Un caro benvenuto a Simone Pesatori (S.P.) e Giampiero Manenti (G.M.) dei Sintonia Distorta.
S.P. e G.M.: Grazie a te, Donato, per l’attenzione e la cortese disponibilità che ci hai riservato!
Iniziamo la nostra chiacchierata con una domanda di rito: come nasce il progetto Sintonia Distorta e cosa c’è prima dei Sintonia Distorta nelle vite di Simone e Giampiero?
S.P.: I Sintonia sono la mia “seconda famiglia” ormai. È il primo progetto, fondato insieme all’amico fraterno Fabio Tavazzi (che ha da poco lasciato la band, cedendo il testimone nientemeno che a Giorgio “Fico” Piazza) nel “lontano” 1995, con il quale mi sono cimentato a fare musica e con cui sono anche cresciuto. Ma è anche il principale, ora che ho intrapreso pure altre “avventure” nel mondo della musica. Come ha avuto inizio? Credo in un modo molto comune a tante band… In quegli anni, Fabio si era già trovato in un paio di occasioni con altri ragazzi in una “sottospecie” di sala prove (uno scantinato nel centro di Lodi). La neonata band – che mancava ancora di un vero e proprio monicker – cercava un cantante; fu allora che un amico comune ci mise in contatto. Non lo conoscevo; la prima prova di quelli che, da lì a poco, sarebbero diventati i Sintonia Distorta, riveste grande importanza: è la nascita di una grande amicizia – a cui poi se ne aggiungeranno altre, per mia fortuna! – prima ancora che la nascita del nostro gruppo.
G.M.: Prima dei Sintonia Distorta ho avuto svariate, e tra loro diversissime, esperienze musicali. In ultimo, ero il pianista della GJ Orchestra, una big band jazz dedita a riproporre più famosi brani del Dixieland… Poi l’incontro, molto casuale con Simone, che mi ha coinvolto nel progetto. Dopo una mia iniziale, estrema diffidenza, mi sono col tempo adattato e, soprattutto, affezionato a questo progetto!
Sintonia Distorta: Simone, come si arriva alla scelta del nome e come ricordi i primi anni del progetto, sul finire dello scorso millennio, da cover band?
S.P.: Il nome della band nasce da un’idea di Fabio. Ricordo che già alla seconda prova portò un foglio di quaderno (mica c’erano a quel tempo i vari smartphone… iPad… ecc.! Ahah!), con una lista di proposte. Tra queste, “Sintonia Distorta”, che piacque subito a tutti ed ebbe la meglio sulle altre opzioni, aveva l’obiettivo di coniugare il suono tipico del rock (la chitarra distorta) ed una frequenza radio (sintonia) che ci avrebbe accomunato! Un po’ come a dire: “Se suoneremo il rock, ci troveremo in…sintonia!”. In principio, l’esecuzione di alcune cover (ricordo pezzi di Litfiba, In.si.dia, Movida, Iron Maiden, Metallica, ecc.) fu un modo per studiare, trovarsi, fare pratica. Ben presto, però, ci fu l’esigenza di comporre, di esprimersi con la scrittura di qualcosa di veramente e solamente nostro. Fu poi intorno al 2005-2006, forse più per spinta di altri membri della line-up di quel tempo – ragazzi che avevano una predilezione per i live piuttosto che per la composizione (per me una cosa non esclude l’altra invece, anzi!) – che le cover tornarono prepotentemente nell’ambito della nostra scaletta. Fu una fase in cui si propose dal vivo un repertorio orientato al rock/hard rock/pop rock (Bon Jovi, Europe, Queen, ecc.). Ma durò poco, anche se riuscimmo a godere di un discreto seguito di pubblico durante le esibizioni nei locali. Lì mi resi conto, effettivamente, di avere nel DNA un po’ di “sana follia” da frontman, se così si può dire! Ahah!
Nel 1999 esce la demo “…E fuori pioveva ancora”, mentre il 2000 è l’anno dell’album “Spazi Sconfinati” (in realtà, c’è anche una nuova demo realizzata nel 2002 che non vedrà mai la luce). Cosa c’è, dunque, nei primi lavori della band? Ti va di presentarli e di raccontarci come, da cover band, dunque, virate verso la creazione di brani originali?
S.P.: Come ti dicevo, la “spinta” verso la scrittura fu molto forte da subito. Ricordo ancora di “…E fuori pioveva ancora”, scritta in circa venti minuti mentre, seduto sul letto della mia cameretta, immaginavo una storia d’amore e pentimento, in realtà non vissuta ma più frutto della mia fantasia! Ricordo i pomeriggi passati a casa di Fabio… il suo basso a provare giri di accordi, la mia voce a provare linee vocali… decine di fogli di quaderni con pensieri, testi, idee… Ci si è conosciuti a fondo anche attraverso quelle riflessioni, quella condivisione… e credo sia qualcosa di unico, che solo la musica ti può regalare! Momenti magici, che poi, col passare del tempo, abbiamo trasportato in saletta e che ora si vivono anche con gli attuali componenti della band. È così che nacquero i primi brani, ma è così che nascono anche oggi i brani dei Sintonia! Con la stessa sincerità, con lo stesso trasporto emotivo, con la stessa passione!
Dopo una “pausa”, avutasi tra 2003 e 2004, il progetto riparte “riavvolgendo il proprio nastro”:
come hai già accennato, nuovamente cover band. A cos’è dovuto, quindi, questo “ritorno alle origini”?
S.P.: Dopo “Spazi Sconfinati” ci furono degli avvicendamenti e seguì una fase in cui la band – vuoi soprattutto per l’influenza derivante degli ascolti di quel periodo (penso ad esempio al successo dei Labyrinth di Roberto Tiranti) – fu vicina ad una virata verso l’heavy/power metal con cantato in inglese (da qui il famoso “demo” mai pubblicato, il quale, però, nascondeva un brano, “Season of Life”, che solo di recente, nell’ambito del mio nuovo progetto parallelo Seventh Season, ha visto la luce). Da lì a poco, però, seguirono altre defezioni e il percorso si interruppe per diversi mesi. Fabio in quel periodo suonò in altre band… io feci persino un provino in una band-tributo agli Iron Maiden… ma i Sintonia ci mancavano troppo!
Il coinvolgimento in questi contesti alternativi non aveva per noi lo stesso significato. Ecco perché, intorno al 2003/2004, la line-up si ricompose. Credo che fu per “recuperare” sia il tempo che l’allenamento perduto che orientammo nuovamente il progetto sulle cover. Dopo aver realizzato “Demo 2006” (mamma mia, che nome orrendo che si scelse! Ahah!), che appunto conteneva “Jump” (Van Halen), “Rock the night” (Europe), “I want it all” (Queen) e “Boulevard of broken dreams” (Green Day) il (carissimo) batterista di quell’epoca, Stefano, tornò, per necessità personali, nella sua amata Sardegna. Ed ecco l’ennesimo scioglimento. Arrivati a quel punto, liberi forse da certe spinte interne che ci avevano allontanato dal vero “focus”, io e Fabio tornammo al primo, vero, amore… la scrittura di brani inediti!
E poi, dopo una lunga serie di avvicendamenti interni, arriva Giampiero Manenti. Le sue doti e il suo background “classico” plasmano definitivamente il sound che ancora oggi contraddistingue la band: un hard rock dalle marcate venature prog, ricco di suggestive ed epiche atmosfere, di riff rockeggianti, ma anche di dolci melodie. Giampiero, come sei entrato, dunque, in “rotta di collisione” con la band e com’è stato “impadronirsi dei tasti” del gruppo? E com’è cambiato effettivamente l’approccio alla musica dei Sintonia Distorta con l’ingresso di Giampiero?
G.M.: Come accennavo prima, l’incontro è stato casuale, complice il fatto che io stessi provando con un gruppo cover (che poi si è sciolto ancor prima del primo live) che fruiva di una saletta all’interno del medesimo cascinale in cui, ai tempi, avevano la propria sala anche i Sintonia. Non ho mai avuto la necessità di dovermi confrontare con chi mi ha preceduto, in quanto, da subito, Simone e Fabio hanno cercato di coinvolgermi spingendomi a trovare soluzioni musicali che si addicessero al mio “stile”…
Sicuramente ho portato qualcosa di diverso nel modo di suonare dei Sintonia Distorta preesistenti, in quanto ho una profonda radice di stampo classico, avendo studiato pianoforte e flauto traverso (questo poi abbandonato…) ed avendo militato in una big band jazz….
Sono però convinto che questa “jamboree” di stili che si sono poi, col tempo, implementati ed amalgamati sia un punto di forza della musica che cerchiamo di realizzare.
Il 2011 è l’anno del secondo lavoro “Anthemyiees”. Quali sono i punti di contatto e le differenze sostanziali con le prime produzioni della band?
S.P.: Con “Anthemyiees” credo che la band abbia finalmente trovato l’identità che da tempo andava cercando e che probabilmente “covava” sottotraccia. Se penso ad un demo come “Spazi Sconfinati”, ci ritrovo sonorità diverse, sia rispetto agli attuali lavori, sia tra i brani dello stesso disco. Ma riconosco al contempo la stessa anima, come se un filo conduttore legasse tutte queste produzioni, dalle prime, embrionali, fino ai due dischi “ufficiali”. È come se l’ingresso del Gian, il suo gusto, la sua tecnica, abbiano fatto definitivamente affiorare il tutto!
G.M.: Per quello che è stato il mio apporto, avendo solo ascoltato i lavori precedenti, credo di aver portato le sonorità su un piano molto diverso da quello che gli amici immaginavano… Mai avrebbero pensato, credo, di ritrovarsi in mezzo ad organi da chiesa, a sonorità molto epiche, chorus e violini in sovrapposizione, ecc., ecc….
E nel 2013 entrate nell’orbita della Lizard Records. Come nasce il rapporto con la sempre attenta etichetta di Loris Furlan?
S.P.: L’EP “Anthemyiees” conteneva, secondo me, alcune idee interessanti (o almeno avevo questa presunzione! Ahah!). Al punto che decisi di provare a recapitarlo ad alcune etichette, nella speranza potesse destare il loro interesse. Tra queste vi era la Lizard di Loris. Fu già dalla prima risposta che capii che poteva nascere “qualcosa”… Ci tenemmo in contatto, vi fu una fitta corrispondenza. Si parlava di musica ma non solo! Loris ebbe modo di conoscermi, di conoscerci (ed ovviamente il piacere fu reciproco) e di capire di più del nostro “mondo”. Credo ne apprezzò alcuni aspetti. Anche quello, posso dire, fu il momento a partire dal quale, specie personalmente, nacque un’altra bellissima amicizia. Magie della musica, no?!
G.M.: Anche in questo caso, un po’ il caso, molta determinazione e, diciamolo, un pizzico di lato “B” hanno giocato a nostro favore. Loris poi, che col tempo abbiamo imparato a conoscere ed apprezzare, ha saputo leggere ed evidenziare (Loris ha curato personalmente la direzione artistica del primo album, per esempio) qualcosa di cui noi eravamo già in possesso ma senza esserne pienamente consapevoli: avevamo già nel nostro DNA delle sfumature Progressive, ma ci serviva una persona attenta ed esperta come Loris per farle emergere definitivamente!
Il 22 maggio 2015 viene pubblicato “Frammenti d’Incanto”, un lavoro che racchiude sfuriate possenti e granitiche accanto a trame romantiche e carezzevoli. Vi va di raccontare la genesi dell’album e il percorso creativo celato dietro i vari brani?
S.P.: Ecco, credo proprio – come hai giustamente messo in evidenza con questa domanda – che “Frammenti” racchiudesse tutte le “anime Sintonia”. Non che il successivo album non lo faccia, ma di questo disco possiamo dire fosse ancora un po’ legato a quel background fin qui raccontato e che fosse un’espressione della band di quel periodo e di certe nostre caratteristiche. Tant’è che più della metà delle canzoni in esso contenute sono gli stessi brani – ovviamente riarrangiati ed ottimizzati grazie alla direzione artistica curata direttamente dallo stesso Loris Furlan – che si trovano nel precedente EP “Anthemyiees”. Tornando alle predette caratteristiche, ovviamente, alcune di esse ancora rimangono e rimarranno sempre, sono, del resto, anche una nostra prerogativa, ma in questo lavoro ritengo avessero ancora un “taglio” più grezzo e più “disinibito”.
Con “A piedi nudi sull’Arcobaleno” Loris ci ha invitato, giustamente, a mettere più a “fuoco” la rotta (ecco, in primo luogo, il perché del coinvolgimento di Fabio Zuffanti in “cabina di regia”), per cercare di dare all’album, ma anche a noi stessi, un ruolo più preciso all’interno del “mondo Prog”. Ad oggi possiamo dire con maggior convinzione di poter essere considerati (ammesso che se ne abbia titolo! Ahah!) una Prog band o, se vogliamo essere più tecnici, una Hard-Prog band, con precisi riferimenti ad un certo rock Progressivo Italiano di stampo settantiano. “Frammenti” si collocava forse, invece, ancora “a cavallo” tra questo genere ed un certo hard’n heavy con sonorità più figlie degli anni ’80-’90. E’ stato il nostro album d’esordio, il “sogno divenuto realtà”. Per questo motivo il giorno della sua pubblicazione lo ricordo ancora oggi come uno dei momenti più emozionanti della mia “vita da musicante”! Ricordo che – mi pare fosse il Settembre/Ottobre del 2014 (anche se come hai detto bene, con il successivo completamento dell’artwork, la masterizzazione delle copie, ecc., l’album uscì concretamente il 22 maggio 2015) – appena fuori dall’ultima sessione di mastering al Treehouse Lab (lo studio di Lodi presso il quale sono state effettuate registrazioni, mixing e appunto il mastering di “Frammenti” nonché le registrazioni ed il mixing, alla presenza di Zuffanti, di “A piedi nudi…”, praticamente ormai anch’essa una seconda casa per me, quella di Daniele Valentini e soci!!), chiamai Fabio al telefono e, con una lacrima che scendeva lungo il viso per l’emozione, gli dissi: “Finito, bro! Il sogno è realtà!”.
G.M.: L’album è nato col favore di Loris come album d’esordio per la Lizard. Io l’ho sempre considerato, ed è tuttora il mio parere, come una vetrina di quello che sapevamo fare, spaziando dalla ballad al rock più duro, con qualche accenno e venatura Prog, fino allo sconfinamento in un brevissimo accenno raegge.
La genesi de “Il Cantastorie” è semplice e travagliata allo stesso tempo, paradossalmente. Semplice perché un giorno mi sono svegliato con in testa il refrain, pensato per una coreografia di ballerini. Travagliato poiché, nell’arco della stessa giornata, “partorii” sia il testo che la parte musicale rimanente. Il tutto con tanto di registrazione midi da poter condividere con amici in sala prove già la sera stessa! L’entusiasmo per quel neonato brano era molto, non potevo perdere l’attimo! Poi il brano ha avuto il suo sviluppo con l’apporto indispensabile di tutti, ma… è nato così!!!
All’uscita dell’album segue l’attività live che vede esibirvi con l’Accademia lodigiana di Danza, Arte e Cultura “Il Ramo”. Come prende corpo la collaborazione e com’è condividere il palco con dei ballerini che eseguono coreografie sulle vostre musiche?
G.M.: La direttrice Sabrina Pedrazzini è una mia carissima amica, conosciuta ai tempi della mia collaborazione con una accademia di Lodi in cui lei insegnava danza. Ho collaborato con lei come staff tecnico ad alcuni musical che hanno riscosso molto successo. Una idea nata per caso, la proposta, la richiesta di studiare alcuni brani e far cantare alcuni allievi delle classi di canto accompagnati dal vivo in un teatro e non dalle solite basi, e… il gioco è fatto. L’idea si è trasformata in una piacevolissima esperienza!
S.P.: Confermo! E lo dico non solo per la bravura, tecnicamente parlando, di certi allievi dell’Accademia o dei loro ballerini. In questi contesti credo conti molto anche l’empatia ed il feeling che possono scaturire. Non è mai scontato e non è per tutti! In quell’occasione si è realmente vissuto qualcosa di particolare, di emozionante. Basti pensare che per il videoclip del mio progetto solista Émonis ho poi voluto fortemente e nuovamente coinvolgere Sabrina e due dei ballerini che avevano condiviso con noi quell’esperienza…
Credo che un po’ di quel “kind of magic” possa intravedersi anche dal video di “Love is all we need”! Momenti indimenticabili… la famosa, e già citata, magia della musica!
E poi arrivano Claudio, Giovanni e Marco. Per voi com’è cambiato il progetto con il loro arrivo?
S.P.: Come già detto anche in altre interviste, evidentemente, nel 1995, quando si scelse il nome Sintonia “Distorta”, non vi era il sospetto che potesse essere, con una diversa lettura, precursore di un percorso fatto di continui avvicendamenti, interruzioni, ripartenze! Per questo, dopo l’uscita di “Frammenti”, ci ritrovammo ancora una volta privi di chitarrista e batterista. Ecco quindi la volta di Claudio, poi a seguire di Giovanni e, last but non least, di Marco (quest’ultimo grazie soprattutto alla “spinta” di Zuffanti che riteneva perfetto per noi l’aggiunta in formazione di un valido flautista ed eventuale sassofonista). L’arrivo di ogni nuovo elemento porta inevitabilmente ad un rallentamento, ad una sorta di ripartenza ma può anche offrire un arricchimento, umano, personale, culturale e musicale… Questo è sicuramente ciò che si è verificato con l’ingresso nella line-up di Cla, Giò e Marco! Non dico si vada sempre d’amore e d’accordo (non succede nelle famiglie, come può succedere tra sei folli musicisti come noi? Ahah!), ci sono lati ed aspetti del carattere di ognuno che non si sposano perfettamente con quelli altrui… ma lo dice sempre Giampiero, “Siamo un gruppo di persone male assortite che, però, “dato il la”, creano qualcosa di unico, una lingua comune…” …dice qualcosa quella famosa “frequenza-radio” a cui ci si riferiva nel lontano ’95?
Musicalmente ritengo che – a parte il piacere di avere molte più “soluzioni”, in termini di sonorità (penso al flauto e al sax di Marco in primis) – la loro presenza influisca molto positivamente nell’arrangiamento dei brani. Sono musicisti che “sentono” il pezzo e che quindi possono comprendere e valutare, anche con l’aiuto di un ottimo e personale gusto (prezioso! La tecnica ce l’hanno milioni di persone, la sensibilità musicale è di pochi!), la soluzione melodica o armonica che più si addice in quella canzone o in quella parte di canzone.
G.M.: Così come spesso succede, ogni ingresso è un riprendere in mano tutto daccapo e rivedere i brani. Questo “esercizio” ci ha permesso di affiatarci e conoscerci. Certo sarebbe bello poter fare più spesso gruppo, uscendo insieme e passando anche più tempo tra noi, ma siamo cresciuti ed ognuno ha i suoi impegni e le sue priorità…
Non credo il progetto si sia modificato con il loro ingresso; sicuramente è stato un ulteriore spunto per nuovi punti di vista musicali, ma la strada è rimasta quella.
Con la nuova formazione a sei, nel 2020, pubblicate l’album “A piedi nudi sull’Arcobaleno”, ancora una volta per Lizard Records. Vi va di presentarlo? È stato semplice proseguire sul “solco” tracciato da “Frammenti d’Incanto”?
S.P.: Diversi brani contenuti in “Arcobaleno” sono stati scritti ante-“Frammenti”, altri addirittura (vedasi “Sabri”) durante la lavorazione del nuovo disco. Credo che il fatto di avere alle spalle un disco d’esordio – peraltro accolto positivamente, sia dal pubblico, che dalla critica di settore – ci rendesse un filo più sereni. Almeno, per me è stato così! Durante la preparazione di “Frammenti” ero molto più teso, c’era la volontà di dimostrare, una volta per tutte, il nostro valore (ma anche, contestualmente, il timore di non essere all’altezza…). Ciò, lo riconosco, mi/ci ha portato persino a strafare, ad esagerare su alcune scelte.
Nel nuovo album mi sono detto: “È la tua passione… è il momento che aspetti sempre (quello in cui si entra in studio per dare vita vera ai brani)… goditelo! Più che puoi!”.
Ed ecco quindi “Solo un sogno (…dimmi che ti basta)”, davvero un altro sogno che si realizza, per me, quello di duettare con un grande vocalist, nonché punto di riferimento, come Roberto Tiranti. “A piedi nudi sull’Arcobaleno”, “Sabri” e “Madre Luna”, omaggi a delle persone scomparse prematuramente (molto intenso, emozionante, ma al contempo difficile registrare quelle parti di voce, sapendo che stai cantando il tuo dolore o quello di persone alle quali tieni!); “Alibi” e “La rivincita di Orfeo”, brani in cui ci metti tutto te stesso perché raccontano di te, del tuo vissuto e “senti” che finalmente puoi urlarlo al mondo, ma non senza il controllo ed il piacere di farlo usando il tuo amato strumento (nel mio caso, la voce). E poi, l’esperienza, unica, di assistere alla registrazione dal vivo del coro di voci bianche (I Musici Cantori di Milano), guidati dal grande maestro Mauro Penacca, per il ritornello di “Madre Luna”. Una quindicina di bambini e ragazzi… Daniele Valentini, al termine, si avvicinò e mi disse: “Ti ho visto davvero emozionato, sembravi uno di loro!” …magie della musica!
G.M.: Il nuovo lavoro è un progetto sicuramente che per noi ha rappresentato una sfida, interrotta anche dal dover necessariamente trovare e adattare una nuova sala prove. Nel frattempo, dalle bozze dei brani si è passati ad una stesura più completa, sotto la supervisione a distanza del maestro Fabio Zuffanti. Sapevamo, ed eravamo pienamente consapevoli, che il secondo lavoro avrebbe potuto essere o una conferma del buon lavoro svolto oppure, ahimè, la nostra disfatta. Abbiamo dato veramente tutti il massimo, non ci siamo risparmiati in correzioni e tentativi… Abbiamo poi assistito al lavoro di direzione artistica svolto direttamente al banco da Zuffanti, cercando di “imparare” qualcosa in più su questo difficile mestiere… Fabio non ha mai voluto snaturarci, ma ha preferito fare con noi un lavoro di rinforzo su quelli che, a suo giudizio, erano (e sono) i nostri punti di forza, anche se magari atipici del Prog in senso stretto.
Nella recensione di “A piedi nudi sull’arcobaleno”, nell’introdurre il contenuto dell’album, parlo di scelta “controcorrente” in ambito Progressivo (ma apprezzabile nel caso specifico) di confezionare ritornelli cantabili all’interno dei singoli brani. Come mai, appunto, tale scelta?
G.M.: Non si tratta di una scelta ragionata o fatta a priori, bensì quanto di estremamente naturale ci viene spontaneo fare… Sembrerà strano, ma non tutto è ragionato… Spesso è l’orecchio, passatemi il termine, che comanda…
Ciò che, invece, è ragionato e voluto, anche se può apparire controproducente in termini di ascolti e vendite, è la scelta di utilizzare la lingua italiana. Siamo fermamente convinti che il nostro idioma sia molto musicale, estremamente adatto al genere, l’unico vero modo per poter trasmettere, ed essere realmente compresi, un messaggio attraverso i nostri testi.
S.P.: Concordo! Il ritornello l’ho sempre considerato, anche da semplice ascoltatore, come l’apice emozionale del pezzo… è qualcosa che ti deve catturare e rimanere impresso… perciò ben venga l’orecchiabilità e una facile musicalità! Poi, per amor del cielo, ci sono pezzi fantastici privi di ritornello (penso ad “Infinite Dreams” o “Paschendale” degli Iron Maiden, oppure anche a “…E fuori pioveva ancora” dei Sintonia Distorta! Ahahah!) ma… il ritornello cantabile è qualcosa dal quale difficilmente riesco a prescindere e che, come dice giustamente Giampiero, mi/ci viene abbastanza naturale!
Nell’album compaiono, come ospiti, Roberto Tiranti, Luca Colombo, Paolo Viani, I Musici Cantori di Milano e, in qualità di produttore artistico, Fabio Zuffanti. Com’è stato lavorare con loro e sotto quali aspetti vi sono stati d’aiuto?
S.P.: Beh, un’esperienza esaltante oltre che un’occasione di crescita ed arricchimento! Assistere al “mixing creativo” di Fabio al banco, insieme ai ragazzi del Treehouse Lab, confrontarsi con lui sull’arrangiamento e sulle sonorità da apportare ai brani, è stato molto stimolante! Da queste situazioni, dalla collaborazione con questi professionisti di livello non puoi che imparare… e ti basta davvero poco, è sufficiente ascoltarli, osservarli mentre “si muovono”…
Roberto ha anche dato dei suggerimenti importanti. Luca, Paolo e il maestro Mauro Penacca sono stati davvero garbati, umili ma al contempo molto professionali… Da questi scambi impari anche dalle piccole cose, dalle sfumature! È stata una fortuna poterli avere “in squadra”, oltre che un motivo di ulteriore responsabilità nella riuscita del prodotto… mi dicevo: “Il disco deve essere degno della loro presenza!”
G.M.: Avere l’opportunità di poter lavorare con chi è del mestiere e ne ha fatto la propria professione, è per me ulteriore stimolo a fare bene e meglio, cercando di imparare qualcosa di nuovo da poter aggiungere al mio bagaglio personale.
Entrambi i due album pubblicati con la Lizard Records puntano molto sui testi (in italiano). Amore, dolore, felicità, passioni, i mali della società moderna: tanti sono i temi toccati nelle vostre liriche. Ma come nasce un testo dei Sintonia Distorta? E perché l’idea particolare di presentare i brani con una descrizione introduttiva all’interno del libretto?
S.P.: La stesura di un testo nasce sempre dall’idea, dalla tematica di base che si vorrebbe esprimere. E sono, nella maggior parte dei casi, le esperienze personali a darci lo spunto. Alle volte quest’input rimane dentro di me, di noi… resta lì, nell’attesa che arrivi, per puro caso, il motivo, la melodia che lo aiuti poi ad emergere e ad essere espresso… Il motivetto ti porta spesso ad un primo verso, il quale, poi, eventualmente modificato, diverrà, a seconda dei casi, parte della strofa o del ritornello… e da lì arriva tutto il resto…
L’idea della prefazione si rifà a qualcosa di simile visto all’interno di alcuni booklet dei Nomadi; una scelta che trovai azzeccata… mi permise di interpretare al meglio il senso di quelle liriche.
Ok, si dice sempre che un testo debba essere lasciato alla libera interpretazione di ciascun ascoltatore… io, invece, sono sempre stato molto curioso del concetto che quell’artista “X” voleva effettivamente esprimere nell’ambito delle proprie composizioni; mi è capitato anche di fare degli approfondimenti in alcuni precisi casi, per poi accorgermi che l’interpretazione che ne davi era lontana dal reale significato. Per questo motivo mi sono permesso di suggerire – e mi ha fatto piacere che l’idea è stata accolta positivamente anche dal resto della band – una rielaborazione di quell’idea dei Nomadi (le nostre sono delle vere e proprie prefazioni, anche articolate in alcuni casi. La band di Novellara, invece, mi ricordo che si limitava ad una frase che lasciava intendere il senso del pezzo). Fa inoltre piacere sapere che questa sorta di “introduzione al brano” piaccia molto anche ai nostri ascoltatori!
G.M.: L’idea di aggiungere una prefazione che spieghi, in modo riassuntivo, il testo di ogni singolo brano, è dovuta all’ importanza che diamo al voler trasmettere un messaggio, sia esso un semplice stato d’animo, una nostra personale visione della vita o il racconto delle nostre sensazioni. Nulla in questo senso deve essere lasciato al caso: chi legge, sa e conosce quanto volevamo esprimere con quel determinato brano.
Altro “filo” che lega i due lavori è la parte grafica altamente esplicativa. Quanto di vostro c’è nella scelta delle immagini e come si è sviluppata la collaborazione con Davide Guidoni, bGone e Claudia Feneri, per “Frammenti d’Incanto”, e After Spell Studios per “A piedi nudi sull’arcobaleno”?
S.P.: Personalmente ho sempre dato parecchia importanza alla parte grafica di un disco… Loris ha sempre descritto un album (visione che mi trova perfettamente concorde) come una sorta di “scrigno magico” da aprire e scoprire pian piano, sia da un punto di vista uditivo ma anche visivo! È bellissimo poter esprimere il concetto contenuto in una canzone anche con un’immagine, una foto, un disegno…
Ovviamente abbiamo avuto anche la fortuna di collaborare con questi artisti che hai citato, i quali hanno avuto la bravura di tradurre al meglio, su booklet, le nostre indicazioni. A Davide Guidoni ci indirizzò Loris, credo ci avesse già collaborato in passato. Anche con il carinissimo Rob Menegon (bGone) ci mise in contatto Loris, so che sono amici da tanto tempo! Purtroppo, Rob non sarebbe stato disponibile, per motivi di lavoro, ad affiancarci per il secondo album. Per fortuna, nel frattempo, avevamo conosciuto, e saputo apprezzare, il lavoro di Davide Zampatti e Riccardo Molti (After Spell Studios), artefici del nostro primo videoclip (“Il Cantastorie”) e con i quali ormai si è sviluppata una collaborazione quasi continuativa… soprattutto per me (con loro ho realizzato le grafiche, gli shooting e i videoclip relativi ai miei ulteriori progetti musicali): insomma… squadra “che vince”, non si cambia!
Claudia, invece, è la moglie di un nostro bravissimo ex chitarrista, Paolo Trombetta, ed è un’eccezionale fotografa!
G.M.: La grafica legata ai singoli brani, ma non so quella, è legata a doppio filo con il senso della prefazione. Ogni brano è un capitolo a sé, che non deve trovare spunti di interpretazione da parte di chi legge/ascolta ma deve essere spiegato sotto il nostro modo di vedere.
Rock, punk, heavy metal, power-prog metal, hard rock, Progressive Rock: in questi due decenni (abbondanti) di Sintonia Distorta vi siete sempre dimostrati musicalmente camaleontici. Ma qual è il genere che vi ha più rappresentato negli anni? Possiamo dire che con il Progressive Rock avete finalmente trovato la vostra dimensione definitiva?
S.P.: È vero, hai elencato un po’ tutte quelle “anime” che fanno o hanno fatto parte di noi nel tempo, e di cui abbiamo già accennato; credo fosse normale che, in maniera più o meno evidente, potessero emergere nelle varie nostre produzioni… però, sì, credo anche che nel cosiddetto “Progressive Rock”, come giustamente tu riconosci, i Sintonia – quantomeno quelli attuali e più recenti – abbiano trovato la loro più naturale e piacevole collocazione!
G.M.: Io credo si sia, più di altri, progressivi… Nel senso che negli anni abbiamo via via apportato trasformazioni e contaminazioni al nostro modo di suonare. E cosa c’è di più “Progressive” di questo?
E com’erano e come sono oggi i Sintonia Distorta sul palco? Per Simone e Giampiero, com’è cambiato il vostro modo di “affrontare” la dimensione live?
S.P.: Ricordo ancora il primo live, d’estate, in un circolo. C’era un ampio spazio all’aperto… e pure parecchia gente! C’era ancora tanto interesse per la musica dal vivo e per delle band sconosciute o di ragazzini come la nostra! Caspita, sono già passati venticinque anni! Ed, in effetti, – ahinoi – i tempi sono proprio cambiati! Di certo il gestore di quel circolo non ci chiese “Quanta gente mi portate?”. Da lì ne sono seguiti, fortunatamente, molti altri… fino ai tempi più recenti, che, va detto, sono stati tra i più difficili! All’inizio ero veramente incontenibile… ballavo mentre cantavo (ciò pure a discapito della performance), dicevo delle grandi stupidate, forse ero pure meno “teso”, più incosciente… insomma, ero giovane!! Ahahah!
Col tempo ho preferito dare molta più importanza alla “resa”, all’utilizzo della mia voce, piuttosto che “a fare del cinema”, anche se mi piace ancora coinvolgere il pubblico, fare battute. La gente che mi assiste dice di trovarmi a mio agio sul palco… e forse dicono bene! Ma dipende anche molto dal riscontro… capisci subito, dopo i primi due pezzi, se si sta creando quel giusto feeling con chi ti sta di fronte…
Oggigiorno arrivo forse più “teso” al live, ma perché tengo al fatto che i Sintonia possano fare bella figura, che io possa fare bella figura e che quell’empatia riesca ad arrivare, per godere davvero di un bel concerto… sia da sotto il palco… che dal palco stesso!
G.M.: Sono sicuramente più sicuro; ma una certa dose di paura c’è sempre e, sinceramente, spero rimanga… È quella che mi permette di concentrarmi e dare il meglio di me. Il palco è vita, è quanto di più veritiero possa esistere per un musicista: il vero banco di prova, il pubblico.
Dopo questi primi venticinque anni di Sintonia Distorta, Simone, sei ancora saldamente al comando della “nave”. Ma come mai il progetto ha subito una lunga serie di avvicendamenti al suo interno durante il suo viaggio? Al netto di tutto, qual è il tuo bilancio di questo primo quarto di secolo di vita della band?
S.P.: Tanti piccoli, grandi, sogni si sono tramutati in realtà: il bilancio, perciò, non può che essere positivo! Ci sono voluti quasi vent’anni per arrivare al primo, vero, disco? E chissene! Si vede che era il momento giusto! E poi, appunto, il viaggio non è stato così lineare e in discesa; la strada è stata impervia e lungo il percorso tanti, tantissimi, sono stati gli avvicendamenti. Me lo sono chiesto spesso, sai, il perché… Sempre “colpa” degli altri e di chi ha lasciato? Credo di no! Sempre colpa di chi, come me, è rimasto? Credo di no! La verità sta sempre “nel mezzo”… Quando si è più giovani si è meno aperti al confronto, forse, e si considera la propria prospettiva come la migliore… Col tempo si cresce, come persona, e quindi come individuo all’interno di un “gruppo”. Ma c’è anche l’altro lato della medaglia… A me va, senza ombra di dubbio, il merito, se così lo vogliamo chiamare, di averci creduto, sempre e nonostante tutto! E di aver seguito certe mie convinzioni! Ok, non sono “nessuno” e mai lo diventerò (e non è di certo tra le mie aspettative!)! Ma scrivo, compongo, canto, faccio una musica che adoro, con tutta la libertà di espressione che si può avere. Condivido tutto ciò con altre persone, ragazzi, che considero amici, prima ancora che musicisti… Vi sono persone, tante, in giro per il mondo che apprezzano la nostra musica, che conoscono le nostre canzoni! Dici poco? E chi ci avrebbe mai creduto? Io l’ho fatto, e ora ne sono fiero!
Una curiosità: sulla vostra pagina Facebook, alla voce “Altri artisti che ci piacciono”, compaiono quattro band metal (Labyrinth, Helloween, Iron Maiden, Lost Horizon) e i Nomadi (!). La domanda, semplicemente, è: perché?
S.P.: Perché la musica è bellissima! In ogni sua forma… Io sono nato e cresciuto ascoltando Iron Maiden ed Helloween (quello ormai lo sanno anche i sassi! Ahah!) ma pure i Nomadi, Gianluca Grignani e diversa musica leggera italiana. Considera che nelle mie (tarde) serate di ascolti al lettore-CD o allo smartphone, nelle cuffie possono passare i Gotthard, i Journey, ma anche Mango, Riccardo Sinigallia, Tiziano Ferro, oppure ancora la PFM, il Banco del Mutuo Soccorso, oppure eccezionali band dell’attuale scena Prog, come i “cugini” Anacondia, The Forty Days, Magnolia e molto altri ancora… Lo so, sono un caso patologico!
G.M.: Perché qualcosa andava messo! Ahahah! In realtà io ascolto di tutto un po’, dal rock al pop, jazz, classica e persino opera ed operetta, non tralasciando i mostri sacri del Prog settantiano e la scena Progressive attuale, soprattutto italiana, che è enormemente in fermento!!!
Cambiando discorso, il mondo del web e dei social è ormai parte integrante, forse preponderante, delle nostre vite, in generale, e della musica, in particolare. Quali sono i pro e i contro di questa “civiltà 2.0” secondo il vostro punto di vista per chi fa musica?
G.M.: Tra i pro sicuramente la possibilità, quantomeno teorica, di poter accedere ad un pubblico più vasto; dico teorica perché poi, nella realtà, ci si scontra con la mancanza di voglia di scoprire qualcosa di nuovo da parte dell’ascoltatore medio. E quindi, quello che potrebbe essere un vantaggio, ahimè, si tramuta spesso nel più grande degli svantaggi: se non sei famoso, non ti cerca nessuno, e rischi di passare non in secondo piano, ma proprio sullo sfondo…
S.P.: Concordo con quanto dice Giampiero; anche se, c’è da dire, che tante persone di quelle che ad oggi possiedono i nostri album o che ci seguono con piacere, hanno conosciuto i Sintonia anche attraverso lo splendido lavoro di “promotori appassionati”, come te, Donato, come Gianmaria Zanier, o Anna Biscari, o Max di Prog Polis, Athos Enrile, Max Salari, Luca Paoli e tanti, tanti, tanti altri… Insomma, il web e i social, se usati bene e con intelligenza, hanno la loro utilità!
E quali sono le difficoltà oggettive che rendono faticosa, al giorno d’oggi, la promozione della propria musica tali da ritrovarsi, ad esempio, quasi “obbligati” a ricorrere all’autoproduzione o ad una campagna di raccolta fondi online?
S.P.: Anzitutto le possibilità delle etichette, specie nel campo delle cosiddette “indipendenti”, sono molto più limitate oggi, rispetto a 20-30 anni fa! Per esempio è scomparso il ruolo del “produttore esecutivo”, ovvero di quella figura che – credendo in un artista o una band – investe in prima persona per cercare di offrire allo stesso/agli stessi le giuste condizioni per la produzione di un disco, o la sua promozione o l’organizzazione dei seguenti live! I siti di crowdfunding dimostrano proprio come ad oggi sia il musicista, sostanzialmente a prescindere dal genere, ad essere “imprenditore di se stesso”! C’è già da considerarsi fortunati, come Sintonia, a godere della collaborazione di Loris e della Lizard, che non ci fanno mai mancare il loro aiuto, ma la situazione è oggettivamente difficile; una produzione “professionale” richiede molte ore di lavoro e la necessaria competenza e tutto ciò ha, anche giustamente, un costo. E meno male che in ambiti come il Prog, dove ci sono ancora tanti appassionati, una certa promozione, come si diceva prima, avviene spesso a titolo gratuito, in primis per il piacere degli stessi “divulgatori”… Vogliamo parlare del mondo “pop”? Lì ci sono valanghe di “offerte” e “promozioni”… ma passerei oltre… davvero!
G.M.: Noi abbiamo prodotto il nostro lavoro con l’aiuto della casa discografica. Diciamo che un tempo, sarebbe stata la casa discografica ad accollarsi tutte le spese ed i rischi, andando poi a fare molta promozione con i live. Oggi, purtroppo, produrre un disco è quasi un lusso, per certi aspetti. Lo paghi tu musicista, e speri di recuperare le spese…
Facendo un parallelo tra letteratura e musica, tra il mondo editoriale e quello discografico, è, non di rado, pensiero comune etichettare un libro rilasciato tramite self-publishing quale prodotto di “serie B” (o quasi), non essendoci dietro un investimento di una casa editrice (con tutto il lavoro “qualitativo” che, si presume, vi sia alle spalle) e, in poche parole, un giudizio “altro”. In ambito musicale percepite la stessa sensazione o ritenete questo tipo di valutazione sia ad uso esclusivo del mondo dei libri? Al netto della vostra esperienza, consigliereste alle nuove realtà che si affacciano al mondo della musica la via dell’autoproduzione?
S.P.: Eh, il rischio (di fare quel tipo di considerazione) c’è! Io stesso, lo riconosco, di fronte ad un’”autoproduzione” sono sempre stato un filo più scettico. Forse negli ultimi anni questa differenza – vuoi anche la presenza di un maggior numero di strumenti (applicazioni, software, ecc.) che ti permettono di realizzare prodotti molto meno distanti da quelli di tipo professionale – si è assottigliata. Ma ritengo che il supporto di un’etichetta – a patto che (vedasi il nostro caso con Lizard) si tratti di una realtà seria, con esperienza e fatta di persone competenti – sia ancora importante, possa dare anzitutto credibilità al tuo prodotto e, non di meno, fungere da guida in determinate scelte progettuali, artistiche e di mercato.
G.M.: Credo di no, l’importanza di una buona casa discografica oltre ad un ottimo produttore artistico, sono sicuramente un punto di forza per la giusta presentazione di un nuovo progetto. Credo, e lo dico col senno di poi, che sia meglio aspettare magari più tempo e presentarsi con un prodotto più maturo e affinato, che non presentarsi con materiale di qualità modesta; potrebbe, ed è un male del presente, compromettere irrimediabilmente il futuro.
E qual è la vostra opinione sulla scena Progressiva Italiana attuale? C’è modo di confrontarsi, collaborare e crescere con altre giovani e interessanti realtà?
G.M.: Il Progressive ed i suoi “dintorni”, per rubare l’espressione tanto cara all’ amico Gianmaria Zanier, è più attiva che mai!!! Certo sarebbe bello avere più possibilità di esibirsi anche al di fuori di certe situazioni ad hoc, dove peraltro si trovano i gruppi affermati… ciò permetterebbe uno scambio non solo culturale maggiore, ma anche una maggiore conoscenza di gruppi e musica nuova che rischia di rimanere sommersa a causa solo del poco spazio live.
S.P.: Sì, concordo con quanto dice Giampiero, aggiungendo che, almeno per quanto ho potuto riscontrare (piacevolmente!) nella la mia/nostra piccola esperienza, soprattutto in ambito Prog, vi è una minor competitività ed una maggior tendenza al confronto, allo scambio, alla reciproca curiosità! Con diversi musicisti, specie nell’ambito del roster Lizard, sono in contatto; ed è bello vedere come il complimento sincero, piuttosto che il consiglio o il piccolo aiuto, lascino spazio a certe “gelosie” o ad una certa “chiusura” che poi, invece, finisci per ritrovare magari nella “x” band della tua città o del tuo quartiere!
Esulando per un attimo dal mondo Sintonia Distorta e “addentrandoci” nelle vostre vite, ci sono altre attività artistiche che svolgete nella vita quotidiana?
S.P.: Tralasciando gli altri due progetti musicali (più recenti e che porta avanti parallelamente ai Sintonia), Seventh Season ed Émonis, ho sempre adorato, anche se vi dedico sempre troppo poco tempo, il disegno a meno libera. Sono anche un discreto disegnatore… Di recente mi diletto in questa passione per fare felici i miei figli. Anzi, è proprio ricominciando a dipingere con loro, che è tornata in me una stramaledetta voglia di ricominciare a realizzare qualche dipinto… chissà che per Natale non mi arrivi un bel cavalletto e qualche tela… Magari la prossima copertina Sintonia potrebbe avere un nuovo stile! Ahah!
G.M.: No, nessun’altra, a parte una passione per i funghi che mi porta spesso a girovagare per la Lombardia e oltre alla ricerca di un bel raccolto… In fondo, è natura, quindi arte anche quella, no?
Simone mi parli del progetto Émonis?
S.P.: È un percorso, avviato solo un paio d’anni fa, che sto portando avanti (peraltro, come detto in precedenza, contestualmente ad un terzo progetto – denominato Seventh Season – in cui mi cimento, insieme all’amico, nonché virtuoso musicista, Federico Farné, per dare alla luce alcuni brani di stampo heavy metal) parallelamente al progetto Sintonia Distorta, e che mi vede spaziare, come solista, in un ambito più “pop”. Come ti spiegavo prima, non ho mai nascosto il mio apprezzamento per un certo “pop italiano” ed era da diverso tempo che mi sarebbe piaciuto produrre qualcosa anche in questo “terreno”. Il tutto è partito quasi per caso (o forse no, visto che le cose proprio per caso non credo avvengano!). Un “certo” Luca Pernici (già produttore e musicista per Ligabue e Mario Biondi) ed un “certo” Cosimo Zannelli (chitarrista per vari artisti, tra cui Piero Pelù, Litfiba, Bianca Atzei, Patty Pravo, Gianni Morandi, ecc.) vennero in possesso di alcuni miei brani. Credo vi trovarono qualcosa di interessante, poiché di lì a poco (eravamo intorno alla metà del 2017) mi contattarono proponendomi di fare qualcosa insieme… Riesci ad immaginare la mia emozione mista a vero stupore?
È così che nacque “Love is all we need”, primo singolo con cui ebbi l’onore di lavorare insieme a questi grandi artisti (a cui si aggiunse pure Barny, storico bassista dei Liftiba) e che ho poi avuto il piacere di vedere in rotazione radiofonica. E siccome poi, “l’appetito vien mangiando”, ecco arrivare il secondo singolo (“Avanti March!”), uscito lo scorso settembre, e che ha anch’esso goduto di ottimi riscontri, nonostante sia ancora più distante, sia dai Sintonia, che dallo stesso “Love”, visto che strizza l’occhio ad un certo rap contemporaneo! Insomma, un percorso grazie al quale stanno nascendo diverse collaborazioni, nel quale mi diverto – perché affrontato senza particolari ambizioni o scadenze stringenti – e con cui posso “sperimentare” in completa serenità e libertà!
E parlando, invece, di gusti musicali, di background individuale (in fatto di ascolti), vi va di confessare il vostro “podio” di preferenze personali?
S.P.: Beh, in parte si è già delineato… Iron Maiden e Helloween su tutti, senza se e senza ma!
Per il terzo posto è davvero difficile, mi vengono alla mente almeno una decina di band o artisti che vi potrei collocare e farei fatica a propendere per una scelta o l’altra… I Gotthard, come detto, ma anche i primi Skid Row erano tanta roba! Gli Europe, i Queensrÿche, certi dischi degli Stratovarius o di Ozzy… Tanti, troppi… fortunatamente!
G.M.: In ordine sparso (quindi senza fare classifiche), direi dalla PFM ai Metallica, dai Nomadi a Luis Armstrong e Miles Davis…
Restando ancora un po’ con i fari puntati su di voi, c’è un libro, uno scrittore o un’artista (in qualsiasi campo) che amate e che consigliereste di approfondirne la conoscenza a chi sta ora leggendo questa intervista?
S.P.: Devo ammettere di essere, ahimè, uno scarso lettore. Credo sia proprio una questione di “approccio”, sempre un po’ troppo pigro, da parte mia, nei riguardo di un libro. Ed è un male, lo so! Uno degli ultimi acquistati (ed ovviamente ancora da completare! Ahah!) è la biografia di Bruce Dickinson. Ok, sono di parte, ma, per ciò che ho letto finora, l’ho trovato un racconto molto interessante, ricco di curiosità e aneddoti (che alle volte divengono automaticamente degli spunti di riflessione!). Una panoramica su di un personaggio dal carisma smisurato e su di una persona molto intelligente e vitale, che consiglierei a chiunque, al di là che si possa essere o meno un fan degli Iron o di un certo tipo di musica!
G.M.: Io ho sempre avuto un debole per Vivaldi. In particolare le ‘Quattro stagioni’, opera forse più nota, ma che mi ha da sempre stimolato nell’ascolto di quello che io definisco la “conversazione” tra strumenti… È molto istruttivo ascoltare come le varie sezioni strumentali “parlino” tra loro come in un botta e risposta.
Tornando al giorno d’oggi, alla luce dell’emergenza che abbiamo vissuto (e che stiamo ancora vivendo), come immaginate il futuro della musica nel nostro paese?
S.P.: La pandemia è stata, e purtroppo ancora è, devastante! Sia in termini di perdite di vite umane e di sofferenza, sia in termini di collasso economico, lavorativo, artistico, e pure sociale, per diversi aspetti! Anche la musica, e tutta la “catena” lavorativa che vi sta dietro, sta pagando uno scotto importante! Già negli ultimi anni diversi locali “storici” hanno dovuto chiudere a fronte di un cambiamento sempre più radicale delle abitudini e del modo di fruire musica. Figuriamoci con lo strascico che questa “apocalisse” si porterà dietro per diverso tempo! Già si stanno delineando delle “nuove forme”, come le esibizioni in streaming, che del vero live hanno veramente poco (senza un pubblico con cui condividere l’atmosfera che live è?). Lo comprendo, ci mancherebbe! È necessario fare di necessità virtù, specie in un momento come quello attuale… Ma voglio anche pensare in positivo, lo dico sempre! La storia dell’uomo, delle sue vicende, delle abitudini, persino delle mode, è un po’ ciclica a pensarci bene… Perciò, come negli ultimi anni sta tornando in auge il vinile, il mio auspicio, sincero, è che torni un certo modo di ascoltare e seguire la musica… che risalga di quotazione il CD fisico… che si ridimensioni una certa fruizione un po’ troppo veloce e distratta (“musica liquida” ho sentito dire… povera musica!)… e che quindi torni la voglia di seguire ed ascoltare gli artisti, le band, nei locali, agli eventi, dal vivo… Sarà dura, ma dovrà esserci un punto di ritorno!
G.M.: Volere è potere. In particolare io sono uno di quegli infermieri che è stato impegnato in prima linea nella zona rossa e nel momento più critico di questa pandemia. Vanno rigorosamente rispettate poche e semplici regole; molto è stato rimandato al 2021, anche per la mancanza di volontà nel sapersi assumere certe responsabilità e sobbarcarsi ulteriori costi sicuri a fronte di incerti ricavi… Bisogna saper “andare oltre” facendolo però con i piedi ben piantati per terra. Sono convinto che si possano trovare le adeguate soluzioni.
Prima di salutarci, c’è qualche aneddoto che vi va di condividere tratto dal mondo Sintonia Distorta?
G.M.: Uno in particolare… Live che stava andando benissimo, serata calda. Buon audio, nessun problema tecnico né in soundcheck né fino a quel momento, ma… ad un certo punto salta completamente la corrente!!! Abbiamo perso circa venti minuti a capire cosa fosse accaduto, perché non riuscivamo a ridare tensione alla rete… Finché, nascosta in un angolo sul palco, vediamo una “ciabatta” con una bottiglia di acqua rovesciata!!! E di chi mai poteva essere quella bottiglia? Di Simone!!! Che ancora oggi, a distanza di quasi dieci anni, viene ancora preso in giro ad ogni live!!! Ahahah!
S.P.: Confermo!!! Che spasso (ora che il live è terminato, ovviamente!) quell’episodio… e che tensione nell’aria, ancora oggi, quando mi aggiro, anche in sala prove, con una bottiglietta d’acqua o birra o di qualsiasi altro liquido tra le mani! Ahahah!
E per chiudere: c’è qualche novità sul prossimo futuro dei Sintonia Distorta che vi è possibile anticipare?
S.P. – G.M.: Basterà seguirci sui nostri canali. Le novità saranno sicuramente interessanti, sia per quanto riguarda i live che… dai, non sveliamo tutto, seguiteci (su Facebook, profili personali o della band, o sul sito web: www.sintoniadistorta.it)!
Grazie mille ragazzi!
S.P. – G.M.: È sempre un piacere – e pure per noi motivo di stupore ogni volta! – sapere quanto interesse ci possa essere sulla nostra musica, specie da parte di persone così appassionate e competenti come te. Perciò grazie di vero cuore a te, caro Donato!
(Dicembre, 2020 – Intervista tratta dal volume “Dialoghi Prog. Il Rock Progressivo Italiano del nuovo millennio raccontato dai protagonisti“)
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