Quando orgoglio fa rima con cordoglio

«Ciao Mara, come va?».
«Ciao Patrizia! Tutto bene, grazie. Tu?».
«Non mi lamento».
E seguì un tiepido scambio di baci.
«È molto tempo che non vedo tuo figlio Mirco. Tutto bene?».
Dopo una serie di domande futili e banali, l’attenzione si spostò sul secondogenito della prima donna.
«Oh sì, sì. Mirco ora è a Dublino. Ha vinto una borsa di studio internazionale in Economia ed ora studia e lavora presso una grande multinazionale. È il nostro orgoglio!» rispose Mara pavoneggiandosi.
«Sono contenta per voi» replicò con voce piatta Patrizia, senza mostrare invidia.
«E tuo figlio?».
«Bah, niente di speciale. Dopo il diploma ha iniziato a seguire suo cugino Lorenzo, l’idraulico. Ora lavora con lui».

«Vieni qua, teroni!».
«Cosa vuoi ora?».
«Sbrigati a lavare quella montagna di piatti e poi dai una mano con le patate da sbucciare. Su, su! Teroni!».
«Ma mi ci vorrà almeno mezz’ora con questi» disse il ragazzo indicando l’Everest di stoviglie e strozzando una bestemmia.
«Muoviti e non fare parole inutili, teroni!».
E quel “teroni!”, storpiatura anglicizzata dell’epiteto “terrone”, ronzava nella mente di Mirco dalle dieci alle quattordici ore al giorno, cinque, ed a volte sei, giorni a settimana.
John Grindle, proprietario del pub “Green Clover”, si era imbattuto in quella nuova e strana parola, per lui, una sera, per caso.
«Taaaac! Ecco un altro terrone. È un’invasione!» e il trittico di beoti brianzoli era andato giù di risate.
Mirco aveva colto la frecciata e, dopo averli traguardati torvo, aveva proseguito verso la cucina.
«Tutto ok con il cameriere?» chiese Grindle che, in quel momento distante solo pochi passi dai clienti, aveva notato il riferimento al suo dipendente, attualmente declassato in cucina.
«Certo, certo» rispose sbrigativo uno dei tre.
«È solo un terrone!» aggiunse sghignazzando quello alla sua destra.
«Cosa vuol dire teroni?» chiese curioso il proprietario.
«Teroni? Ah ah! Teroni! Comunque, è un modo affettuoso per apostrofare chi proviene dal sud dell’Italia».
«Sì, affettuoso!» e ancora risate.
E da quella sera Mirco divenne semplicemente Teroni! per John Grindle.

«Ciao tesoro, com’è andata oggi?».
«Tutto bene, mamma».
«Bravo tesoro mio! Sei il nostro orgoglio!».
Ore 21.30, come ogni sera, dopo esser rientrato a casa, aver posizionato sul piatto scheggiato del microonde un pasto pronto e, contemporaneamente, fatto una rapida doccia per togliere il puzzo del fritto del pub, la telefonata della famiglia giungeva attesa.
«Anche oggi hai finito tardi?».
«Come sempre, mamma. Ogni pomeriggio, lo sai, facciamo una riunione che termina alle venti. Poi mi serve almeno mezz’ora per rientrare».
«Certo che in azienda ti stanno proprio torchiando. Piccolo mio».
«Sacrifici, mamma».
«Bravo tesoro. Un po’ di sacrifici ora e poi il futuro sarà meraviglioso».
E, mentre mentiva ormai meccanicamente a sua madre, Mirco osservò allo specchio il suo volto di giorno in giorno più magro e spigoloso, le occhiaie violacee sempre più evidenti. La stanchezza.

«Ciao Mirco. Allora lo vuoi fare questo tentativo? È tutto molto semplice. E conveniente, per te».
«Non ne sono sicuro, Ken».
«Non ti fidi di me?».
Il lunedì era giorno di chiusura al “Green Clover” e Mirco trascorreva tutta la mattina a letto. Poi, dopo un’improvvisata colazione, che fungeva anche da pranzo, si spostava nel club “Odd Stuff”, aperto dalle due del pomeriggio sino allo spuntare dell’alba, per spendere parte dei suoi guadagni in alcool e junk food.
Era qui che quattro mesi prima aveva conosciuto Ken, classico capello rosso e volto lentigginoso irlandese. Immediatamente era nato un buon rapporto e, molto presto, lui aveva messo a conoscenza il nuovo amico italiano dei suoi traffici.
«Ecco, prendi questa» e gli porse una piccola bustina trasparente in cui s’intravedevano un paio di minuscole pillole colorate.
«Cosa dovrei farne?» chiese titubante Mirco, avvicinando lentamente la sua mano all’involucro, quasi scottasse.
«Lo vedi quello al banco col cappello blu e giallo?» disse Ken facendo un fugace cenno col capo.
«Sì».
«Sta aspettando questa. Avvicinati, digli “la pappa è pronta” e vai verso il bagno. Ti seguirà. Poi fate lo scambio, busta per cento euro, venti saranno tuoi. Io ti attendo qui al tavolo. Tutto molto semplice».
E tutto fu davvero molto semplice.

«Ciao Mirco. Domani abbuffata».
«Non sarà rischioso?».
«Hai mai corso rischi sinora con me?».
«No, Ken».
«E allora fidati».
Erano trascorsi quasi due mesi dal primo tentativo e, dopo i primi approcci guidati dal timore, Mirco si era lasciato ingolosire da quei facili guadagni, sino al punto di abbandonare il lavoro al pub.
«Non stai già meglio con i soldi che ti faccio fare io? Senza quel pub di merda?».
«Certo, certo».
«E allora da domani potrai spassartela per un bel po’ di tempo. Fidati. Adesso bevi e anticipiamo i festeggiamenti» disse all’amico porgendogli una pinta di Guinness.

«Ripetiamo il piano. Prendi questa valigetta, entra da lì e attendi» disse Ken indicando la porta metallica laterale semidistrutta di un vecchio capannone abbandonato nella zona periferica di Corduff.
«Verrà un uomo vestito di scuro che dirà “Ho fame”. Tu risponderai “Il cibo è in tavola”. Poi scambio di valigie, venti chili di “bianca” a lui e seicentomila euro a te. Io ti aspetto qui in macchina. Tutto chiaro?» proseguì.
«Sì».
Parcheggiato a circa trenta metri dal luogo di scambio, Ken osservò l’amico dirigersi verso il capannone e sparire oltre la porta. Poi, pochi minuti dopo, udì il rumore di un’auto alle spalle. Era l’acquirente. L’uomo scese dal veicolo ma, diversamente dai patti, non era solo. Altre tre persone erano con lui. Armate. Ken sbiancò.
«Oh, merda! Merda!» e, messa in moto l’auto, sgommò via lasciando solo l’amico.

«Sono tre giorni che Mirco non risponde. Ho paura sia successo qualcosa» disse senza cercare di trattenere le lacrime la donna.
«Ma non doveva partire per il viaggio aziendale?» chiese il marito.
«Sì, per quattro giorni. Ma almeno un messaggio poteva mandarlo».
«Sarà stato molto impegnato o, forse, ha problemi con il cellulare laggiù in Russia. Attendiamo sino a domani» rispose lui rassicurante.

«Ci sono novità su mio figlio?».
Dopo aver atteso il giorno seguente invano, i genitori di Mirco avevano deciso di contattare l’Ambasciata Italiana a Dublino. Ed ora era la quarta telefonata in due giorni che effettuavano, appesi al filo della speranza di ritrovarlo.
«La Polizia ha rintracciato la sua abitazione. I coinquilini affermano di non vederlo da circa una settimana» rispose con tono neutro il funzionario.
«Avete provato con la sua azienda? La Software Communications? Sono quasi otto mesi che lavora lì e nei giorni scorsi, come vi ho già detto, erano in viaggio aziendale a San Pietroburgo» riprese il padre.
«Sì, abbiamo provato ma suo figlio non risulta abbia mai lavorato per loro».
«Impossibile!» urlò la madre che aveva un orecchio attaccato alla cornetta.
«La Polizia ha scoperto che, fino a circa un mese fa, suo figlio ha prestato servizio come cameriere, in nero, in un pub chiamato “Green Clover”. Il proprietario afferma di averlo avuto in prova un solo giorno ma i coinquilini e i colleghi hanno confermato la sua presenza stabile presso il locale per almeno sei mesi».
La donna sprofondò sulla sedia trascinando con sé l’apparecchio telefonico, troncandone la comunicazione.

«L-la Polizia? P-perché sta venendo la Polizia a casa nostra?».
Mara, al momento sola in casa, era seduta nei pressi della finestra del salotto, osservando un punto indefinito del paesaggio montuoso che si apriva di fronte alla propria abitazione. In mano un fazzoletto intriso delle lacrime dell’angoscia che cadevano senza soluzione di continuità. Notò quell’auto solo quando il rumore sordo degli sportelli che, chiudendosi, impattarono contro la carrozzeria entrò inaspettato nei suoi pensieri.
Attese, nella speranza che la loro presenza fosse solo un caso. Poi udì il campanello e la speranza venne meno.
«Buongiorno signora. Possiamo entrare?» chiese gentilmente uno dei due uomini in divisa.
«S-sì, sì».
«Mi spiace comunicarle che è stato rinvenuto il cadavere di vostro figlio. Vi attendono a Dublino per il riconoscimento» disse cercando di mantenere un tono professionale e privo di emozioni l’agente, una volta entrato.
La donna crollò al suolo.

(pubblicato nell’antologia “Un film di Eisenstein sulla rivoluzione” – SensoInverso Edizioni, 2020) 

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