Twilight furies (2020)
Open Mind Records
A sette anni di distanza da “A Broken Truce”, torna con un nuovo album il progetto Violent Silence, “etichetta” dietro cui si cela il polistrumentista e compositore svedese Johan Hedman (tastiere, batteria, percussioni, effetti, basso, voce). A collaborare con lui, in Twilight Furies, troviamo Erik Forsberg (voce), Simon M. Svensson (basso) e Hannes Ljunghall (tastiere in Tectonic Plates, Scorched Earth Path, Lunar Sunrise e Twilight Furies).
Il primo approccio che si ha con l’album è, ovviamente, con la copertina realizzata da Heval Bozarslan. La furia degli elementi rappresentata ci lascia immaginare il contenuto dell’opera. Esatto, ma non completamente. Sì, c’è la “violenza”, soprattutto nei brani lunghi, vere e proprie cavalcate epiche in cui, su tutti, si “scontrano” una forte componente sinfonica con il prog metal. Ma c’è anche un’altra anima, quella immortalata dalle foto dell’artwork di Jessica Carlberg, più tenue ma decisamente più sperimentale (riscontrabile nei brani di breve durata).
L’assenza di una chitarra (una “mancanza” che non si percepisce affatto) fa sì che le tastiere regnino incontrastate, abili creatrici di mondi oscuri e attraenti, degnamente sorrette da ritmiche camaleontiche (e devastanti all’occorrenza) e arricchiti da una voce che regge la scena ottimamente cantando liriche profonde, corpose e ben strutturate.
L’opener Fair Warning racchiude venti secondi che sembrano tratti da un videogame degli anni ’80. Ora Twilight Furies può iniziare.
Con Tectonic Plates s’inizia a fare sul serio e i Violent Silence si lanciano fin da subito a nervi tesi verso sonorità e atmosfere plumbee, poderose, in cui le ritmiche non danno respiro e le tastiere volano incontrastate. E anche con l’ingresso in scena della voce possente di Forsberg, l’essenza corposa e teatrale, un po’ alla Dream Theater, non cambia. Sempre di alta qualità le soluzioni delle tastiere di Hedman e Ljunghall che s’intrecciano senza sosta alcuna, trascinate dagli indomabili basso e batteria. Un minimo di respiro, effimero, viene concesso solo dopo i cinque minuti ma è, appunto, effimero. Si riprende subito a correre, aumentando anche i giri, verso un prog metal granitico “ripulito” dalle chitarre che diventa ancor più devastante nei minuti finali. E anche se Tectonic Plates è arrivata come un “pugno” in pieno viso, come detto in apertura, non bisogna lasciarsi “sviare” sul prosieguo dell’album.
Più morbida si palesa Scorched Earth Path, con un nuovo intreccio di tasti offerto da Hedman e Ljunghall. Ma ci pensa la batteria a cambiare i piani, con un gran bel lavoro di Svensson sul fondo. E anche se il clima è cupo, non ci troviamo di fronte alle sfuriate del brano precedente. In questo caso i Violent Silence puntano molto sull’espressività del canto di Forsberg e vi tessono addosso un “abito” sgargiante e ben confezionato. Nel prosieguo, la sezione ritmica si fa sentire costantemente ma quasi senza “intromettersi” nei fraseggi descrittivi delle tastiere e nei giochi vocali di Forsberg e Hedman. La seconda parte del brano, invece, sembra più irrequieta, più spigolosa, e gli intrecci tastiere/ritmiche si fanno più inestricabili, sino a stemperarsi, in parte, nelle lunghe battute finali.
Una sorta di nenia, dolce e magnetica allo stesso tempo, Dance of the Shuriken, giocata tutta sulle tastiere di Hedman, una dolciastra, “cantilenante”, e l’altra sintetica, avviluppante, tutto un po’ kosmiche musik e lievemente Jean-Michel Jarre.
Avvolgenti e sognanti le tastiere che ci accolgono in Lunar Sunrise, degne accompagnatrici della voce di Forsberg. E, anche se inframmezzate da un momento a là Goblin, e qualche scatto ritmico, il brano scorre per qualche minuto sulla stessa traiettoria. Ai tre minuti la svolta, con un’impennata che, nell’idea, ricorda vagamente quella de “Il giardino del Mago” del Banco Del Mutuo Soccorso. E i Violent Silence si lasciano andare, guidati dagli indomiti Svensson e Hedman, con lo stesso “padrone di casa” e Ljunghall a dipingere scenari mutevoli da offrire al canto. E sempre a testa alta i quattro avanzano senza sosta, “abbassando i toni” solo nel finale.
Beyond the Pass è un brevissimo episodio affidato al solo botta e risposta vocale tra Hedman e Forsberg.
L’utilizzo delle tastiere dei primi momenti di Twilight Furies sembra diverso dal solito, un misto tra Arturo Stalteri e Franco Battiato “pop”. Poi tutto sbatte contro la sezione ritmica e l’atmosfera si fa agitata e corvina. Un gran momento vivace, col il solito gran lavoro dei quattro “tessitori”, che si fa sempre più violento col trascorrere dei secondi. Un fiume in piena, impetuoso, arduo da arginare ma che trova nel soliloquio classico di Hedman un’“ancora di salvezza” momentanea. Le “furie del crepuscolo”, poi, avanzeranno sino alla fine a testa bassa, senza paura alcuna.
Alienante giunge, infine, con i suoi “suoni rovesciati” Perilous Borders. I Violent Silence decidono di chiudere così come avevano aperto, senza apparentemente dare appiglio alcuno sulla propria indole. In realtà, invece, mostrando l’altra “faccia della medaglia” del progetto, quella più sperimentale e imprevedibile.
Lascia un commento