Noyce e lo stesso flauto di Jerry (con indole diversa) ci proiettano in un fotogramma cinematografico alla Anima Morte. E quando tutto si fa confuso, alienante, il botta e risposta evocativo tra Tetyana Shyshnyak e Cutillo ci lancia in “traiettoria Opus Avantra”. E poi si riprende a correre. […] Luci…sempre più abbaglianti – Ghiacci…sempre più bollenti / Masse d’aria…meteo illogiche – Cicloni acri…almanacchi vani / Nos umani…resilienti, avari – Verticali…moti d’atmosfera / Notti spente…verso l’estinzione.
Ha viaggiato dal nord della Francia fino a Benevento con sua figlia, la giovane Rosalie, ed ora sono ferme con la loro carrozza sul costone di roccia denominato “La rupe delle janare”. Hanno trasportato pentole, piume e polveri magiche per mostrare alle altre come si realizzano pozioni. Sei anni dopo la notte di Benevento, Madame Harvillers verrà processata a Ribemont per alcune morti di persone e animali, finendo con l’essere condannata al rogo.
A Daniele Fuligni l’onere di darci il benvenuto in Dame Harvillers e il tastierista de La Fabbrica dell’Assoluto lo fa con una classe fuori dall’ordinario, con il suo tocco poetico e deciso, appassionato e drammatico, che va ad incastrarsi alla perfezione col canto intenso e coinvolgente di Jerry (in francese). E quando avviene il cambio al “vertice dei tasti”, il brano acquista altra forma, grazie anche al cambio di passo della batteria, tra bagliori new wave, sentori rinascimentali e pennellate gotiche.
Nascosta nella stiva di una nave, Janet naviga da Edimburgo fino a Napoli per poi proseguire per altre sessanta miglia fino a congiungersi con le sue compagne. Risveglia le fate dell’acqua del vicino fiume Sabato e scatena vortici e onde anomale per impressionare le sue amiche. A suo ritorno in Scozia sarà processata e condannata a morte con l’accusa di stregoneria.
Dalle acque emerge la strumentale Janet Boyman, brano in cui Cutillo può incanalare tutto il proprio fiato nell’amato flauto, trasportandoci in delicati paesaggi bucolici, con quel sentore di “The Snow Goose” dei Camel che non guasta affatto. Il suo strumento avanza ipnotico, arricchito da minuscoli dettagli, finché le ritmiche non intervengono a “dire la loro”. E più avanti, con qualche piccolo cambio “strutturale”, il brano lambisce anche territori Jethro, scorrendo via amabilmente.
Questa nobildonna di Triora sta intrattenendo piacevolmente le altre con i suoi racconti di storie d’amore. interrompe però spesso le sue narrazioni per inseguire le farfalle che svolazzano intorno ai rami del noce provando a toccarle con la lingua. Tutte ridono a questa scena ma un sottile velo di tristezza adombra il volto di Franchetta. Lei ha il presentimento che presto gli Inquisitori la riterranno responsabile della carestia che sente imminente nella zona ligure. Al pensiero delle torture che subirà, una smorfia di dolore le deforma il sorriso.
Inquieta e dolorosa prende il via Franchetta Borelli, dando spazio ad una netta sensazione di terrore che cresce col trascorrere dei secondi, sfociando poi nell’antitetico canto carezzevole e ammantato di Cutillo. L’utilizzo dell’e-bow da parte della chitarra, collocato sapientemente in più punti lungo il percorso, accentua la sofferenza di fondo dell’episodio, prima che le tastiere seventies del padrone di casa imprimano una svolta netta al brano.
Epilessia, voli astrali e viaggi nel tempo sono solo alcune delle prove a cui questa giovane donna è esposta: ma questa notte sta per compiere un vero balzo in avanti! Aggrappata a due funi che penzolano da un alto ramo del magico noce, Polissena comincia ad oscillare, accelerando progressivamente fino a deformare lo spazio/tempo ai suoi lati. In questo modo viaggia nel futuro e naviga su una ripidissima cascata di eventi. Al suo ritorno a Lucca sarà processata per stregoneria e arsa sul rogo.
Polissena. Con la seconda traccia strumentale dell’album, gli OAK mettono sul piatto tutta la propria carica evocativa. L’atmosfera sabbatica dei primi momenti (ripresa anche oltre) è resa ottimamente da suoni perfettamente calati nel periodo d’ambientazione dell’opera. Cioè che segue, poi, è pura carica cinematografica, tra andature poliziottesche (con, tra gli altri, il basso di Noyce sugli scudi) e lunghe trame gothic-horror magistralmente condotte dalle tastiere di Jerry. E il divertissement di flauto sul finire “scombussola” un po’ tutto.
Nella Tuscia tutti credono che Donna Pudentia sia una Lamia. In realtà e soltanto un’erbaria e una levatrice. Prudentia arriva a Benevento stringendo un libro tra le mani: il Malleus Maleficarum! Su quelle pagine c’è scritto come riconoscere le streghe, come torturarle per estorcere loro le confessioni e come bruciarle. All’interno di un cerchio di candele nere, Prudentia dà fuoco a quel libro maledetto. A suo ritorno a Blera, Prudentia sarà imprigionata e torturata con l’accusa di infanticidio.
Concupiscente Prudentia, tira giù il velo muliebre a nascondere la tua bellezza. / Campane, incenso stasera, infanticidi e accuse grevi nella città di Blera. / Superstizione e rabbia per una “putta guasta” il corpo diseccato, toccato / dalle streghe e dal diavolo […]. Molto morbida e fresca prende corpo Donna Prudentia, con la sua andatura folkeggiante, un po’ Lingalad e molto OAK. La stratificazione calibrata e mai eccessiva creata da ritmiche, tastiere e chitarra acustica (arricchita dall’intervento “a tema” del sax di David Jackson), e il canto passionale di Jerry si combinano ottimamente raggiungendo, col trascorrere dei secondi, il proprio apice immaginifico.
Discendente di una sacerdotessa di Iside, Nadira danza per la dea egizia rievocando il suo epico tentativo di ricomporre le membra del corpo di Osiride. Come negli antichi rituali sanniti dedicati al culto della dea Iside, la danza ipnotica culmina con Nadira che allarga le braccia in posizione alare per poi cadere in uno stato di trance. Mediante questo alterato stato di coscienza, Nadira si ricongiunge con la divinità.
Con una “breve visita” ai corrieri cosmici, e un pizzico di “spiritualità” alla Juri Camisasca, appare Nadira. Terminato il breve lavoro vocale di Cutillo, l’episodio si sviluppa inizialmente intorno al loop penetrante di basso, con alcuni dettagli tastieristici, a prima vista “di contorno”, che hanno, invece, lo specifico compito di modificare subdolamente l’anima del brano, portandola verso il “sentiero oscuro” che caratterizza l’intera opera. E quando da lontano vedi apparire i vocalizzi ultraterreni (e poi il recitato ammaliante) di Cristiana De Bonis, comprendi che tutto è compiuto. E, infine, ampio spazio alla sfuriata andersoniana del flauto.
Bruciata sul rogo a Nordlingen il 9 settembre 1590. Dalla cima della rupe delle Janare, Rebecca punta il dito verso l’alone luminoso della supernova Tycho mentre le altre streghe si tengono per mano. Presto si incammineranno verso la nuova alba cantando il loro addio all’incantesimo e soffiando contro i venti di distruzione che bussano alle porte. Ma il loro canto sarà smorzato dalla violenza.
Con incedere netto e costante avanza Rebecca Lemp, con la batteria incalzante e l’interessante linea di basso di Noyce posti lì in attesa del canto (in tedesco) di Jerry. Al suo arrivo, quasi “spaventata”, la sezione ritmica si nasconde, per riprendere poi il cammino rasserenata dalla “bontà” del vocalist. E, in questo quadro, il mandolino dello stesso Cutillo dona quell’elemento effervescente che calza a pennello. Vivacemente, con colori decisamente più luminosi del solito, e qualche bagliore battiatiano, il brano prosegue spedito. E, sul finire, il tocco femminile di Gerlinde Roth (recitato), Tetyana Shyshnyak, Cristiana De Bonis ed Eclisse di Luna (cori) ci conduce nel bel mezzo del rituale, spettatori attenti della magnetica cerimonia che si celebra ai piedi dell’albero di noce. E quando il coro gioviale svanisce realizzi che, ancora una volta, Jerry Cutillo, con i suoi OAK, ha fatto centro.
Per info: OAK
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