Un caro benvenuto a Samuele Desogus (Sa.D.), Simone Desogus (Si.D.), Simone Meli (S.M.), Stefano Sanna (S.S.) e Fiorella Piras (F.P.): Overture.
Sa.D.: Salve Donato, grazie per l’invito.
Si.D.: Ciao Donato.
S.M.: Un saluto a te e grazie per averci concesso questo piacevole spazio.
S.S.: Ciao!
F.P.: Un saluto a tutti!
Iniziamo la nostra chiacchierata con una domanda di rito: come nasce il progetto Overture e cosa c’è prima degli Overture nelle vite di Samuele, Simone D., Simone M., Stefano e Fiorella? Ad esempio, i Sons of the Rascals…
Sa.D.: Il progetto Overture nasce dalla voglia di giovani musicisti di creare musica propria. Dopo un iniziale orientamento verso il genere Pop/Rock (ai tempi il nome della band era appunto Sons of the Rascals), trovammo nel Rock Progressivo il genere che meglio degli altri poteva rappresentare i gusti e le influenze di tutti i componenti. Un genere affascinante capace di mescolare la raffinatezza ed eleganza della musica classica all’istinto ed energia del rock.
Si.D.: Prima degli Overture, nella mia vita musicale, esisteva il progetto Sons of the Rascals. Iniziai a suonare la batteria da autodidatta in questa prima formazione intorno al 2009. Il repertorio che si proponeva, come detto da Samuele, non era Rock Progressive ma prevalentemente pop rock italiano. Suonavamo le cover di band come Nomadi, Fabrizio De Andrè, ed altri cantautori. Invece l’arrivo del Rock Progressive all’interno della band si deve a Stefano Sanna. Ricordo una sera, dopo un live in piazza, ci rifugiammo nella sua macchina ad ascoltare un disco di “musica particolare”, lontana dal classico pop che si ascoltava solitamente, il disco si intitolava “PFM live in Japan”. La prima traccia era un brano chiamato “La Carrozza Di Hans”, rimasi folgorato! Da quella scoperta in poi, continuai insieme alla band ad approfondire questo linguaggio musicale, finché si decise di inserire nel repertorio delle cover della PFM e con essa, quindi, strutture più complicate, poliritmie, insomma un nuovo modo di suonare. Naturalmente non ci soffermammo solo alla Premiata, con il tempo scoprimmo altre band fino ad arrivare ad un repertorio di sole cover Rock Progressive.
S.M.: Durante il periodo dei Sons of the Rascals, per quanto mi riguarda c’era sempre la musica, in forma diversa per generi musicali, e suonata nella mia provincia di residenza, Oristano.
S.S.: Fui contattato da Simone Desougus perché cercavano un bassista. Quando sono arrivato nei “Rascals” c’era già un repertorio orientato verso il pop rock italiano. Ricordo che la maggior parte dei pezzi erano dei Nomadi. Poi, come spesso accade, ci si influenza a vicenda: ricordo abbastanza bene di aver suggerito alcuni dischi agli altri, più orientati sul Rock Progressivo (soprattutto della PFM), e dopo poco tempo c’è stata la svolta verso questo genere. Abbiamo fondato quindi un nuovo gruppo col nome “Overture” (inizialmente Ouverture) con l’intento di produrre musica nostra, ispirata al genere Progressivo e allo stesso tempo aperta ad altre influenze e al background personale di ognuno di noi.
F.P.: Prima degli Overture il mio amore per la musica era davvero forte ma inespresso. Era difficile nella mia città trovare un gruppo nel quale poter suonare o cantare, era impossibile trovare posto nei diversi gruppi già formati. Mi sembrava che tutti riuscissero a realizzare il mio sogno, tranne io. Avrei voluto cantare, avrei voluto suonare. Soffrivo perché le persone che mi circondavano con comprendevano quanto fosse importante per me riuscire ad esprimermi in un gruppo. Non mi era mai stata data quest’opportunità. Tutto questo sarebbe rimasto probabilmente un “avrei voluto” se non avessi conosciuto Stefano e subito dopo la band.
E come cade la scelta sul nome?
Sa.D.: Ai tempi (gennaio 2010) il nome Overture ci sembrava quello più appropriato. Fa riferimento a ciò che accade all’apertura di ogni opera lirica in quanto l’overture è quel brano, prettamente strumentale, che in qualche modo rappresenta l’opera stessa racchiudendo in esso elementi delle musiche che verranno presentate successivamente. Pensammo ad un’analogia simile, dove il nome rappresenta questa mescolanza di generi dovuti ad influenze musicali diverse. Tuttavia, il nome, seppur affascinante, non si è rivelato particolarmente originale negli anni.
Si.D.: Già da tempo il nome Sons of the Rascals iniziava a starci stretto, anche perché il pubblico era abituato ad associare quel nome ad una cover band di classici del pop italiano. Era quindi necessario ad ogni modo trovare un altro nome. Se non erro era il 31 dicembre 2009 e noi, come band, ci riunivamo in sala prove per festeggiare il Capodanno. Non ricordo chi fu precisamente ma mise nell’impianto audio l’album “Dracula Opera Rock”, sempre della PFM. La prima traccia si chiamava “Ouverture”, un brano totalmente musicale, nessuna linea vocale ma solo musica, musica che poi rivelava il contenuto di quello che sarebbero state le altre tracce. Overture, l’incipit dell’opera, bellissimo! Tra un bicchiere di spumante e l’altro si decise il nome definitivo della band, ci affacciammo così con il nome Overture al 2010.
S.M.: Il nome fu scelto prima del mio ingresso nel gruppo, ma sta a significare, appunto, l’inizio di qualcosa, prendendo spunto dall’ouverture strettamente musicale.
S.S.: In realtà non ci siamo impegnati troppo nella scelta del nome. Tra le varie proposte abbiamo scelto questo perché richiama la musica classica, fondamentale contaminazione nel Progressive Rock.
F.P.: Quando sono entrata nel gruppo il nome era già Overture! Se non ricordo male, però, un periodo avevamo provato a cambiarlo ed ognuno di noi aveva appuntato dei nomi in un foglio, poi nessuno di quelli ci corrispondeva. Alla parola “Overture” è quasi automatico venga in mente la musica classica e ciò che rappresentava in essa. A me piace, però, pensare che il nome ci identifichi perché, così come la parola “Apertura”, il nostro genere è aperto, lascia spazio a tanti strumenti ed accoglie tante sfumature di tanti altri generi. Adoro pensare che anche noi siamo portatori in qualche modo, con la nostra musica, di una forma mentale aperta!
C’è una frase che mi ha colpito leggendo la vostra biografia: Nonostante i differenti gusti musicali dei singoli, si trova nel Rock Progressivo il genere capace di soddisfare e caratterizzare le opere del gruppo. Come siete, dunque, riusciti a “quadrare il cerchio” della vostra musica?
Sa.D.: Io, essendo giovanissimo agli inizi, posso tranquillamente dire di aver affinato i miei gusti musicali all’interno della band. Come ho detto prima, il Progressive Rock è quel genere che più si presta alle varie contaminazioni.
Si.D.: Beh, ognuno di noi arrivava da percorsi musicali differenti. Io, nel 2009, non frequentavo ancora il Conservatorio né studiavo musica, quindi, a differenza degli altri componenti, ascoltavo cantautorato italiano. Naturalmente la scoperta di altri generi ha portato dei cambiamenti nel mio modo di suonare, modo che sicuramente ha giovato a favore del progetto. Quando iniziammo a comporre avevo già le idee chiare di come doveva suonare la mia batteria in quel contesto; con il Rock Progressive posso dire perciò di aver raggiunto la mia espressione musicale ideale.
S.S.: Come dicevo prima, il Rock Progressivo è uno dei generi più aperti alla contaminazione e alle sperimentazioni. Per questo motivo è stato naturale ispirarci a questo genere.
Dopo alcuni avvicendamenti, nel 2015 arriva Simone M. (con Luigi Ventroni). Come sei entrato in “rotta di collisione” con la band?
S.M.: Sono entrato negli Overture dopo aver conosciuto Simone Desogus in Conservatorio a Sassari. Chiacchierando da colleghi del corso di Didattica della Musica, lui ha scoperto che il mio genere preferito era il Progressive, e io ho scoperto che erano alla ricerca di un Tastierista. Ed eccoci qua.
E con una formazione a sei, che vede anche Fiorella Piras al flauto, registrate il vostro primo album: “Overture” (2018). Mi raccontate la genesi dell’album? Quali sono state le fonti d’ispirazione che vi hanno “aiutato” nella sua creazione?
Sa.D.: Il progetto nasceva già con l’idea di produrre musica inedita e, quindi, un album. Questo richiese, però, diversi anni, un po’ per i diversi cambi di formazione, un po’ per diversi impegni personali. Tuttavia il tempo si è reso necessario per curare la produzione in ogni sua fase, dalla composizione al mastering, permettendo così di raggiungere un risultato apprezzabile e che ci soddisfacesse appieno. Le influenze sono diverse, tra queste diversi pilastri del genere come Genesis e PFM.
Si.D.: L’idea di un album arriva molto prima del 2018, diciamo che i tempi sono stati molto lunghi, appunto, per i cambi di formazione e impegni artistici esterni (prevalentemente di studio). Avevamo già alcuni brani pronti e molti altri inconclusi, mancava solo il tempo. L’album iniziò a prendere forma successivamente. Per quanto mi riguarda, nei brani che ho suonato mi sono ispirato a diversi generi musicali. Era un periodo un po’ particolare quando iniziai a registrare, ascoltavo i Porcupine Tree, Toto, Steven Wilson, qualcosa dei Genesis e tanti altri. Perciò sì, credo che gran parte dell’ispirazione dell’album derivi da questi ascolti.
S.M.: I processi di scrittura dell’album erano a buon punto già prima del mio ingresso, in quanto i brani sono stati composti, anche se in forma diversa dal risultato finale che si sente nell’album, dai componenti precedenti. Abbiamo cercato di svecchiare un po’ le idee e di modificare dei suoni e degli arrangiamenti. Ognuno ha messo il suo e per quanto mi riguarda ho cercato di non modificare troppo le sezioni dei soli di tastiera composti da Mattia Serra e Salvatore Turtas.
S.S.: La fase che ha portato alla nascita del nostro primo disco è stata molto lunga. Da una parte, come già ricordato, dagli altri, a causa dei vari impegni personali e dai numerosi cambi di formazione, dall’altra siamo stati noi a decidere di fare le cose con calma in modo da produrre qualcosa che ci soddisfacesse appieno. Dall’inizio della fase compositiva, c’è stata una vera e propria crescita personale e musicale di ognuno di noi. Non avevamo molta esperienza all’inizio, per cui possiamo dire che il disco si è evoluto parallelamente alla nostra formazione artistica, e rappresenta la fine di un percorso durato molti anni. Ci siamo ispirati ai gruppi e alle canzoni che ascoltavamo e suonavamo live (suonavamo diverse cover dei grandi classici). In più, nel nostro stile, sono confluite anche altre esperienze musicali relative ad altri generi che ognuno di noi suona o studia al di fuori del progetto. Fondamentale è stato anche il contributo degli ex membri (Andrea, Mattia e Salvatore), che hanno contribuito con le loro idee a definire il materiale.
F.P.: Il percorso che ha portato all’album non è stato facile ed il risultato è nato da tanta pazienza e passione da parte di tutti. Ho imparato molte cose nel periodo delle registrazioni, tra queste il fatto che non saremo mai completamente soddisfatti dei risultati che otterremo, ma va bene così. Va bene metterci impegno e dedizione, finché si pensa che un’idea musicale possa ancora avvicinarsi alla sua forma perfetta. Dei gruppi che mi hanno ispirata, invece, voglio citare solo i Genesis e ringrazio ancora chi mi ha fatto dono del cd Prog più significativo che abbia mai posseduto, “Nursery Cryme”. Le fonti d’ispirazione più grandi, però, son stati: Mattia, Simone D., Andrea, Salvatore, Stefano, Samuele, Luigi e Simone M. Ho ascoltato, amato tanto il modo di suonare di ognuno e nel corso degli anni mi son lasciata contagiare.
Vi va di spendere qualche parola sui testi dei brani piuttosto “cupi” e fantastici? E come mai questa alternanza italiano/inglese?
Sa.D.: Sui testi preferirei lasciare la parola ai miei compagni, in quanto sono senz’altro più ferrati in materia. Quello che cerchiamo di fare, però, è creare atmosfere sonore che rappresentino il contenuto del testo. L’alternanza della lingua, invece, è stata una scelta quasi casuale, ed è stata una delle cose che ha creato più dissenso da parte della critica.
Si.D.: I testi dell’album nacquero a catena da diverse penne, non ricordo sia stato mai scelto un tema specifico, sono venuti fuori naturalmente. Sì, è vero, sono dei testi molto fantastici, favolistici ed io oserei dire immaginifici. Sono sostanzialmente dei racconti che accompagnano l’ascoltatore nel nostro mondo. Per quanto riguarda la scelta della lingua, alcuni brani suonavano decisamente meglio in inglese, altri più in italiano.
S.M.: Come per la musica anche i testi sono stati pensati e scritti prima del mio ingresso. Ognuno, però, ha la sua storia che viene rappresentata in musica.
S.S.: La presenza di testi in italiano e testi in inglese è stata una scelta piuttosto contestata dalla critica. Non abbiamo pianificato la cosa, diciamo che i pezzi sono nati così e abbiamo mantenuto l’idea originale fino alla fine. Col senno di poi sarebbe stato meglio valutare questa cosa, ma penso che nell’arte il bello stia anche nell’imperfezione. Cercheremo di valutare meglio alcune cose per il futuro, non si finisce mai di migliorarsi e di imparare.
F.P.: Non ho scritto nessuno dei testi del primo CD. Avrei voluto, però, potermi vantare di aver scritto “Il mendicante” o “Crop circle”!
Molto intrigante è l’artwork onirico creato da Mauro Mondiello. Quanto di vostro c’è nella sua opera?
Sa.D.: Tra le cose più riuscite vi è senz’altro la copertina di Mauro Mondiello che è stato un maestro nel rappresentare, in maniera non scontata, gli elementi che compaiono nei testi delle canzoni. Mi piace immaginarla come fosse la realizzazione grafica di una piccola “overture” del disco!
Si.D.: Mauro ha fatto un lavoro spaziale, ha creato una copertina magnifica, apprezzatissima dalla critica. La maggior parte del lavoro è stato fatto da lui, noi abbiamo solo chiesto di rappresentare nella copertina il contenuto musicale dell’album. Per questo sono presenti alcuni dei personaggi citati nei testi.
S.M.: Dopo aver scelto Mauro come disegnatore della copertina dell’album, abbiamo cercato di rimanere più in contatto possibile, in modo da avere un continuo scambio di idee. Lui ha preso spunto dalle storie che vengono raccontate nei brani, inviategli in anteprima anche se in forma di bozze, mettendoci tutta la sua capacità e fantasia.
S.S.: Abbiamo concordato assieme il risultato finale con lui, tuttavia l’idea generale e il lavoro vero e proprio sono opera sua. A mio parere, è stato molto bravo nel dare alla musica la veste grafica che meritava. I dettagli grafici, come già ricordato, si possono ritrovare per la maggior parte nei testi delle canzoni dell’album.
F.P.: È stato bello collaborare con Mauro per la copertina, noi abbiamo dato dei suggerimenti poi lui ci ha stupiti! La copertina è come un quadro, non si può sempre spiegare, bisogna immergersi nella musica, guardare le immagini e tirar fuori da sé i significati.
Sorvolando sulla questione testi, come è stato accolto l’album da critica e pubblico?
Sa.D.: Siamo abbastanza soddisfatti, considerata anche la totale autoproduzione del lavoro.
Si.D.: L’album è stato accolto in maniera positiva sia dal pubblico che dalla critica in generale. Abbiamo avuto la fortuna di incontrare, già dai primi mesi di uscita, un’etichetta americana, la Melodic Revolution Records, che ha sparso il nostro lavoro in tutto il mondo.
S.M.: Considerato che non abbiamo voluto affidarci a chissà quali servizi di pubblicità e di diffusione, la risposta direi che è stata ottima. Siamo stati dapprima contattati tramite il nostro profilo Facebook da appassionati del genere provenienti da tutto il mondo, per poi stringere un contratto di collaborazione discografica con la MRR americana di Nick Catona e, successivamente, con l’italiana Ma.Ra.Cash Records di Massimo Orlandini.
S.S.: Direi abbastanza bene, considerato che è il nostro album di debutto.
F.P.: La critica è stata dolce nei nostri confronti e, ovviamente, questo è stato un segno positivo. Dal pubblico abbiamo ugualmente avuto un riscontro positivo e questo ci ha ripagati di tutto il lavoro fatto.
Il 2019 è un anno importante sul fronte live: il 6 settembre aprite il concerto de Le Orme a Thiesi (SS) e l’8 settembre partecipate al 2Days Prog+1 di Veruno (NO). Mi raccontate quelle esperienze?
Sa.D.: Due esperienze decisamente importanti e formative, soprattutto quella al 2Days Prog+1 di Veruno (uno dei festival più importanti della musica Progressive in Italia e non solo), dove il pubblico ci ha apprezzati fin dalle prime note. Una bella esperienza anche quella a Thiesi, non capita tutti i giorni di veder suonare personaggi storici del Progressive Italiano come Michi dei Rossi (Le Orme).
Si.D.: Sì, furono giornate molto impegnative e anche stressanti dal mio punto di vista, naturalmente trovarsi al cospetto di una band storica come Le Orme mette un pochino in soggezione. Ho avuto modo, prima del sound check, di scambiare due chiacchiere con Michi dei Rossi, ha parlato con la band e ci ha raccontato alcuni aneddoti e storie sul vissuto delle Orme. Comunque una bellissima esperienza anche se, purtroppo, non ho assistito interamente al loro spettacolo perché l’indomani dovevamo partire presto alla volta di Veruno. Fu un viaggio diurno da Olbia a Genova, arrivammo a Veruno, io e il tastierista, per le 23.45 credo. Eravamo stanchissimi, abbiamo giusto salutato tutto lo staff prima di andare a riposare in hotel. Il giorno dopo abbiamo suonato all’auditorium gremito di esperti del genere, persone incuriosite e musicisti. Un’esperienza indimenticabile! Siamo riusciti in quelle due ore ad accompagnare l’intero pubblico nelle nostre storie. A fine concerto ci siamo fermati a firmare qualche album e fare qualche foto, ci hanno fatti sentire una bella novità nel mondo del Prog.
S.M.: La data a Thiesi, in cui abbiamo suonato per Le Orme, è spuntata quasi all’ultimo grazie al nostro manager di allora Daniele Barrocu. È stato interessante conoscere i componenti delle Orme, formazione storica del nostro genere musicale, e un piacere averli sentiti suonare dal vivo. Subito dopo siamo partiti per Veruno, in quanto vincitori del concorso per band emergenti che viene organizzato ogni anno dalla redazione di Intervallo Prog. È il primo festival Progressive a cui assistevo e uno dei più importanti d’Europa. Un onore per me averci suonato e aver respirato quell’atmosfera musicale.
S.S.: Abbiamo avuto due occasioni molto importanti in breve tempo. Come già ricordato, la serata di apertura per Le Orme ci è stata proposta da Daniele Barrocu (all’epoca nostro manager). Al 2Days Prog+1 di Veruno abbiamo partecipato come vincitori di un contest organizzato dagli amici di Intervallo Prog, che ringraziamo per averci selezionato tra i concorrenti.
F.P.: Ero terrorizzata ed emozionata in entrambe le occasioni. Ricordo con emozione l’affiatamento di gruppo che ho percepito sul palco a Veruno, penso che sia stato uno dei concerti più belli degli Overture.
Restando in tema, come sono gli Overture sul palco? Cosa c’è da aspettarsi da un vostro concerto?
Sa.D.: Ognuno vive il momento del live a suo modo. Io personalmente cerco di farmi trasportare dalla musica e di trasportare l’ascoltatore nelle atmosfere sonore che creiamo.
Si.D.: Sul palco cerchiamo di divertirci il più possibile, la priorità comunque rimane l’esecuzione. Personalmente cerco di ritagliare momenti “teatrali” nella mia performance, cercando di immergermi nel brano con gesti ed espressioni che di riflesso coinvolgono il pubblico. Ogni brano ha la sua atmosfera e questa merita di essere vissuta intensamente.
S.M.: Cerchiamo di metterci più passione possibile, in modo che chi ci ascolta possa afferrare almeno un po’ della nostra voglia di suonare questo genere, poco suonato e conosciuto nella nostra isola.
S.S.: Cerchiamo di essere noi stessi, con i nostri pregi e difetti. Sarebbe bello in futuro poter aggiungere qualche dettaglio scenografico più curato, in modo da offrire ai nostri brani un’ulteriore dimensione artistica.
F.P.: É il momento dove ognuno di noi può capire realmente cosa prova l’altro che sta suonando. Penso che ciò che non siamo mai riusciti a dirci con le parole in sala ce lo siamo detti sul palco di fronte al pubblico, con le note dei nostri brani. Quindi gli Overture sul palco sono aperti al dialogo tra loro e con il pubblico.
So che è in arrivo il nuovo album. Vi va di anticipare qualcosa? C’è qualche legame, una sorta di continuità nelle tematiche e/o nei suoni, con “Overture” o è un lavoro, in qualche modo, “nuovo”?
Sa.D.: Qualche legame rimane, ma sarà un album sostanzialmente diverso. Quel che è sicuro e che l’impegno e la cura sarà la medesima, se non più minuziosa.
Si.D.: Penso sia molto diverso dal lavoro precedente, anche se qualche richiamo si potrà notare. Il nuovo disco prevede nuove atmosfere, tematiche diverse, più “umane” se vogliamo.
S.M.: Sarà un lavoro totalmente nuovo, questa volta tutto nella nostra lingua, e più moderno del precedente. Direi che non presenta continuità col nostro primo lavoro, ma esplora sonorità e tematiche diverse.
S.S.: Sicuramente sarà un lavoro differente, per molti motivi. Son cambiate molte cose dal periodo di gestazione del primo disco, e questo non può che riverberarsi su quello che produciamo. Penso sia importante per un artista evolversi nel tempo, anche se questo, spesso non viene accettato dagli ascoltatori più affezionati che magari si aspettano qualcosa di molto simile a quello che è già stato pubblicato. I brani del primo disco sono nati dall’apporto contemporaneo di tutti, per la maggior parte dei casi. Per il nuovo album abbiamo lavorato in modo differente: alcuni di noi hanno composto per intero alcuni brani che poi sono stati portati in sala per un ulteriore lavoro di gruppo.
F.P.: Penso che il nuovo album sarà speciale, lo penso perché solo dopo che hai avuto delle critiche puoi migliorare e capire in che direzione andare. Penso anche che sarà molto diverso dal primo, perché io stessa sono diversa dall’oggi al domani.
Sulla vostra pagina Facebook, intanto, è possibile ascoltare un frammento di uno dei nuovi brani e devo ammettere che sono stato colpito davvero positivamente dalla sua qualità (che lascia presagire l’arrivo di un nuovo, ottimo album).
Sa.D.: Il frammento è un’anteprima del materiale a cui stiamo lavorando per il nuovo album. Mi fa piacere sia stato considerato di qualità e posso assicurarti che la cura per ogni pezzo dell’album sarà la medesima.
Si.D.: Abbiamo pubblicato quello spezzone del brano per stimolare un minimo l’attenzione del nostro pubblico e per vedere soprattutto le reazioni.
S.M.: È un brano che ho composto prima del lockdown del 2020 e che avevamo già iniziato a provare in presenza. Poi la quarantena ha interrotto le prove ma a distanza abbiamo deciso di non fermarci e di registrarlo ognuno nella propria casa. Una piccola anteprima di parte del nuovo album.
S.S.: Il pezzo che abbiamo pubblicato, come breve anteprima, è stato composto, infatti, da Simone Meli. È solo una demo, chiaramente, di quello che stiamo producendo attualmente.
F.P.: Sono felicissima che abbia colpito positivamente. Spero possa essere lo stesso per gli altri brani e per il cd quando uscirà.
Cambiando discorso, il mondo del web e dei social è ormai parte integrante, forse preponderante, delle nostre vite, in generale, e della musica, in particolare. Quali sono i pro e i contro di questa “civiltà 2.0” secondo il vostro punto di vista per chi fa musica?
Sa.D.: Non sono totalmente contro, anche se non mi definisco uno particolarmente “social”. Volenti o nolenti, oggi è diventato un modo indispensabile per raggiungere facilmente più persone possibili e per chi fa musica questo è un vantaggio. Purtroppo, però, sono proprio le persone che sono disabituate o, in qualche modo, cambiate. Nessuno vuole approfondire i contenuti, si cerca solo di vederne distrattamente quanti più possibile.
Si.D.: Ormai si ricorre al web per ogni cosa e da un punto di vista pubblicitario direi che i social e tutte le annesse piattaforme hanno un potere micidiale. Ti basta un click e rimbalzi ovunque nel globo, quindi il progetto viene visualizzato, commentato e spesso anche condiviso a sua volta. I contro, per quanto mi riguarda, sono la libera fruizione del materiale “musica”, quest’ultima si trova ovunque. La gente non compra più i dischi. Si entra su YouTube, si utilizzano applicazioni che danno servizi musicali ed il gioco è fatto. A pagarne le conseguenze poi sono sempre gli artisti. Oggi, però, il mondo musicale si muove in questa direzione.
S.M.: Il pro è sicuramente quello di essere ascoltati facilmente in ogni parte del mondo, grazie a piattaforme come Spotify, ad esempio. Non vedo un contro dal mio punto di vista, in quanto l’obbiettivo, personalmente, è proprio quello di diffondere la nostra musica a più persone possibili e ricevere dei feedback.
S.S.: Non uso molto i social. Viviamo in un periodo storico dove l’immagine e l’apparire contano più del resto. In ambito artistico, avere una buona visibilità e una certa immagine, oggi, conta più del prodotto stesso. Non ci si sofferma più molto a pensare e indagare a fondo quello che, ad esempio, è racchiuso in un disco, capire i testi, il collegamento che hanno con la musica e la grafica, tutti dettagli difficilmente riconoscibili ad un primo ascolto. Capisco però che i tempi impongono di doversi adeguare a questi meccanismi se si vuole che la propria arte abbia visibilità e raggiunga il pubblico.
F.P.: Con i social è sicuramente più facile farsi conoscere e proporre la propria musica. Preferisco però ” il rimedio antico” del farsi conoscere attraverso concerti, serate. È meglio poter guardare in viso gli interlocutori e non attraverso uno schermo. Abbiamo bisogno di più contatto, di guardarci negli occhi, questo vale nella musica ed in tutto.
E quali sono le difficoltà oggettive che rendono faticosa, al giorno d’oggi, la promozione della propria musica tali da ritrovarsi, ad esempio, quasi “obbligati” a ricorrere all’autoproduzione o ad una campagna di raccolta fondi online?
Sa.D.: Per quanto riguarda il nostro genere, l’autoproduzione e il fatto di affidarsi ad etichette discografiche indipendenti rimangono scelte obbligate. Questo porta inevitabilmente ad un lavoro di autopromozione. Tutto ciò arreca sicuramente svantaggi in termini di tempo, ma il prodotto arriva all’ascoltatore in modo più genuino, senza limitazioni o modificazioni di ogni sorta magari imposte proprio dalle varie major.
Si.D.: Sono lavori dispendiosi. L’autoproduzione è una scelta naturalmente motivata non solo dal fattore economico ma anche artistico. Quando si lavora in uno studio privato non si ha il tempo di cambiare le cose, di fermarsi, di sistemare alcune sezioni, non esiste proprio, ogni ora è denaro. Con l’autoproduzione si fa un grosso investimento iniziale e poi ci si dedica totalmente alla realizzazione del disco senza spendere ulteriormente. Noi abbiamo la fortuna di aver un piccolo studietto dove lavoriamo senza la pressione del tempo, in più decidiamo noi come mixare il tutto e come far rendere al meglio le nostre idee.
S.M.: Anche questa è stata una scelta molto ragionata ma che, alla fine, si è rivelata la più facile e giusta. Dipende qual è la finalità cercata dal gruppo, se sfondare o semplicemente diffondere e farsi ascoltare. In base a questa scelta si cercherà di investire più o meno fondi. L’autoproduzione è un ottimo mezzo se si dispone delle giuste conoscenze in campo audio e se il risultato finale non ha compromessi.
S.S.: Oggi tutti possono produrre musica e la richiesta, soprattutto di un certo tipo di musica, è calata notevolmente. L’autoproduzione, con i mezzi attuali, consente di creare un prodotto di buona qualità in totale libertà nelle scelte artistiche, a patto di avere le idee chiare e saper sfruttare i mezzi a disposizione. Certo, dal punto di vista tecnico, sappiamo bene che uno studio di registrazione professionale e un buon tecnico del suono con anni di esperienza, sono tutt’altra cosa.
F.P.: Mi sono affidata all’esperienza degli altri componenti della band e non mi pento, visto il risultato.
Facendo un parallelo tra letteratura e musica, tra il mondo editoriale e quello discografico, è, non di rado, pensiero comune etichettare un libro rilasciato tramite self-publishing quale prodotto di “serie B” (o quasi), non essendoci dietro un investimento di una casa editrice (con tutto il lavoro “qualitativo” che, si presume, vi sia alle spalle) e, in poche parole, un giudizio “altro”. In ambito musicale percepite la stessa sensazione o ritenete questo tipo di valutazione sia ad uso esclusivo del mondo dei libri? Al netto della vostra esperienza, consigliereste alle nuove realtà che si affacciano al mondo della musica la via dell’autoproduzione?
Sa.D.: L’autoproduzione è anche un modo per mettersi alla prova, un modo per potersi chiedere se veramente si può arrivare ad un risultato di buona qualità con le proprie forze. Dopo l’esperienza del primo disco posso affermare che sì, questo è possibile, ma bisogna mettere in conto di dover investire molto tempo e pazienza. Non penso che chi è veramente interessato alla musica corra a vedere se il disco è autoprodotto oppure no, penso che conti di più quello che la musica riesce a trasmettere.
Si.D.: Dipende da cosa si vuol realizzare. L’autoproduzione è una scelta ed ora come ora è alla portata di tutti. Spesso mi trovo ad ascoltare alcuni dischi di colleghi e amici, mixati e gestiti da grandi produttori, e non noto sinceramente una grande differenza. Sì, magari qualche accortezza diversa ma niente di più. Forse nel mondo degli scrittori tutto ciò è visto diversamente e il fatto di aver una casa editrice alle spalle sicuramente aiuta la distribuzione e l’autore in sé. Nella musica non si può dire lo stesso ed io, personalmente, non penso sia un prodotto di serie B quello che esce da un’autoproduzione, anzi, se posso dirla tutta, apprezzo molto di più un lavoro “artigianale” fatto con pochi mezzi e massima resa che uno che funziona perché dietro ci sono soldi e produttori.
S.M.: Per quanto mi riguarda non è così, l’autoproduzione permette a chiunque di fare musica e a chiunque di far sentire quello che si ha da dire. Molto spesso la casa editrice va alla ricerca del compromesso per vendere più copie possibili, e averne a che fare funziona solo su determinati ambiti musicali, che non sono certo il nostro. Con le attuali tecniche di home recording si può ottenere degli ottimi risultati, quindi sicuramente consiglio l’autoproduzione.
S.S.: Per noi è stata una scelta. Abbiamo deciso da subito di investire nei mezzi necessari per poter curare ogni aspetto della produzione, dalla composizione alla registrazione del materiale (curata prevalentemente da Samuele), fino ad arrivare al prodotto finito. Anche se avere il supporto di una grossa casa editrice (o discografica nel nostro caso), offre sicuramente una marcia in più.
F.P.: Condivido in pieno il pensiero dei miei amici.
E qual è la vostra opinione sulla scena Progressiva Italiana attuale? C’è modo di confrontarsi, collaborare e crescere con altre giovani e interessanti realtà? E ci sono abbastanza spazi per proporre la propria musica dal vivo?
Sa.D.: La nuova scena Progressive Italiana, pur non essendo molto attiva, vanta band come i Barock Project, purtroppo molto più apprezzati all’estero che in Italia. Gli spazi per proporre musica dal vivo sono ristrettissimi qui in Sardegna, come penso anche nel resto d’Italia. Chi può dirlo, magari un’alternativa per proporre la propria musica potrebbero essere piattaforme di Live Streaming tanto in voga in questo periodo, anche se penso che una chat mai potrà sostituire il rapporto che si crea durante un concerto tra pubblico e artista.
Si.D.: Parto dall’ultima domanda, nella nostra realtà sarda ci sono pochissimi spazi per proporre la nostra musica live, anche perché, come tutto, la musica è soggetta a delle mode e la moda di oggi non è di certo il Progressive Rock. Chi suona propone cover su cover, creando situazioni più appetibili alla massa. Personalmente non conosco nuove realtà della scena Progressive Italiana.
S.M.: Come detto prima, in Sardegna non sono molte le occasioni per farsi ascoltare dal vivo, anche se in tempi normali abbiamo sempre cercato di non fermarci e di suonare live quasi in tutte le occasioni capitate. La scena Progressive Italiana offre sempre degli ottimi spunti e confronti, in passato come ora, con l’unica differenza che prima era difficile ascoltare musiche di band poco conosciute, mentre ora, grazie al web, è molto più semplice.
S.S.: Non c’è mai abbastanza spazio per gli artisti emergenti. Un genere come il nostro è considerato di nicchia e questo rende tutto ancora più difficile. La situazione musicale in Italia è ben nota, siamo fortunati che ancora sopravvivano festival importanti come Veruno, che ogni anno continuano a portare avanti delle realtà che altrimenti rischierebbero di sparire.
F.P.: È difficile trovare serate, è difficile trovare entusiasmo verso chi si impegna per far qualcosa di più ricercato, sono quindi pochi quelli che osano farlo. Questo è un vero peccato. Ho notato negli anni che c’è molta pigrizia nell’ascolto e questa pigrizia c’è sia nell’ascolto della musica sia nell’ascolto degli altri. Manca l’entusiasmo di andare oltre i primi tre minuti di musica, perché si è abituati ad avere tutto e subito. Si è abituati ad ascoltare musica automatica, quella che in automatico ti entra in testa perché magari è ripetitiva, perché son accordi che hai già sentito, ecc. Se solo si riuscisse ad andare oltre quei tre minuti… alla fine sarebbe come andare oltre le apparenze. Quante volte si rivela una scelta giusta?
Esulando per un attimo dal mondo Overture e “addentrandoci” nelle vostre vite, ci sono altre attività artistiche che svolgete nella vita quotidiana?
Sa.D.: Cercare di trasmettere la mia passione per la chitarra e per la musica in generale può essere considerata un’attività artistica? A parte gli scherzi, oltre alla musica sono appassionato e curioso di qualsivoglia diavoleria tecnologica.
Si.D.: Io insegno, ho una classe di giovanissimi batteristi, quindi organizzo saggi ed altre attività sempre in ambito artistico, teatrale e musicale. In più accresco le mie conoscenze frequentando masterclass di grandi batteristi, leggendo biografie, e studiando generi come jazz, latin, funky, pop.
S.M.: Continuo a studiare nel mondo della didattica musicale e insegnare musica nella scuola primaria. Tra le altre cose mi piace il canto corale e faccio parte del coro dell’Associazione Gioacchino Rossini di Sassari.
S.S.: No, a livello artistico mi occupo solo di musica, al momento.
F.P.: Sono totalmente immersa nella musica.
E parlando, invece, di gusti musicali, di background individuale (in fatto di ascolti), vi va di confessare il vostro “podio” di preferenze personali?
Sa.D.: Premesso che dipende dal periodo, infatti, negli anni molti sono stati gli artisti ad aggiudicarsi il mio podio personale. È difficile, ultimamente sto riscoprendo i Marillion, anche i loro lavori più recenti. Inoltre sono rimasto piacevolmente colpito dai Blackfield (side project di Steven Wilson).
Si.D.: È difficile, non ho un vero e proprio podio, ascolto un po’ di tutto, ultimamente sto ascoltando molto jazz, ma spazio tra i generi più disparati, anche perché solo così si possono trovare nuove idee e nuovi stimoli. Non ascolto la radio, quello che passano ora lo trovo monotono e ripetitivo.
S.M.: Domanda difficile: al terzo posto metto Elio e le Storie Tese, grande preparazione musicale e geniali. Al secondo posto Porcupine Tree/Steven Wilson (nella versione Progressive). Al primo posto metto i Dream Theater, il gruppo che per primo mi ha fatto scoprire il Progressive e che ancora ascolto.
S.S.: Domanda molto difficile… la risposta non può essere esaustiva. Son cresciuto ascoltando i primi Genesis, i Jethro Tull e tutta la discografia di Peter Gabriel (parliamo dei primi anni Novanta) che avevo a casa. Da adolescente ascoltavo cose più pesanti come Deftones, RATM e simili, poi in conservatorio ho studiato e approfondito generi come il jazz e la classica. Chiaramente nel tempo ho approfondito i classici del Prog come King Crimson, Van der Graaf Generator, PFM, ecc. Ci sono anche artisti più moderni che ascolto volentieri, vedasi alcune cose di Steven Wilson e i Tool, che hanno sfornato da poco un disco clamoroso.
F.P.: I Genesis sicuramente al primo posto, sono il gruppo che ho più amato in assoluto, seguiti dal Banco del Mutuo Soccorso, per quanto riguarda il nostro genere. Andando su altri generi sono molto affascinata dalla personalità di Paul Hanson, ascolto tutto ciò che produce e sta diventando per me fonte di grande ispirazione, in particolare il suo album “Frolic in the land of Plenty”.
Restando ancora un po’ con i fari puntati su di voi, c’è un libro, uno scrittore o un artista (in qualsiasi campo) che amate e di cui consigliereste di approfondirne la conoscenza a chi sta ora leggendo questa intervista?
Sa.D.: Quando si tratta di scrivere oltre che suonare, non posso non citare, a tal proposito, Franco Mussida, alla continua ricerca per capire ciò che lega la musica alle emozioni.
Si.D.: Ho diverse biografie di artisti italiani, se dovessi sceglierne una sicuramente proporrei quella di Tullio De Piscopo “Tempo”, un bellissimo viaggio all’interno della vita di questo grandissimo artista, consigliatissimo a chiunque appassionato di musica e non, racconta la fatica e il sacrificio che ci vuole prima di arrivare tra i grandi.
S.M.: Non sono un gran lettore di libri, rimango sul campo musicale e consiglio le musiche e sperimentazioni di Jacob Collier.
S.S.: Anche in questo caso sono veramente tanti… Il primo che mi viene in mente, che varrebbe la pena di approfondire, potrebbe essere Peter Hammill.
F.P.: Forse sarò banale ma quando si tratta di consigliare un libro, consiglierei a tutti “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry. La dedica stessa del libro è preziosa, di valore.
Tornando al giorno d’oggi, alla luce dell’emergenza che abbiamo vissuto (e che stiamo ancora vivendo), come immaginate il futuro della musica nel nostro paese?
Sa.D.: Al momento è difficile dare una risposta. Vaghiamo nell’incertezza più assoluta. Ma penso che prima o poi riusciremo a tornare alla normalità, sperando che nel prossimo futuro venga dato alla musica il valore che merita.
Si.D.: Non sarà facile riprendersi emotivamente da questo periodo, ma sono sicuro che grazie alla musica ne usciremo. La Musica è la cura.
S.M.: È difficile da immaginare, allo stato attuale il mondo della musica e dell’arte in generale è bistrattato e considerato superfluo. Spero che magari tutto questo possa servire a riconsiderare in modo positivo l’arte in tutte le sue forme e a riportarla dove merita, soprattutto nel nostro Paese.
S.S.: Speriamo serva a riflettere sulle cose che non vanno bene. Dopo un periodo di crisi come questa, si ha l’opportunità di rivedere quello che non funziona. Speriamo di saper cogliere questa opportunità.
F.P.: Immagino spesso che peggio di così non possa andare ma cerco, allo stesso tempo, di essere positiva e di pensare che tutto si sistemerà e che noi musicisti torneremo presto ad esibirci con più carica e grinta di prima.
Prima di salutarci, c’è qualche aneddoto che vi va di condividere sui vostri primi anni di attività?
Sa.D.: Sono stati anni in cui sono cresciuto ed ho imparato tantissimo.
Si.D.: Eravamo una banda di ragazzini con i capelli lunghi che si riuniva dalle due del pomeriggio fino a mezzanotte inoltrata per suonare, poi purtroppo siamo cresciuti.
S.M.: Non ho vissuto i primi anni di attività del gruppo, ma immagino che fossero tutti più giovani!
S.S.: Dico solo che erano veramente bei tempi!
F.P.: La prima volta che andai con la macchina a Mores per le prove, mi persi. Quando avevo quasi varcato la soglia del paese, senza accorgermene, presi una strada che mi stava facendo fare il percorso a ritroso. Gli altri inizialmente cercarono di darmi indicazioni al telefono, dopo di che si accorsero che dovevano venire a recuperarmi. Una volta arrivata, scortata e tutto, ero talmente intimidita che non riuscivo a suonare, Stefano mi disse: “Ma come? Non sarai venuta dall’altra parte della Sardegna per non suonare?”.
E per chiudere: c’è qualche altra novità sul prossimo futuro degli Overture che vi è possibile anticipare?
Sa.D.: Nonostante le difficolta stiamo portando avanti il progetto. Presto ci saranno sicuramente novità importanti e invito tutti a visitare le nostre pagine social: Facebook, Instagram e YouTube.
Si.D.: Per ora siamo chiusi in studio provando alcune bozze del prossimo album, di questi tempi non si può fare altro.
S.M.: È tutto in divenire ancora, continuiamo il nostro percorso verso l’uscita del nuovo album.
S.S.: Siamo in una fase di transizione, vedremo a cosa ci porterà.
F.P.: Sarà una sorpresa anche per noi!
Grazie mille ragazzi!
Sa.D.: Grazie mille per lo spazio che ci hai dedicato!
Si.D.: Grazie!
S.M.: È stato un piacere, grazie a te!
S.S.: Grazie a te.
F.P.: Grazie mille.
(Aprile, 2021 – Intervista tratta dal volume “Dialoghi Prog – Volume 2. Il Rock Progressivo Italiano del nuovo millennio raccontato dai protagonisti“)
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