Avalon Legend – Solo Sabbia

AVALON LEGEND

Solo sabbia (2020)

Autoproduzione

 

A sei anni di distanza da “Avalon Legend II. Un sogno per cambiare”, ecco tornare gli Avalon Legend con un nuovo album, Solo Sabbia, e una nuova formazione che vede, accanto ai membri storici Fiorello Salvatore (voce), Mario Tornambè (tastiere, sintetizzatori, voce) e Lucio D’Alonzo (batteria), i nuovi acquisti Claudio Perotto (basso, cori) e Giuseppe Zappulla (chitarre, cori).

Abbandonate le tematiche fantastiche (e quelle reali) dell’album precedente, il nuovo lavoro della band si presenta come un concept album incentrato sull’eventualità che la presenza dell’uomo sulla terra sia comparsa molto prima di quanto insegnato, basandosi su teorie che vedono in ritrovamenti di reperti “fuori tempo” la prova che la razza umana si sia evoluta (300 milioni di anni fa) ed autodistrutta per poi ricominciare daccapo. Da questa ipotesi nasce la storia dell’opera il cui tema conduttore è la condanna dell’abuso delle risorse naturali da parte degli uomini, con il rischio di arrivare nuovamente all’autodistruzione. Ma c’è anche un messaggio di speranza nelle intenzioni della band.

E il tema dell’album rivive anche nell’artwork creato da Alessandra e Miriam Tornambè, in quell’immagine di copertina in cui la natura diventa sabbia, la vita diventa morte, e nei disegni del libretto che accompagnano i singoli brani.

Fermo restando le “caratteristiche di fondo” della band, quella naturalezza e quella melodiosità cui facevo riferimento nella recensione di “Avalon Legend II. Un sogno per cambiare”, con Solo Sabbia gli Avalon Legend aggiungono nuovi tasselli sonori alla propria proposta spingendosi ancor più verso strutture articolate, arricchendole di momenti descrittivi ed emozionali grazie alle ottime prove, su tutti, di Tornambè alle tastiere e Zappulla alle chitarre, senza dimenticare il sostanzioso apporto ritmico del duo D’Alonzo/Perotto e il canto passionale di Salvatore.

Tutto ha inizio con un Principio ed è Tornambè, con le sue tastiere, a creare quella giusta miscela tesa e drammatica che ci apre le porte del brano. L’essenza “dolorosa” prende ancor più corpo con l’ingresso del canto emotivo di Salvatore (Conoscenza antica e lontana arrivò / Angeli di ferro e distruzione […]). Ciò che segue è la “distruzione” cantata, con l’imponente batteria di D’Alonzo a trascinare i tasti seventies di Tornambè e gli altri compagni. E poi prende il via un saliscendi emotivo ben avviluppato alla voce e guidato dalle ritmiche sempre pronte allo “scatto”. Nella lunga coda gran “prova di forza” di Perotto e Zappulla. Il testo del brano descrive una popolazione terrestre primitiva che viene visitata da colonizzatori tecnologicamente avanzati che combattevano fra loro portando distruzione e morte e tocca anche un tema quale la “presunta” manipolazione genetica fatta da questi “padroni” evoluti sulla popolazione primitiva trasformandoli da uomini semplici, poco più che animali, in uomini dotati di un’intelligenza superiore (sapiens?) – […] Il seme dell’odio e dell’obbedienza servì a trasformare gli animali in uomini / e poi gli uomini in animali, in animali, in animali).

Fisionomia cosmica per l’avvio etereo di Atlantis, poi l’organo di Tornambè porta tutti sulla Terra e la chitarra guizzante di Zappulla, ben coadiuvata dalle ritmiche, infine, fa il resto. Con passo deciso il brano avanza raccontandoci della mitica Atlantide. E dopo una “caduta” sognante a metà percorso, tutto riprende compattezza e teatralità, con un gran gioco di stratificazioni vocali e un pizzico di essenza Eloy. Malinconico l’assolo di Zappulla, così come quello seguente di Tornambè, prima del finale dal sapore dolce.

Diluvio. Dopo una nuova apertura teutonica, l’arpeggio teso di Zappulla introduce il nuovo canto passionale di Salvatore, col suo timbro un po’ alla Livio Macchia dei Camaleonti. All’improvviso tutto cambia grazie alle scattanti tastiere di Tornambè. Ma è ancora la voce a rapire la scena poco oltre mentre, desolatamente, ci narra i momenti del diluvio, lo sgomento dell’abbandono delle proprie case, l’ignoto, il mare infinito ma anche l’arrivo in terre nuove abitate da genti sconosciute. Ed è qui che tutto muta, nuovamente, e l’emozione della salvezza è espressa da un vortice sonoro massiccio e rapido. Ma la tensione è sempre dietro l’angolo ed esplode nella batteria in marcia di D’Alonzo e nel canto successivo, sino alla cavalcata finale da cui erompe tutta la carica progressiva della band.

Briosa prende vita Fuggi, brano che prosegue la storia di Diluvio narrando della fuga precipitosa della gente di Atlantide ([…] Vedo la gente che corre, / pedine di un gioco che non capisce […]). Il primo segmento cantato lascia una sensazione alla Orme mentre, successivamente, l’episodio diventa un caleidoscopio: dai frizzanti interventi di fisarmonica alle “distese” sognanti, dalle riprese galoppanti ai momenti in cui il turbamento è quasi palpabile, passando per un’atmosfera floydiana (con tanto di assolo ad hoc) e un finale imprendibile. Tutto fa di Fuggi uno dei punti più alti dell’album.

E l’accoglienza esotica di Nilo spiazza. Ci pensa, in seguito, il tocco alla Joe Vescovi di Tornambè a riportarci in “casa Avalon Legend”. E mentre Perotto inizia a ricamare intriganti linee di basso, D’Alonzo e Zappulla mettono in piedi la giusta struttura brillante sorreggente il canto, con tanto di tocco melodico e struggente nel racconto dello sbarco di alcuni saggi Atlantidei in Egitto dove fonderanno quella che diventerà la civiltà più sorprendente del tempo. L’anima The Trip si paleserà più volte lungo il percorso, con momenti grandiosi guidati magnificamente dai tasti di Tornambè, prima di una lunga coda luminosa.

Un po’ eighties le prime battute vivaci de Gli Uomini della Luna. Poi tutto s’acquieta sbarcando in lande Malibran. Piuttosto “posato” anche il frammento cantato che segue, prima di riprendere a correre con del buon hard rock. E tra stacchi prog, riprese hard e momenti più delicati, Salvatore ci descrive un virtuale colloquio tra gli antichi Saggi e gli uomini moderni che hanno dimenticato di vivere secondo le leggi della natura. L’esaurimento delle risorse è prossimo, è rimasto poco tempo. Il monito è esplicito…. E prima di chiudere c’è spazio anche per una violenta sferzata condotta dalla batteria prog metal di D’Alonzo. […] Soffoca il vostro mondo / Cosa non basta mai? / Cosa volete ancora? / Buio nel vostro cielo / Disse l’uomo della luna / Mangia il frutto della terra / Ed impara a rispettarla / È la vita, non sprecarla […].

Interamente giocata sul filo della tensione la partenza di Solo Sabbia. Tutto si “scioglie” nell’ispirato assolo di Zappulla e nelle dolci note del piano di Tornambè che lo avvolgono. Col ritorno in scena della voce, poi, la struttura sonora torna ad essere aggressiva, con tanto di galoppate ritmiche. E con il nuovo soliloquio della chitarra, l’atmosfera si fa sensibilmente triste, ma gli Avalon Legend hanno l’“abitudine” di “rialzarsi presto” e lo fanno poco dopo, riconsegnando il brano nelle mani di D’Alonzo e Perotto, senza che tastiere e chitarra si tirino indietro. E nelle parole del brano rivive l’autodistruzione della Terra e la fuga di un piccolo gruppo di uomini nel cosmo. Al loro ritorno, dopo molte generazioni, troveranno solo desolazione e tristezza.

Solenne e malinconico l’avvio dell’unico brano strumentale dell’album: The Sun Can Shine Again – parte 1, guidato dall’organo bartoccettiano di Tornambè. C’è tanta tensione in seguito, nei colpi della batteria e nella chitarra agitata, con un guizzo sinfonico dal sentore “Contaminazione” de Il Rovescio della Medaglia. Poi si avanza rockeggiando, mutando pelle continuamente, senza far venir meno un certo ritmo di fondo. A metà percorso la quiete s’impadronisce della scena, una calma ricamata soprattutto dalle corde di Zappulla. Ma non è tutto, anzi.  La band si “riattiva” di colpo gettando sul piatto una nuova galoppata impetuosa in cui tutti gli effettivi mettono lo zampino. Grande momento che si raddolcisce in chiusura.

La finale The Sun Can Shine Again – parte 2 ci abbraccia completamente con commoventi momenti alla New Trolls, con voci stratificate avviluppate dal velo d’archi tastieristico di Tornambè, con un piano accarezzato, con andature pacate ed emozionanti: un quadro dal sapore dolce che, nel testo, lancia il suo messaggio di speranza: il sole può sorgere ancora nonostante tutto.

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