Intervista ai Fufluns

Un caro benvenuto a Simone Cecchini (S.Ce.), Alfio Costa (A.C.), Guglielmo Mariotti (G.M.), Marco Freddi (M.F.) e Simone Coloretti (S.Co.): Fufluns.

S.Ce.: Ciao Donato… oramai c’ho preso gusto!!!

A.C.: Ciao Donato e un saluto ai lettori di OrizzontiProg.

G.M.: Grazie, è un piacere.

M.F.: Grazie a te per l’attenzione e per l’accoglienza.

S.Co.: Ciao.

Partiamo subito con una domanda “scontata”: come nasce il progetto, che definirei “supergruppo” (visti i membri che vi fanno parte), Fufluns? E quando Simone, Alfio e Guglielmo decidono che c’è “qualcosa da dire” che esula dalle rispettive band?

G.M.: Tutto è nato principalmente dall’amicizia che lega me e Simone ad Alfio, è stato lui il tramite, ed è stato abbastanza naturale dirsi: “Perché non facciamo qualcosa di musicale assieme?”. Era il 2009…

A.C.: Il progetto Fufluns nasce ormai più di dieci anni fa, grazie all’intervento di una fan di Simone, che lo ha convinto a contattarmi. Conoscevo solo di nome Simone e non sapevo esattamente cosa sarebbe potuto nascere dal nostro incontro. Sapevo che è umbro ed io sono legato all’Umbria in modo particolare perché, pur essendo bergamasco, mi sono sposato in quella meravigliosa terra, proprio a pochi km da casa sua.

Personalmente mi ero preso una pausa dai Prowlers, la mia vera band originale formata nel 1985 con all’attivo 3 album e con mio fratello avevo formato i Tilion, fondamentalmente una band di hard rock progressivo con massicce dosi di chitarra elettrica.

Era un periodo molto particolare per me. Iniziai a collaborare con molti musicisti e non solo dell’ambiente progressivo. Avevo da poco “creato” i Daal con il batterista romano Davide Guidoni, un progetto libero da schemi e privo di riferimenti precisi. Ma ero pronto a condividere altre esperienze e ad imparare. Mi ha sempre affascinato la possibilità di contaminare le mie conoscenze con quelle di altri artisti. Con Simone ci fu subito feeling, sia dal punto di vista artistico che umano. È un pazzo scatenato, un vero menestrello, un cantastorie innamorato perdutamente della sua terra e del suo lago, il Trasimeno. Di lui mi colpì subito la maestria nella scrittura dei testi e decidemmo insieme di dare vita a questo progetto. Per me fu un’ulteriore possibilità di espressione, cimentarmi con un musicista diversissimo da me per estrazione musicale, ma anche per questioni anagrafiche (ho quattordici anni più di lui). Certo ci volevano le pedine giuste per accompagnarci in questo sogno e io pensai subito a Guglielmo Mariotti, un musicista che ho sempre stimato e del quale adoro anche la voce. Insieme poi contattammo Mau Di Tollo nel ruolo di batterista, escludendo per il momento il ruolo di un chitarrista elettrico.

S.Ce.: In effetti sono stati Jessica Attene ed Alberto Nucci di Arlequins che, nel corso di un’intervista in un Bar a Passignano sul Trasimeno, avendo ascoltato alcuni miei brani da solista, mi consigliarono di contattare Alfio. Avevo appena pubblicato “Discesa Agli Inferi d’un Giovane Amante” con il Bacio. Premetto che non amo molto rompere le scatole ai miei colleghi musicisti, soprattutto se non li conosco. Scrissi una mail qualche giorno dopo ed Alfio mi rispose subito con molto entusiasmo. Pensa… il nostro primo incontro è avvenuto in una pizzeria a meno di cento metri dal bar dell’intervista. Si vede che era destino. Io e Alfio siamo subito entrati in sintonia. Nel corso degli anni i nostri incontri tra Lombardia e Trasimeno si sono infittiti e la nostra amicizia si è consolidata. Certo… qualche volta ci siamo anche mandati a quel paese… ma quando si crea un qualcosa di speciale con qualcun altro credo che sia normale. I rapporti veri si edificano anche sopra qualche buon “Vaffanculo”! L’incontro con Alfio mi ha permesso sicuramente di crescere, sia come musicista che come persona, scrollandomi di dosso un po’ di immaturità dei miei vent’anni di cui non mi riuscivo ancora a liberare. Successivamente ho conosciuto Guglielmo, con il quale sono quasi coetaneo. Gugli era una “testa calda” come me ed è stato necessario annusarsi reciprocamente per qualche tempo in più. Tuttavia nel corso del nostro primo incontro mi sono bastati pochi minuti per mettere un testo su un brano che lui aveva composto, peccato che poi non so più che fine abbia fatto… forse Alfio ce l’ha da qualche parte nel suo “Archivione Segreto”. Ora io e Gugli siamo grandi amici e, a volte, scherzando sulla nostra passione per i Beatles, ci piace immaginare che lui sia Paul ed io John. Ovviamente il nostro è solo un gioco.

Fufluns: come nasce il nome?

A.C.: Non ricordo esattamente il momento, ma ricordo che eravamo ubriachi… e chi meglio di Bacco, che per gli etruschi era Fufluns, poteva rappresentare il nostro incontro?

S.Ce.: Malgrado l’offuscamento dai fumi del vino, Alfio ricorda molto bene. Fufluns è stato il nome perfetto perché, in fondo, l’Etruria ed il Vino sono stati il nostro punto di partenza.

La prima idea da concretizzare è un concept album Progressivo Cantautoriale prettamente “Italian Style” dal titolo “Ascesa e Declino d’uno Spaventapasseri”, il quale ha una vita piuttosto “turbolenta”: tra impegni con i vostri altri progetti e assestamenti interni, toccherà attendere il 2016 per la sua pubblicazione ufficiale. Ideatore del tema principale è Simone: mi racconti chi è lo Spaventapasseri protagonista dell’album e come si sviluppano “ascesa e declino” nella sua vita?

S.Ce: Dopo il mio primo incontro con Alfio ritrovai alcuni nastri dove avevo registrato delle “canzonette”. Tra queste mi colpì “Lo Spaventapasseri”, una filastrocca un po’ infantile, in cui, per l’appunto, uno spaventapasseri inveisce e si lamenta minaccioso con i corvi che gli svolazzano intorno. Stranamente quel mio “Travestimento Sonoro” mi calzava ancora a pennello e non so perché e per come ma iniziai a scrivere di getto testi e musica. Un brano dopo l’altro composi un concept intorno a quella canzone. Ovviamente su quel canovaccio il racconto si è evoluto anche grazie alla stesura dei nuovi brani che vennero per mano di Alfio e sui quali poi misi i miei testi. Mia madre nel leggere i versi che avevo lasciato sulla scrivania si commosse e piangendo mi disse: “Simo… ma lo spaventapasseri sei tu!“. In effetti sono io, anzi, forse ero io. Ribelle e incazzato e con la voglia di scappare dai miei recinti oltre e fuori dai paraggi, al di sopra di qualsiasi retaggio. Ora non sono più uno Spaventapasseri. Mi sono liberato da questo “fantoccio”, un po’ come ha fatto Pinocchio con il burattino. Per restare in ambito bucolico mi vedrei meglio a fare il Pastore.

Intanto, nel dicembre del 2011, partecipate al progetto “Decameron – Ten Days in 100 Novellas (Pt. 1)” della Colossus Project con il brano “Andreuccio da Perugia”. Secondo quale processo la quinta novella della seconda giornata del “Decameron” di Boccaccio è divenuta un brano dei Fufluns?

A.C.: Come dicevo, all’epoca collaboravo con molti musicisti. Conobbi anni prima Marco Bernard dell’associazione culturale finlandese Colossus. Marco all’epoca adorava i Tilion e grazie a lui partecipai a numerosi progetti-tributo ad opere cinematografiche e letterarie pubblicati da Musea Records, fino a scrivere e realizzare un album tributo a Star Wars col nome Colossus Project.

Uno degli ultimi progetti-tributo ideati da Marco con Musea, fu questo concept ispirato alle novelle del Decamerone. Era un progetto che non poteva essere adatto alle sonorità di Tilion e Daal, così oscuri e sperimentali, quindi proposi i Fufluns che all’epoca avevano da poco preso forma e nemmeno lui conosceva. Con Simone, Gugli e Mau lavorammo a questa novella, io occupandomi per lo più della parte musicale, Simone del testo e della melodia e Gugli e Mau delle ritmiche. Grazie ad internet, lavorammo anche a distanza con Mau che registrò le parti di batteria a Genova e, in seguito, mi occupai (come già facevo per gli altri miei progetti) delle registrazioni e del mixaggio. Personalmente fui molto contento del brano, utilizzai Hammond, Piano, Minimoog e Mellotron in piena libertà, ricalcando un po’ le influenze dei tastieristi italiani del Prog anni Settanta.

S.Ce.: In verità, quando Alfio ci propose di partecipare a questo progetto, avevo già in mano quel giro di accordi. Qualche sera prima ero stato invitato ad una cena in un casolare in Val di Pierle. Mi sentivo un po’ fuori luogo e sinceramente la compagnia non mi entusiasmava. Così mi sono ubriacato e mi sono messo in disparte su in divanetto. Mentre gli altri continuavano a parlare di un evento olistico e di chissà quale altro argomento, io sono entrato in modalità creativa ed ho scritto quel “giretto” di chitarra attorno al quale si sono sviluppate poi le composizioni di Alfio. Credo che da “Perugino di Provincia” quale sono, non avrei potuto scegliere una novella più adatta di “Andreuccio”. Penso che l’esperimento sia perfettamente riuscito anche perché non è stato semplice sintetizzare in pochi versi la narrazione degli eventi della novella Boccaccesca.

È nel 2015 che si torna a “ragionare” sul concept. C’è una novità, però, che riguarda la formazione: Mau Di Tollo, che era entrato in squadra nei primissimi momenti, lascia il posto a Marco Freddi. Come mai finisce l’avventura con Di Tollo e come entra in “orbita Fufluns” Marco (insieme a Stefano Piazzi)?

G.M.: Quando abbiamo contattato Mau, lui viveva a Genova ed era abbastanza attivo nella scena Prog dell’epoca, poi però il progetto ha subito degli stop e, nel frattempo, Mau si è trasferito in Abruzzo. All’inizio viveva un po’ isolato e avrebbe avuto difficoltà a registrare le sue parti di batteria, inoltre era molto impegnato col suo album solista “L’uomo trasparente”. Così Alfio ha chiesto a Marco e Stefano di aiutarci a finire l’album che era ormai tutto scritto e praticamente arrangiato.

È stato una sorta di “colpo di mano” che ci ha permesso di finire un album che altrimenti rischiava di rimanere in stallo per sempre. Non ringrazieremo mai abbastanza Marco e Stefano per questo.

A.C.: Mau, come ha già detto Gugli, all’epoca era molto occupato con altri progetti e, in tutta onestà, penso che non avrebbe potuto dare quello che avrebbe voluto alla band. Fu evidente che non sarebbe durata molto con lui… Mi dispiace perché lo stimo molto come musicista. Dopo mesi a pensare a possibili sostituti non ne potevo più. Non potevo pensare che questo progetto non avrebbe mai preso vita, così presi la decisione drastica di invitare nei Fufluns Stefano Piazzi e Marco Freddi, rispettivamente chitarrista e batterista dei Prowlers (che nel frattempo erano tornati insieme) e comunicai la mia decisione a Simone e Gugli. Il pretesto fu un concerto dei Prowlers per il ventennale dell’album “Morgana”, durante il quale Simone partecipò come ospite con un suo set acustico e Guglielmo era presente con uno stand delle sue meravigliose chitarre e bassi. Eravamo tutti e cinque lì… ho semplicemente colto l’attimo.

M.F.: La partecipazione al progetto Fufluns è stata favorita, appunto, dalla mia appartenenza ai Prowlers, condivisa con Alfio (Costa) e Stefano Piazzi. Come ricordato da Alfio, il sodalizio si consacrò durante un concerto commemorativo dei Prowlers all’Amigdala Theatre di Trezzo d’Adda. In quell’occasione fu facile, con la nostra “energia”, conquistare la fiducia dei restanti Fufluns ospiti dell’evento.

E nel 2016, appunto, esce finalmente “Spaventapasseri”. Come mai decidete per un titolo più “snello”? E, secondo il vostro punto di vista, siete riusciti nell’intento di realizzare un album Progressivo Cantautoriale prettamente “Italian Style”?

A.C.: Inizialmente credo che il titolo fosse troppo simile ad alcuni lavori del Bacio della Medusa e credo che anche Simone volesse qualcosa di diverso. In fondo lo volevamo tutti.

“Spaventapasseri” funzionava benissimo e alla fine fu comunque lui a decidere di tagliare il titolo. Lo Spaventapasseri era un suo lavoro chiuso nel cassetto da tempo e lui, solo lui, poteva dare un senso letterario a questa opera, partendo dal titolo. Per la parte musicale cercai di rimanere in un contesto prettamente melodico, anche se la mia anima rock alla fine credo abbia prevalso in alcuni momenti.

Oggi mi emoziona ancora ascoltare questo album, così diverso, almeno per me, da tutto quello che ho scritto finora. Ci sono molte chitarre acustiche, molte melodie. Simone si è superato nell’interpretazione della sua storia… Sì credo che la parte letteraria sia fondamentale in questa opera e lo sia nei Fufluns. Certo non riesco a definirlo prettamente cantautoriale, credo che sia un buon sodalizio tra musica e testi.

S.Ce.: In tutta onestà credo che “Spaventapasseri” sia un album a suo modo unico, se si va ad esaminare un po’ tutto il vasto panorama della musica Prog Italiana dagli anni ‘70 ad oggi. Credo che questa novella, anche se con qualche peccatuccio e qualche ingenuità dovuta anche alla difficoltà di dover lavorare sempre a distanza, sia riuscita nel suo intento di essere cantautoriale. In alcuni passi ci sono molti richiami alla musica popolare, anche se in altri emerge la nostra anima Rock. L’ho riascoltato recentemente ed era tanto tempo che non lo facevo. Devo dire che mi sono commosso. Un po’ di folklore italiano c’è.

M.F.: Il titolo semplice funziona meglio perché è simbolicamente più rappresentativo e accattivante. Per l’esito di questo lavoro non mi aspettavo di ripercorrere uno stile consolidato, ma di originare una linea che fosse rappresentativa del nostro modo originale di concepire la musica.

In due tracce dell’album compare anche Vincenzo Zitello. Come nasce la collaborazione con l’arpista di fama mondiale?

A.C.: Ho la fortuna di conoscere e di collaborare con Vincenzo ormai da molti anni. Per me è stato un vero “fratello musicale”. Mi ha spronato ed incoraggiato molte volte e con lui sono cresciuto molto, artisticamente ed umanamente. Lui è l’artefice delle mie scellerate scelte di utilizzare strumenti vintage quali Hammond, Minimoog e Mellotron… Oggi siamo diventati grandi amici, o forse lo siamo sempre stati…

In molti album che ho scritto, Vince è presente. Ha valorizzato la mia musica con la sua Arte e con i suoi strumenti: arpa, archi e flauti. Ai tempi gli parlai del nuovo progetto Fufluns e del nuovo disco in lavorazione e, anche in quell’occasione, ci regalò autentici gioielli musicali. Vince è un musicista fantastico!

S.Ce.: Vincenzo è una persona eccezionale. Un artista che sa intrattenere anche una volta sceso dal palco. Passare del tempo con lui è stata un’esperienza bellissima anche perché Vince ha vissuto a stretto contatto con i migliori: Battiato, De André, Branduardi, Fossati e tanti altri. Per me è un onore aver collaborato con lui e non smetterò mai di ringraziare Alfio per avermelo fatto conoscere. Adoro un suo brano in particolare: “Anima Animale”.

E nel 2017 arriva anche Simone Coloretti al posto di Piazzi. Simone, anche per te la stessa domanda posta a Marco: come entri nella famiglia Fufluns?

S.Co.: Nel 2017 con Egoband eravamo intenti a promuovere l’album da poco pubblicato per Ma.Ra.Cash “Tales from the time” e, insieme ad un’associazione, riuscimmo ad organizzare un piccolo festival di un giorno a poche centinaia di metri di distanza dalla nostra sala prove, a Coltano (frazione di Pisa), un luogo stupendo all’interno di un parco naturale molto esteso. In quel contesto abbiamo condiviso il palco con altre band, erano presenti anche i Fufluns e quella è stata l’occasione per conoscersi.

Dopo qualche mese, ricevetti la telefonata di Alfio, era in cerca di un chitarrista per i Fufluns ed aveva pensato a me. Dopo aver riflettuto un po’ su quello che avrebbe potuto essere il mio apporto alla band e scambiate due idee con Alfio sulle possibili direzioni musicali da intraprendere, ho accettato con entusiasmo la proposta.

So che è in arrivo il nuovo album. Vi è possibile anticipare qualcosa? C’è qualche legame, una sorta di continuità nei suoni o nella tematica, con il lavoro precedente? O è un lavoro, in qualche modo, “nuovo”?

A.C.: “Refusés” è un album totalmente diverso da “Spaventapasseri”.  Abbiamo inizialmente lavorato tutti e cinque alle musiche dei brani in modo massiccio, isolandoci in una chiesetta immersa in una pineta nelle colline lombarde, poco distanti dalla casa di Guglielmo. Lì abbiamo gettato le basi per il nuovo disco, ormai tre anni fa. Non si trattava più di lavorare attorno ad una storia scritta da Simone, ma piuttosto di creare dal nulla un album. La musica è molto più “cattiva”, “sporca” a tratti quasi “istintiva”. I testi sono arrivati di conseguenza, nati dalla geniale padronanza linguistica di Simone.

Simone Coloretti è un chitarrista molto più rock di Stefano, con soluzioni spiccatamente heavy. Ha partecipato fin da subito in modo attivo e determinante alla stesura dei brani e agli arrangiamenti. In studio poi, per me, è stato anche un ottimo supporto in fase di missaggio. Sono molto affezionato a Stefano Piazzi, per me è un fratello. Ma Simone penso lo abbia degnamente sostituito nella band.

Inizialmente doveva essere un altro concept, ma la musica alla fine era così definita, brano per brano, che Simone si buttò a capofitto nella stesura di testi ispirati ad alcuni personaggi realmente vissuti, dimenticati, rifiutati (Refusés) dalla società. Fu una soluzione perfetta. In questo modo l’album “puzza” della stessa atmosfera, ma ogni brano è una storia a sé stante.

È un album sofferto e crudelmente reale…

Ci tengo a dire che il titolo “Refusés” si ispira ad alcune sculture dell’artista bergamasco Beppe Corna, che abbiamo avuto il piacere di conoscere e stimare profondamente. Li vedrete in copertina i suoi Refusés e Beppe ci ha voluto deliziare anche con alcune sorprese che non vogliamo svelarti ora…

Credo che questi tre anni siano stati molto molto importanti per il gruppo. Abbiamo superato molti scogli, anche personali, e alla fine credo ne siamo usciti più uniti e siamo davvero soddisfatti di quello che abbiamo realizzato.

S.Ce.: Alfio è già stato esaustivo. Per quanto mi riguarda “Refusés” è un ulteriore passo in avanti nel mio modo di scrivere testi che già aveva avuto un’importante svolta stilistica in “Seme*”. Già dall’ultimo album in studio de Il Bacio della Medusa avevo percepito questa necessità di abbandonare atmosfere oniriche e concetti astratti per dedicarmi al realismo. In “Refusés” si respira la stessa aria dei personaggi narrati, se ne percepisce il dolore… si sente il tanfo della verità… c’è sangue… carne… vita e morte. Questa mia nuova linea credo che stia diventando il solco sul quale sto tracciando l’evoluzione del mio modo di scrivere.

G.M.: Direi che è un lavoro “nuovo”, abbiamo da subito deciso che saremmo stati più rock, più elettrici, più scuri, ed abbiamo tenuto fede alle premesse.

M.F.: Il progetto è senza dubbio nuovo, poiché rappresenta il frutto dell’integrazione di nuove idee, alla luce dei tempi attuali, che ci portano a maturare consapevolezze differenti rispetto al passato. Allo stesso tempo è un lavoro che definirei continuativo-integrativo, non ripetitivo, che si struttura sulla base di un’esperienza collaborativa ormai solida e che ci permette di integrare le idee musicali che con il tempo vengono maturate. Personalmente, ci vedo una grande continuità rispetto al modo di concepire e condividere la nostra musica, la passione e i valori che guidano la nostra vita. Più tecnicamente, siamo d’altro canto innovativi, sempre alla ricerca di set-up e di suoni originali garantiti da nuove soluzioni tecnologiche e strumentali, ma sempre nel rispetto dell’autenticità di un suono fondamentalmente acustico.

S.Co.: Credo che l’approccio compositivo, le tematiche trattate e le sonorità si distacchino nettamente dal lavoro precedente, tuttavia in alcune “song” sono presenti elementi che riconducono al sound del primo lavoro.

Mi parlate un po’ del vostro aspetto live e del “Teatrino Rock”?

S.Ce.: Ammetto che in questo sono stato io a traviare gli altri. Nel Bacio siamo avvezzi a questa sorta di “teatro” sul palco. Inoltre, lo Spaventapasseri si prestava molto a questo genere di travestimenti. Peccato che la nostra attività live sia stata limitata a qualche sporadica apparizione.

A.C.: Purtroppo non abbiamo avuto molte occasioni per poterci esibire dal vivo. Certo, in quelle poche non siamo passati inosservati.

L’aspetto live dei Fufluns è basato anche sulla cura dell’immagine. Ancora una volta è Simone la mente del “teatrino rock”.

Per “Spaventapasseri” ci siamo truccati e vestiti come i personaggi della storia dell’album. Così Simone è diventato lo Spaventapasseri, Gugli il Gendarme, Marco il Vento, Stefano l’Aguzzino ed io il Corvo. È stato bellissimo per me immergermi in questa sorta di teatro rock dove, oltre a suonare, diventi in qualche modo anche fisicamente un “pezzo” del racconto musicale che stai interpretando. Credo che lo faremo anche per il nuovo album, seppur in maniera totalmente diversa… vedremo… La speranza è quella di poter portare sul palco la nostra musica più di prima e appena questo brutto periodo sarà finito.

M.F.: Pur essendo io un razionale, nella musica e sui tamburi esprimo un’indole istintiva, condivido quest’esperienza con un gruppo di musicisti che dal vivo si esprime anch’esso in maniera profondamente viva e viscerale. Credo che questa sia una caratteristica importante che contribuisca a rendere autentica e coinvolgente la nostra musica, senza sovrastrutture sceniche.

Il Bacio della Medusa, Prowlers, Tilion, Daal, Taproban, The Watch, Mr Punch, La Bocca della Verità, Egoband: “nomi caldi” del Prog Italiano cui le vostre vite sono “annodate inestricabilmente”. Vi va di parlarmene brevemente in questa occasione, con la promessa di approfondirne le singole conoscenze (con le varie formazioni in cui ancora oggi militate) nel prossimo futuro (Simone Cecchini ha già “pagato pegno”!)?

A.C.: Che dire? I Prowlers sono la mia famiglia dal 1985. Con loro ho ormai pubblicato sette album e fatto centinaia di concerti, soprattutto nei primi anni di vita della band. La musica è secondo me molto personale e vive di luce propria. Non la definirei Progressive Rock, anche se ne è contaminata. La voce particolare di Laura Mombrini è sempre stata il marchio di fabbrica dei Prowlers. Facciamo parte dell’ondata del Neoprog italiano nato all’inizio degli anni Novanta, anche se siamo tra i meno conosciuti e legati a questo genere. La musica spazia dalla psichedelia al folk, dal rock classico al blues. È incredibile che siamo ancora insieme dopo tutti questi anni, ma è così e stiamo scrivendo un nuovo album perché abbiamo ancora voglia di stare insieme.

I Daal sono l’espressione artistica più libera ed anarchica di me. Ho trovato in Davide Guidoni un partner meraviglioso ed un artista unico, che ha saputo appoggiarmi nelle scelte musicali più ardite. Il nostro manifesto sonoro credo sia stato “Disorganicorigami”, il primo album dedicato a Richard Wright dei Pink Floyd. Da lì siamo partiti senza un confine e senza una meta da raggiungere, spogliandoci di tutti i modelli o schemi che inevitabilmente ti portano in molti casi a fare musica “già sentita” o influenzata da altri artisti. Con questo non voglio dire che non abbiamo le nostre preferenze in campo musicale, ma le lasciamo fuori dalla porta.

I Tilion ormai fanno parte del mio passato. Sono stati una bellissima parentesi, nata dalle ceneri dei Prowlers, quando il gruppo si sciolse momentaneamente. Mio fratello Flavio è un compositore geniale. Molta musica dei Tilion è farina del suo sacco ed ha giovato fin da subito della sua capacità di intrecciare trame sonore uniche con quel suo modo personale di suonare la chitarra elettrica. Abbiamo collaborato con molti artisti, da Lino Vairetti degli Osanna al compianto Clive Jones dei Black Widow, e abbiamo realizzato tre album ufficiali più due “unofficial” divenuti merce rara per i collezionisti, uno dei quali è il documento del concerto come support act dei Deep Purple nel 1999. Purtroppo Flavio ha smesso di suonare ormai molti anni fa e la band si è sciolta.

G.M.: Le band di cui faccio parte attualmente, oltre i Fufluns, sono i Mr Punch, tributo Marillion con cui stiamo scrivendo un album di musica inedita, e La Bocca della verità, con cui stiamo iniziando le registrazioni del secondo album dal titolo “UN-Connected”.

S.Co.: Egoband è concentrata sulla pre-produzione del nuovo album, che vedrà ancora Alessandro Accordino alla voce ed alle tastiere, Adriano Dei alla batteria ed il sottoscritto alle chitarre. Dall’uscita dell’ultimo lavoro, le strade della band e quella di Capasso si sono separate, adesso, dopo qualche cambiamento, stiamo provando con un nuovo bassista e speriamo che sia quello giusto.

Alfio, nel 2020 è uscito il tuo album solista “Frammenti” in cui, tra i tanti ospiti, c’è anche la famiglia Fufluns al completo. Come mai hai deciso di pubblicarlo a nome tuo e non “affidarlo” a una delle tue tante “creature artistiche” già esistenti? Mi parli del suo contenuto e della scelta dei collaboratori?

A.F.: “Frammenti” è nato durante il lockdown dei mesi di marzo e aprile 2020. La situazione venutasi a creare per la pandemia legata al Covid-19 è stata per noi a Bergamo come un treno in corsa deragliato dai binari. Ci ha investito in pieno mettendo la città e tutta la provincia in ginocchio. Se chiudo gli occhi sento ancora quel silenzio assordante interrotto solo dalle sirene delle ambulanze e dall’elicottero che di notte sorvolava le nostre case. Si fermò tutto, musica compresa, ma non la natura…

Così iniziai nel mio studio a scrivere musica e a rispolverare delle idee che avevo lasciate da sole, abbandonate nel mio pc. In quindici giorni scrissi tutti i brani e i testi… restavo in piedi la notte anche fino alle tre del mattino. Ero in preda a questo bisogno di esplodere tutta la mia tristezza e voglia di vivere e l’unica cosa che potevo fare era scrivere musica. Ma non pensavo di pubblicare un album, volevo solo tenere tutto per me. Alla fine i brani, almeno musicalmente, erano completi. Avevo anche i testi, ma non sono un cantante e non pensavo inizialmente di utilizzarli. Poi feci ascoltare qualcosa a Davide Guidoni, mio compagno nei Daal. Fu lui a dirmi che avrei dovuto pubblicare quel materiale, perché era valido secondo lui e andava pubblicato. Non aveva senso tenerlo chiuso in una stanza. Non pensai mai di pubblicarlo con uno dei miei progetti. Era troppo personale e sentito. Ero io, solo io.

Alla fine mi convinsi, feci ascoltare il materiale a Massimo Orlandini di Ma.Ra.Cash Records e anche lui fu dell’avviso che quella musica andava pubblicata. Così pensai a coinvolgere alcuni amici musicisti per aiutarmi a dare una forma alle mie composizioni. Scelsi tra i componenti dei Prowlers (Bobo Aiolfi al basso e Stefano Piazzi alla chitarra), dei Fufluns (Simone Cecchini alla voce in un brano, Guglielmo Mariotti alla voce per un altro brano e Simone Coloretti per alcune parti di chitarra) e, soprattutto, scelsi l’amico Davide Guidoni per tutte la parti di batteria del disco. Pensai anche a Vincenzo Zitello che non poteva mancare in un mio disco solista e a Lino Vairetti col quale, nel frattempo, avevo condiviso anche il palco in alcuni concerti e ne ero diventato amico. Mi mancavano alcuni tasselli per completare l’opera, un altro cantante e un chitarrista che potesse suonare la 12 corde in modo personale. Così chiesi a due cari amici: Alessandro Accordino degli Egoband alla voce e Claudio Bonvecchio dei Phaedra per la 12. Era tutto perfetto… o quasi…

Il disco però mancava, a mio avviso, di una intro sognante, magica. Volevo che l’ascoltatore venisse accolto da una sorta di ninna nanna, avvolto da un dolce invito ad ascoltare. Volevo una voce femminile particolare e mi resi conto che l’avevo proprio lì davanti a me… Così chiesi a mia moglie di provare a cantare una melodia che avevo scritto qualche giorno prima… e il risultato fu davvero strabiliante per me… e anche per lei…

“Frammenti” è il mio disco. Sono io. Ne sono orgoglioso e mi fa sentire in pace con me stesso. Sono felice di averlo pubblicato e confesso che quando ho iniziato a ricevere messaggi privati di persone che con la mia musica stavano rivivendo ed esorcizzando alcuni momenti drammatici legati alla pandemia, mi sono commosso. In particolare, il brano che chiude il disco “Canzone per un respiro” cantata proprio da Simone, è stato per molti un momento di estrema commozione, fonte di forti emozioni, e per me questo vale più di mille recensioni o dischi venduti.

Cambiando discorso, il mondo del web e dei social è ormai parte integrante, forse preponderante, delle nostre vite, in generale, e della musica, in particolare. Quali sono i pro e i contro di questa “civiltà 2.0” secondo il vostro punto di vista per chi fa musica?

A.C.: La tecnologia legata al web e a internet ci ha dato la possibilità di condividere e creare musica con altri artisti, anche dall’altra parte del pianeta. Io stesso ho realizzato progetti discografici a distanza e un esempio ne sono i Daal. È fantastico perché fino a qualche decennio fa questa era pura fantascienza.

Purtroppo, però, ha anche sentenziato la fine dell’ascolto della musica. Ormai la musica non si ascolta più, viene fruita e utilizzata in modo molto veloce e facile, con una scelta impensabile fino a pochi anni fa, tramite le piattaforme digitali e le vie anche illegali presenti sul web. Risultato: In pochi ascoltano, in tanti sentono distrattamente.

Prendi il tuo cellulare ti metti le cuffie e scarichi l’album del tuo artista preferito, stop. Fine delle copertine colorate, del profumo della carta, del rumore della puntina tra i solchi o semplicemente anche del CD che entra nel suo lettore. È finita l’epoca di chi ascoltava musica nella propria camera sfogliando il booklet di un CD o leggendo i testi dei brani su un gatefold di un vinile. Oggi in pochi ascoltano come si deve la musica… e pensare che il pregio più grande della musica dovrebbe essere quello di permettere di ascoltare.

S.Co.: Sicuramente il web dà la possibilità di raggiungere moltissime persone in ogni parte del globo con la propria musica, facilitando così anche l’aspetto promozionale.

Certamente si deve considerare anche il calo delle vendite di CD e vinili rispetto a quella che era la scena degli anni ’90, il periodo nel quale abbiamo mosso i primi passi. Questo aspetto influisce negativamente sul possibile ritorno economico per un artista.

E quali sono le difficoltà oggettive che rendono faticosa, al giorno d’oggi, la promozione della propria musica tali da ritrovarsi, ad esempio, quasi “obbligati” a ricorrere all’autoproduzione o ad una campagna di raccolta fondi online? E, nel vostro caso specifico, quali ostacoli avete incontrato lungo la vostra carriera artistica?

A.C.: Dal mio primo album pubblicato con i Prowlers, “Morgana”, nel 1994, ho capito quanto fosse difficoltoso trovare una label che potesse produrre e promuovere la propria musica. A quei tempi era addirittura più facile, rispetto ad oggi, trovare nell’ambiente Prog persone serie e qualificate in grado, prima di ogni altra cosa, di credere in te e di impiegare passione, tempo e denaro per dare una giusta visibilità al tuo progetto. Con gli anni tutto si è ulteriormente complicato. Sono nati migliaia di gruppi nuovi e dall’altra parte le etichette del settore sono quasi tutte sparite. Certo con l’utilizzo di software sempre più perfetti è stato anche più facile ed accessibile a tutti poter registrare e mixare un disco in piena autonomia nel proprio home studio.

Ma l’aspetto più triste resta quello legato alla promozione. Spesso succede che i discografici ti producono un disco che praticamente hai già realizzato da solo, limitandosi a stamparlo. Stampato l’album dovrebbe immediatamente scattare una promozione massiccia fatta di live ed eventi. Purtroppo la realtà è assai diversa e per svariati motivi si fatica pesantemente a suonare la propria proposta musicale in un contesto degno di nota. Personalmente mi ritengo fortunato perché, nonostante le varie difficoltà, ho sempre trovato persone che hanno creduto in me. È anche vero che con i Daal abbiamo scelto di autoprodurci ed affidare solo la distribuzione alle etichette. Questa decisione ha i suoi lati positivi e negativi e necessita di una robusta presenza in prima persona dell’artista nella promozione su tutti i canali tecnologici a disposizione.

S.Co.: Quest’argomento è strettamente legato a quello trattato nella precedente domanda. Se è vero che il modo di fruire la musica online, di poterla scaricare, ha inferto un duro colpo all’industria discografica, con tutto quello che ne consegue in termini di introiti, è altresì vero che la diffusione dei mezzi tecnologici a buon mercato favorisce le autoproduzioni, o al più riesce a limitare i costi sostenuti per gli studi di registrazione. Infatti, non è raro che una band o un singolo elemento abbiano un proprio studio project o un home studio. Quindi, come vedi, l’evoluzione tecnologica o del mercato non denota solo aspetti negativi. Credo sinceramente che si debba essere pronti a recepire le novità e percepirle come ulteriori possibilità, anche perché queste si susseguono ad una velocità spaventosa e, se non si hanno mezzi sufficienti, si rischia di rimanere esclusi dal gioco.

E qual è la vostra opinione sulla scena Progressiva Italiana attuale? C’è modo di confrontarsi, collaborare e crescere con altre giovani e interessanti realtà? E ci sono abbastanza spazi per proporre la propria musica dal vivo?

A.C.: Credo che la scena Prog Italiana sia ricca di autentici talenti, ma di altrettante proposte scadenti e banali. Personalmente ho avuto la fortuna di collaborare con molti artisti interessanti e queste collaborazioni, come già accennato in precedenza, mi hanno sicuramente fatto crescere. Purtroppo, però, ho anche notato nel tempo una sorta di infelice cocktail di presunzione ed invidia da parte di musicisti ed addetti dell’ambiente (per fortuna non molti) che, a mio avviso, non porta alcun vantaggio. Siamo un genere di nicchia, un piccolo granello di polvere in un universo di musica e dovremmo essere tutti più uniti e “complici”.

Altra nota dolente sono gli eventi live, col tempo praticamente diventati pochissimi e non sempre gestiti e organizzati adeguatamente. Il disinteresse generale per la cultura non aiuta sicuramente, ma credo che anche nel nostro piccolo ambiente ci si debba porre più di una domanda e fare le giuste riflessioni. Spesso capita di suonare gratuitamente in eventi poco pubblicizzati e con pochissima gente. È totalmente sbagliato! Il lavoro di un musicista va pagato e va valorizzato adeguatamente, altrimenti è meglio starsene tranquillamente a casa. Alla fine degli anni Ottanta suonavamo tutte le settimane. Negli anni Novanta una o due date al mese. Con l’avvento del nuovo millennio, parlo per me, le date sono diventate una manciata in un anno e non sempre in situazioni gradevoli. Infine oggi, per poter avere un adeguata location mi sono dovuto inventare anche il ruolo di organizzatore di eventi e ti assicuro che è molto frustrante per un musicista.

S.Co.: Il nostro gruppo è la prova lampante che la collaborazione tra musicisti che provengono da differenti realtà sia possibile.

Gli spazi per suonare sono sempre meno e sicuramente la situazione economica dovuta al Covid-19 toglierà ulteriori spazi alla musica suonata.

Esulando per un attimo dal mondo Fufluns e “addentrandoci” nelle vostre vite, ci sono altre attività artistiche che svolgete nella vita quotidiana?

S.Ce.: In passato mi piaceva molto disegnare e da bambino ero molto bravo. La maestra mi dava sempre bei voti per questo… ahahahah! Poi ho lasciato questa mia vocazione al disegno in disparte. A venti anni ho provato anche con la scultura, ho ancora due “pseudo sculture” in pietra serena in giardino. Una si chiama “Idolo delle Piogge” e l’altra… “Scorticamento di Marsia”… ti dice qualcosa Donato??? Scherzi a parte… un’attività che “alimenta” il mio pensiero artistico è viaggiare in moto, con tenda e sacco a pelo, e preferibilmente da solo. Negli ultimi tre anni mi sono fatto dei viaggi indimenticabili. È bello partire senza una meta. Nessun vincolo e nessuna prenotazione. Solo te e la strada. Il primo viaggio è del 2018, in 10 giorni mi sono fatto Croazia, Montenegro, Bosnia (che mi ha ispirato il brano de “Il Tuffatore dello Stari Most”) e Slovenia. Nel 2019 ancora Slovenia (adoro quel posto), Ungheria ed Austria. L’anno scorso, invece, per i motivi che puoi immaginare, ho viaggiato in Abruzzo. A confronto è stato un “giretto” sotto casa ma non per questo meno bello degli altri. In futuro mi piacerebbe dedicarmi completamente alla scrittura.

A.C.: Io amo cucinare. La ritengo un Arte quasi al pari della musica. Ho frequentato una scuola di cucina e ho fatto, anche in questo caso, la mia scelta optando per piatti semplici e per la qualità degli ingredienti. Certo non mi vedrai mai a MasterChef…

S.Co.: Avrei bisogno di giornate di 48 ore. Oltre al lavoro, mi piace dedicare il tempo alla musica, tra prove, registrazioni, stesura delle idee e scrittura di testi, cerco di ritagliarmi uno spazio per perfezionarmi sullo strumento.

Poi, anche io come Guglielmo, ho intrapreso oramai da tre lustri la strada della costruzione di chitarre e delle riparazioni di strumenti musicali – credo che questo aspetto sia unico nel panorama musicale, due liutai nella stessa band – ahah!

Per finire adoro pedalare e appena posso scappo per i boschi e sulle salite dei miei monti.

E come non ricordare, infine, la mia famiglia, con tre figlie c’è sempre qualcosa da fare.

E parlando, invece, di gusti musicali, di background individuale (in fatto di ascolti), vi va di confessare il vostro “podio” di preferenze personali?

A.C.: Oddio è davvero difficile per me. Sono nato ascoltando i brani alla radio nella casa dei miei genitori. Ero un bambino all’inizio degli anni Settanta e credo di aver assorbito in qualche modo le sonorità di quel periodo, sia che provenissero dal pop che dal rock. Da adolescente sono diventato un accanito ascoltatore di hard rock, soprattutto Kiss, Black Sabbath, Deep Purple, Uriah Heep e Led Zeppelin. Poi è nato l’amore con i Pink Floyd che dura ancora oggi. Solo qualche anno più tardi ho dato il giusto valore al Progressive Rock. Prima quello internazionale con i Rush, i King Crimson ed Emerson Lake and Palmer, poi quello italiano che già avevo conosciuto negli anni della mia infanzia, ma che solo da adolescente ho rivalutato. Soprattutto Osanna, Goblin, The Trip e Balletto di Bronzo… loro furono i miei veri eroi del Prog di casa nostra. Oggi non mi ritengo un vero ascoltatore di Progressive Rock, sono molto istintivo anche nell’ascolto della musica. Adoro la musica classica, le colonne sonore di Morricone, la musica di Vincenzo Zitello, quella di Giovanni Sollima e, in ambito rock, Opeth, Lunatic Soul e Porcupine Tree.

G.M.: The Beatles, Paul McCartney, Pink Floyd, Genesis e poi gran parte del Prog mondiale con tutti, o quasi, i suoi sottogeneri, dal “Pronk” dei Cardiacs allo “Zeuhl” dei Magma.

M.F.: Senza preclusioni, ogni genere musicale ha per me dei riferimenti fondamentali che vengono attentamente presi in considerazione in termini di ascolto e apprendimento. Se proprio mi si chiede di fare dei nomi, mi concentro sui batteristi e affettivamente dico Bill Bruford, Gavin Harrison e Carter Beauford.

S.Ce.: Come ho fatto a suo tempo con l’intervista del Bacio, mi limiterò a passare in rassegna i miei ultimi ascolti. Ascolto musica soprattutto di notte, o la mattina presto, mentre porto a spasso per i boschi il mio Melampo, uno Springer Spaniel Inglese che, essendo un cane da caccia (che però non caccia) è molto vivace e desideroso di movimento. Ultimamente sto ascoltando Victor Jara, un artista cileno, come ben saprete, fu barbaramente assassinato cinque giorni dopo il golpe dell’11 settembre 1973. Mi sta prendendo molto “Piperdream” di Alan Hull e, di recente, mi ha sorpreso un disco di Jarvis Cocker (Pulp) e Chilly Gonzales “Room 29”.

S.Co.: Deep Purple – Led Zeppelin – Rush.

Restando ancora un po’ con i fari puntati su di voi, c’è un libro, uno scrittore o un artista (in qualsiasi campo) che amate e di cui consigliereste di approfondirne la conoscenza a chi sta ora leggendo questa intervista?

S.Ce.: Sto leggendo in questi giorni “La Ragazza che vendicò Che Guevara-Storia di Monika Ertl” di J. Schreiber. Monika fu la giovane figlia prediletta di un emigrato tedesco che aveva intrattenuto rapporti ambigui con il regime nazista. La ragazza abbandonò la sua vita agiata e borghese per unirsi all’Esercito di Liberazione Nazionale cambiando il suo nome in Imilla. Tornata in Germania uccise ad Amburgo l’ex Colonnello Roberto Quintanilla, colui che aveva ordinato l’esecuzione del Che.

A.C.: Non ho un nome in particolare da consigliare. Ce ne sono davvero tanti di Artisti degni di essere approfonditi. Mi sento solo di dare un consiglio ai giovani. Leggete, informatevi, andate a teatro, al cinema, nei musei, alle mostre d’arte e ascoltate musica. Fatelo con passione e curiosità… riscoprite il senso della vita, riappropriatevi della vostra vita, dell’appartenenza ad una società che ha creato anche tanto splendore, condividete le vostre sensazioni, le vostre emozioni e lasciate da parte l’inutilità dell’“apparire” che ci viene continuamente imposta ogni giorno da tv, media, social web e dai loro falsi eroi.

M.F.: Per comprendere la “vita da batterista” in un senso etico e disincantato consiglio: “Bill Bruford. Autobiografia alla batteria”.

S.Co.: Il mondo è pieno di arte, basta un po’ di curiosità per poter scoprire un po’ di bellezza in musica, nella letteratura, nelle scienze, nelle arti visive. Siate curiosi!

Tornando al giorno d’oggi, alla luce dell’emergenza che abbiamo vissuto (e che stiamo ancora vivendo), come immaginate il futuro della musica nel nostro paese?

A.C.: È molto difficile in questo momento immaginare un futuro della musica. Spero soprattutto che si possa risolvere questa emergenza sanitaria e si possa finalmente uscirne per non tornare come eravamo, ma migliori di ciò che eravamo. Spero che questo periodo ci possa insegnare tutti qualcosa, ci possa cambiare in meglio… Dentro me sento che non sarà così, ma ci spero.

S.Ce.: Sono d’accordo con Alfio sul fatto che non sia facile immaginare quello che sarà il futuro della musica e dei musicisti una volta che ci saremo lasciati alle spalle tutto questo. Per quanto mi riguarda cercherò di continuare ad esprimermi ogni qual volta che ne sentirò la necessità. Ho sempre vissuto il mio rapporto con la musica e con la creatività in generale con molta naturalezza. Senza troppe frenesie cercherò di adattarmi ai nuovi scenari che mi si presenteranno innanzi.

S.Co.: Sarà dura ripartire, in un mondo dove lo stop dei concerti ha lasciato senza introiti gli addetti ai lavori, musicisti, imprenditori, tecnici. Tutto quello che ruota intorno all’arte ed all’intrattenimento è stato seriamente colpito dai provvedimenti attuati dal governo e non entro nel merito della bontà sulle misure prese.

Prima di salutarci, c’è qualche aneddoto che vi va di condividere sugli anni di attività con i Fufluns?

A.C.: Un aneddoto… Durante i pochi concerti fatti insieme, sul palco mi è capitato di scambiare sguardi con gli altri. Piccoli segnali di intesa e di complicità. Io non me ne sono mai reso conto, ma Simone e Guglielmo sostengono che sul palco cambio completamente espressione e sono sempre felice come un bambino… Penso abbiano ragione.

G.M.: Il momento più bello, a mio parere, è stato il weekend di ritiro che abbiamo trascorso nell’ottobre 2017 in una chiesina in un bosco, vivendo, mangiando e dormendo in un posto isolato, coi nostri strumenti montati, scrivendo, di fatto, le basi per questo nostro nuovo lavoro.

Un’esperienza indimenticabile, l’occasione perfetta per conoscere colui che all’epoca era “quello nuovo”, il nostro chitarrista Simone Coloretti.

S.Ce.: Ricordo un momento in particolare, uno dei nostri primi concerti. Eravamo stati invitati al già citato Festival di Coltano, dove abbiamo conosciuto Simone Coloretti ed i ragazzi della Egoband. Appena scesi dal palco ci siamo accorti che la cucina allestita dall’organizzazione aveva già chiuso i battenti. Gli altri gruppi si erano già “sfamati”. Sono andato a parlare con un tipo della cucina e mi ha fatto presente che ci avrebbero potuto servire solo degli affettati e del pane. Ovviamente il tutto bagnato da un buon vino Toscano di quelli che lasciano il cerchio rosso al bicchiere. Mi ero raccomandato: “Meglio abbondare che deficere… qui c’è gente che magna!”. Ci servirono tre vassoi straripanti di salumi. Chi ci ha visto mangiare, secondo me, ci avrà preso per degli sfollati. Insomma, ad un certo punto Gugli si volta verso di me e con la bocca piena mi fa: “Simo’ è er mejo magna’… questo è er mejo magna’!!!”. Cavolo se aveva ragione.

M.F.: Considero poco l’aneddotica, preferisco che la conoscenza di un gruppo avvenga attraverso l’ascolto e il confronto della sua musica. Siamo ricchi di pillole di storia, ma la nostra proposta guarda al presente e al futuro. Il passato resta una parte intima di noi.

S.Co.: Ho avuto modo di conoscere dei bravissimi musicisti dei quali apprezzo il lato umano, sono onorato di aver stretto amicizia con i ragazzi dei Fufluns.

E per chiudere: c’è qualche altra novità sul prossimo futuro dei Fufluns che vi è possibile anticipare?

A.C.: Al momento spero solo di poter suonare presto dal vivo la musica del nuovo album, significherebbe che è tutto passato e che possiamo ricominciare a sognare…

S.Ce.: Sottoscrivo!!!

M.F.: Il futuro è difficile da identificare in un’epoca pandemica, ma la vera novità sta nell’immutabile entusiasmo per la nostra musica.

Grazie mille ragazzi!     

S.Ce.: Grazie a te Donato… un abbraccione a tutti i lettori!

A.C.: Grazie a te Donato, è stato un piacere.

G.M.: Grazie a te caro!

M.F.: Grazie a te di cuore.

S.Co.: Ciao, a presto!

(Febbraio, 2021 – Intervista tratta dal volume “Dialoghi Prog – Volume 2. Il Rock Progressivo Italiano del nuovo millennio raccontato dai protagonisti“)

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