IL CASTELLO DELLE UOVA
L’enigma del capitale (2020)
Autoproduzione / Seahorse Recordings
Ci sono realtà che vanno ben oltre l’essere una band e il castello delle uova è decisamente una di queste. Innanzitutto, è un gruppo di amici, diventato una “famiglia” negli anni, e come ogni gruppo di amici veri (o famiglia) che si rispetti, le distanze fisiche possono scalfire poco o nulla il rapporto esistente. E anche se il castello delle uova “asparisce” per anni, pur non essendoci c’è, presente nell’assenza.
Ed ecco allora, a tredici anni da “Appunti sonori per una cosmogonia cosmica”, tornare la band siciliana con un nuovo lavoro, L’enigma del capitale, album incentrato sul tema del conflitto e che muove la sua narrazione da tre eventi traumatici: il bombardamento alleato di Marsala dell’11 maggio del 1943, in cui morirono, in una sola notte, circa mille persone; lo scoppio della crisi del 2008 e i suoi effetti sulle nostre vite; l’uccisione del sindacalista siciliano Vito Pipitone, raccontata dalla viva voce di Gaspare Li Causi, suo compagno di lotte.
E nel dar voce a questi conflitti, Abele Gallo (batteria), Pietro Li Causi (chitarre, tastiere, voce secondaria), Benny Marano (voce), Ambra Rinaldo (basso) e Salvatore Sinatra (piano, tastiere) amalgamano ottimamente progressive rock e post-rock, con guizzi psichedelici e bordate hard e doom, creano atmosfere pesanti, cupe, elettriche, cangianti e avviluppanti, condite da testi piuttosto diretti, duri e mai banali che fanno pieno uso dello spoken word. Ma va anche detto che l’album racchiude un messaggio di speranza e il superamento di questi “conflitti” e una visione “altra” della vita, è possibile. Basta volerlo.
Per dare ancor più sostanza ai contenuti “parlati” dell’opera, ne L’enigma del capitale compaiono anche le voci di David Konstan ne Il flusso si interrompe, Ninni Arini in Eserciti industriali di riserva e gli estratti audio tratti da un’intervista a Gaspare Li Causi (padre di Pietro) in Militarizzare il lavoro, Eserciti industriali di riserva e Vito Viva!.
Altro elemento importante ai fini della riuscita dell’opera e della propagazione del suo messaggio è la copertina dell’album realizzata da Ambra Rinaldo, la quale è visionabile in realtà aumentata per mezzo dell’app Artivive. L’immagine dell’astronauta che si “perde” nel cosmo vuole essere una allegoria di questo percorso narrativo: un astronauta, simbolo un tempo della conquista delle nuove frontiere dello spazio e del futuro, diventa adesso un essere senza volto e privo di legami che fluttua in uno spazio immenso e solitario con un enorme buco nero alle spalle.
Il flusso si interrompe. Protagonista della prima parte del brano d’apertura è la voce di David Konstan (professore emerito di Classics alla New York University) che interpreta una parte dei “Kitchen Debates”, tenutasi in occasione dell’Esposizione Nazionale Americana al Parco Sokolniki di Mosca del 24 luglio 1959, una discussione improvvisata da interpreti che impersonificavano l’allora vicepresidente degli USA Richard Nixon e il presidente del Consiglio sovietico Nikita Chruščëv, e in cui i due alti esponenti politici mostrarono l’un l’altro le conquiste raggiunte dai due vari sistemi economici, capitalismo e comunismo, in particolare quelle americane con la loro “tecnologia casalinga”. Il timbro roco di Konstan è avviluppato dal saliscendi ipnotico di piano (con “divagazioni”), tocchi estemporanei di chitarra e da un’andatura ritmica non eccessivamente sostenuta. In seguito “il flusso si interrompe” e la voce lascia il posto al solo psichedelico di Li Causi. E poi torna “maestro” il piano (con Ambra Rinaldo in sottofondo a dar manforte), prima di lasciare spazio al racconto di Marano (e al successivo finale alienante) che narra di Marsala, di quell’11 maggio del 1943 in cui la città venne devastata dal bombardamento alleato che provocò quasi 1500 morti in una sola notte. Marsala diventa il teatro simbolico della scoperta delle diseguaglianze sociali, della schiavitù del lavoro, del disinganno; un luogo metaforico che, appunto, ‘svela’ e permette di decifrare – attraverso il ricordo delle sue strade devastate e delle sue macerie – il senso profondo della crisi globale – e dell’incubo – che ha il suo culmine nella pandemia, ma che ha inizio molto prima.
Elettronica cosmica e tesa ci accoglie in Sopravvivere all’irrilevanza, un fluire placido ma ambiguo che cresce lentamente grazie a minimi tasselli, una tastiera, qualche colpo di batteria, un insieme estraniante ma molto pacato che gradualmente si sostituisce all’elemento iniziale, proiettando l’episodio su binari romantici e un po’ moltheniani (o Umberto Maria Giardini).
Di tutt’altra pasta Quale prezzo per la sopravvivenza, con la sua partenza dura, sabbathiana, Tony Iommi & Co. che si muovono tra un’umanità vociante e del traffico. “Giunti a destinazione”, ogni cosa è lasciata nelle mani del piano di Sinatra (nonostante un “ronzio” di fondo) che, lentamente, tesse la sua tela e tutto si tramuta grazie anche al gran lavoro di basso e batteria. E il percorso si libera del suo tracciato, raggiunge lidi jazz (ma non solo), con altri tasti che si aggiungono a quelli già sulla scena. Un gran momento che prosegue avvolgendosi sempre più su se stesso, sino al “delirio controllato”. E su questa struttura si adagia il racconto di Benny Marano ([…] Nella notte in cui tutte le vacche / sono grigi umani / da mungere ai Big Data… / …e affogare). In chiusura tornano prepotentemente le distorsioni, con tanto di assolo aggressivo.
Molto particolare Militarizzare il lavoro, che ospita la testimonianza di Gaspare Li Causi avviluppata da suoni industriali e bellici (manipolati dalla band) quasi impercettibili, lasciati volutamente in lontananza, sino alla lunga “scarica elettrica” che mette tutto a tacere.
Di nuovo adrenalina a mille con L’ultimo potenziale ostacolo e la sua partenza a razzo che danza sul limite hard rock/metal, con le ritmiche e le distorsioni sugli scudi. E quando Marano irrompe sulla scena, con rabbia, sembra quasi di essere catapultati tra le note di CCCP/C.S.I.. E c’è anche il piano di Sinatra che, qui e là, dice la sua, spostando il brano su binari jazz. Ma la rabbia di fondo si stempera solo prima di finire, rarefacendosi. […] Se cessiamo di volerla, / se nessuno la vuole, / la merce è inutile, / non ha alcun valore.
Molto corposo e teso l’avvio di Evoluzione. E quando entra in scena Marano, con la sua teatralità alla Franz Casanova, su un sostrato nervoso, sembra quasi di ritrovarsi in un fonodramma de Il babau e i maledetti cretini. Ottimi gli interventi di piano, cui viene affidato il compito di “stemperare gli animi”, e il caldo assolo di Li Causi.
Delicato il tocco di Sinatra al piano che apre Eserciti industriali di riserva (nonostante un’“onda” sintetica le faccia compagnia), poi i colpi ritmici e le distorsioni provano a “cancellare” lo stato d’animo creato dal collega che reagisce e regge la sfida, sino a trovare un punto d’incontro. E il brano muta seguendo l’indole delle voci (c’è l’ospite Ninni Arini). E tra cambi di passo e di cromaticità, l’episodio scorrere piacevolmente sino all’inserimento di un nuovo frammento vocale di Gaspare Li Causi.
Compatta e veemente prende corpo Distruzione creatrice sulla terra, con un personale “volo del calabrone” di Li Causi che “ronza” nelle retrovie, mentre ritmiche e piano cambiano volto più volte. E tra momenti passionali e sfuriate roventi, il castello delle uova ci conduce tra le parole di Marano, prima di chiudere il cerchio prepotentemente. Come ci ricorda la band, la ‘distruzione creatrice’ è uno dei postulati di base del capitalismo. L’espressione indica quel processo di mutazione che rivoluziona incessantemente la struttura economica, distruggendo senza sosta ciò che è vecchio per accelerare l’accumulazione del capitale e svalutare ogni forma di ricchezza pre-esistente. Gli strumenti di questa distruzione creatrice, sempre più impattante sugli ecosistemi, sono la guerra, l’abbandono le crisi economiche regolari e periodiche.
Uno sguardo dalle macerie (che afferrare?). Breve frammento elettronico estraniante, un po’ Offlaga Disco Pax, utile alla narrazione di Marano.
Chitarre inquiete tessono una trama tesa, resa ancor più nervosa dall’elettronica, nelle prime battute di Vito Viva!, gettando le basi sonore per il ricordo di Gaspare Li Causi. E tra richiami floydiani, l’episodio conclusivo scorre lento mettendo la parola fine a un lavoro ben congegnato e per nulla scontato.
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