Disincanto (2018)
Andromeda Relix / Lizard Distribution
Esordio discografico per gli Opera Oscura, progetto romano guidato da Alessandro Evangelisti (piano, tastiere) e Alfredo Gargaro (chitarre) e che vede la presenza di Serena Stanzani (voce), Francesca Palamidessi (voce), Umberto Maria Lupo (batteria), Leonardo Giuntini (basso), Andrea Magliocchetti (chitarra classica) e Francesco Grammatico (basso, programmazione).
Con Disincanto gli Opera Oscura realizzano un sapiente e affascinante contrasto di luci ed ombre, di drammaticità e romanticismo, una miscela suadente di sound energico e tocchi di melodia, di sano prog-metal sinfonico (con evidenti tracce gotiche) e spunti classicheggianti, con sentori di Opeth e Haken (tra gli altri) che non guastano affatto, con una qualità esecutiva che va di pari passo con quella delle liriche, interpretate dalle due raffinate voci femminili, che si muovono tra mitologia e cruda realtà, tutto racchiuso graficamente nell’evocativa immagine realizzata da George Grie.
Disincanto si apre in punta di piedi con A picco sul mare ma la deflagrazione in chiave prog metal seguente, improvvisa, è devastante. Poi tutto va nelle mani del drammatico piano di Evangelisti e della celestiale voce di Francesca Palamidessi. E, mentre la vocalist (che si “muove” tra Simona Bonavita degli Hautville e Annalisa Belli degli Alchem), con il suo timbro gentile, ci narra, attraverso il testo poetico realizzato da Evangelisti, la storia sfortunata di una sirena, le chitarre e le ritmiche hanno il compito di descrivere i vari stati d’animo della protagonista. E più avanti si ripiomba nel “caos” con le granitiche distorsioni di Gargaro e i colpi possenti di Lupo a svettare fieri, prima di lasciare spazio alla conclusione della storia.
Partenza fulminea per La metamorfosi dei sogni con il gran lavoro delle corde di Gargaro che combattono con le ritmiche Lupo e Giuntini, in un quadro dalle tinte Iron Maiden. La delicatezza delle dita di Evangelisti torna poi protagonista, ben avviluppata ai suoni malinconici dell’assolo di chitarra, prima di un nuovo turbinio alla Dark Ages che, per qualche momento, trascina tutto via. Gli ultimi minuti scorrono con un crescendo guidato dal (mai interrotto) solo di Gargaro.
Ancora con una “dedica” in chiave mitologica, in questo caso una creatura della tradizione russa metà donna e metà uccello, giunge fatata Il canto di Sìrin, un delicato dialogo tra piano e voce (nell’occasione Serena Stanziani), suggestivo e nocenziano il primo, angelica la seconda: un perfetto connubio, una fusione sublime. A metà cammino, abbandonata la sua compagna per qualche attimo, Evangelisti si lascia andare con eccezionali digressioni.
Si riprende a correre con Pioggia nel deserto, brano trainato dai soliti addetti alle ritmiche e dalle distorsioni, un nuovo vortice sonoro prog metal che si espande per poi chiudersi intorno al piano di Evangelisti. Lungo l’intero percorso, è soprattutto Gargaro a disegnare forme complesse e policrome, seguito a ruota dagli altri compagni, tutto racchiuso in circa tre minuti di energia e poesia.
“Fuori da questa terra! / Qui non c’è posto anche per te. / Il Signore ha scelto me.” / “Quel che ti chiedo è scritto. Mi riprendo ciò che non è tuo.” / Ma forse la terra non ha padroni, / pensala libera dai suoi confini. / Libera la tua mente / da ogni idea di superiorità / forse il mondo cambierà. Violenta emerge dalle acque Gaza, tiratissimo episodio corvino in cui anche la voce filtrata (nella prima parte) di Francesca Palamidessi cambia decisamente il proprio registro. Un tragitto denso che vive della potenza “nera” espressa dal gruppo, in primis chitarre e pelli.
Double face (e altalenante) appare Dopo la guerra. Nei primi minuti sono il canto vellutato e triste di Palamidessi e il piano cullante di Evangelisti i protagonisti indiscussi. […] Non aver paura / del male che ha sommerso / in quella oscura terra / tutta la poesia. / Un giorno tornerà la fantasia […]. Intanto, nelle retrovie, Lupo prepara il terreno alle corde di Gargaro lasciando presagire un cambio imminente. Quest’ultimo non si fa di certo pregare e, gradualmente, asseconda l’altro lanciando la fuga fatta di spinte ritmiche e sferzate distorte. E poi si procede tra alti e bassi, con melodici intrecci di piano e chitarra classica alternati a cavalcate granitiche.
Resti. Il sigillo a Disincanto è posto dal soliloquio struggente e, a tratti, rabbioso di Evangelisti al piano, un po’ Saint-Preux, un po’ Cacciapaglia.
Per maggiori info: Opera Oscura
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