CHROMB! – Le livre des merveilles

CHROMB!

Le livre des merveilles (2020)

Dur et Doux

 

Quando si ha tra le mani una produzione della Dur et Doux non si sa mai quale “salto nel vuoto” si andrà a compiere, ma lo si può solo leggermente immaginare basandosi sul loro coraggio e sulle loro uscite fuori dagli schemi.

Se poi aggiungi che il lavoro in questione è dei CHROMB!, il quarto ”tuffo” nell’avanguardia della band francese, e il tema del concept è tratto dal “Le Livre des merveilles”, terzo libro degli “Otia imperialia”, scritto da Gervasio di Tilbury, giurista, politico, scrittore e chierico inglese vissuto tra XII e XIII, allora il piatto non può che essere sfizioso.

Diversamente dai precedenti lavori, Léo Dumont (batter, percussioni), Camille Durieux (tastiere, synth, voce), Lucas Hercberg (basso, synth, voce) e Antoine Mermet (sax alto, delay, synth, voce) realizzano un’opera più “introspettiva” e, in un certo verso, meno articolata, ma ad alto tasso ipnotico. L’essenza R.I.O./zeuhl viene mostrata da diversa angolazione, più “attenuata” ma non per questo assente, quasi posta “in agguato” tra la fitta vegetazione che compare in copertina, pronta a colpire (e colpisce).

Sono le percussioni di Dumont ad accoglierci in Le livre des merveilles, prima che il canto pacato, e un po’ stralunato, si prenda la scena. Poi tutto si fa più oscuro, opprimente, e le ritmiche iniziano a correre fino all’alienazione di metà percorso. Ciò che segue è un nuovo crescendo che sfocia nel visionario finale. […] Car si nous avons réuni ces faits, ce n’est pas pour encombrer vos oreilles sacrées de vaines paroles (Perché se abbiamo raccolto questi fatti, non è per ingombrare le vostre sacre orecchie con parole vane).

Ipnotica avanza Le fleuve Brison, con i colpi pachidermici di Dumont nelle retrovie e l’elettronica posta lì a disorientare. Anche le stratificazioni vocali di Durieux, Hercberg e Mermet, che ci narrano di animali veloci come cavalli dalle zampe di leone lunghe trenta metri e larghe dodici, chiamati ippofagi, e di uomini senza testa con occhi e bocca sul petto, non aiutano ad uscire dal “pantano”. Col trascorrere dei minuti, però, qualcosa cambia e tutto si fa più rapido e denso. E dopo una deflagrazione rabbiosa, si avanza “militarescamente”, sino a muoversi “vaneggiando”, tra The Residents e Univers Zero, calando i giri nel finale.

L’estenuante e penetrante segmento iniziale di Les chevaliers qui apparaissent, nella sua essenza cosmica, frastorna. E anche quando, in sottofondo, sembrano apparire delle percussioni, la sensazione di stordimento non viene meno. E si va avanti ancora, sempre più a fondo. Ma qualcosa, poi, muta, si fa più inquietante, l’elettronica s’aggroviglia su se stessa, graffia, e appaiono vocalizzi tormentati. L’atmosfera ormai è un macigno, soffocante, e non s’intravede un mimino “spiraglio di luce”. E in coda il delirio è totale.

Con passo solenne avanza La souvenance d’Achille, con il breve segmento cantato dalla forma ecclesiale. Poi i sintetizzatori avviano i loro giochi atmosferici con tonalità leggermente più calde, un po’ Battiato sperimentale, prima di tornare al canto “aulico”. Quanto segue è una miscela che unisce una sostanza mistica ad un insieme di ingredienti irrequieti.

Album da ascoltare più e più volte per coglierne al meglio la natura.

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