Un caro benvenuto a Romilda Bocchetti (R.B.), Ezio Felaco (E.F.), Giovanni Guarrera (G.G.) e Fredy Malfi (F.M.): Alias.
R.B.: Ciao e grazie per questa intervista.
E.F.: Ciao Donato.
G.G.: Ciao.
F.M.: Ciao, grazie.
Iniziamo la nostra chiacchierata con una domanda scontata: come nasce il progetto Alias e cosa c’è prima degli Alias nelle vite di Romilda, Ezio, Giovanni e Fredy? E quando avviene, dunque, l’incontro tra tre membri dell’OMM – Orchestra Multietnica Mediterranea e uno dei componenti della formazione attuale di James Senese Napoli Centrale?
R.B.: Nelle nostre vite c’è sempre stata la musica. In tutte le sue forme. Il progetto più amato è stato sicuramente la OMM, per tutto quello che ha rappresentato: gli incontri con altre culture e altri suoni, la sperimentazione, tutte le lingue che abbiamo ascoltato e cantato, i viaggi, la ricerca, la scoperta di mondi così diversi dal nostro. Ci hanno fatto crescere musicalmente, culturalmente e, se possiamo dirlo, anche politicamente. Ci ha dato una visione nuova del mondo e della musica: basata su esperienze concrete.
E.F.: Siamo nati in trio e fin da subito ci siamo messi alla ricerca di un batterista. Durante la registrazione delle demo, grazie a Guido Cusano, nostro fonico e amico, abbiamo incontrato Fredy Malfi che da subito ha condiviso il nostro progetto, che lasciava spazio alla componente ritmico-percussiva e alla creatività.
Alias: come si arriva alla scelta del nome?
G.G.: In verità, perché ci piaceva l’idea che il significato “ovvero” potesse indicare una molteplicità di stili senza nessuna preclusione di sorta. La scelta del latino inteso come lingua neutra che nulla preclude.
Nel 2020 esordite con “The second sun”, lavoro caratterizzato da brani piuttosto sfaccettati e imprevedibili “racchiusi” sotto l’etichetta World-Prog. Quanto le vostre esperienze artistiche (world e pop-rock per Romilda, hard-rock per Ezio, musica etnica e di ricerca per Giovanni, le tante e diverse collaborazioni, tra cui Richie Havens, James Senese Napoli Centrale, Peppe Barra, Fred Bongusto, Toquinho, Daniele Sepe, per Fredy) hanno effettivamente influito nella realizzazione dell’album e quali, invece, gli artisti che più vi hanno ispirato/influenzato nella stesura del disco?
R.B.: Semplicemente, ci piaceva stare insieme, ascoltare tanta musica e, soprattutto, suonare insieme senza idee precostituite. È stato del tutto naturale che le nostre esperienze si amalgamassero.
E.F.: Crediamo forse di essere stati noi a coniare il termine “World-Prog”!
F.M.: Per quanto mi riguarda, io sono nato con il Rock, (Deep Purple, Led Zeppelin, Three Dog Night, ma anche gli Osanna di Elio D’Anna, Balletto di Bronzo, Rovescio della Medaglia, che erano i gruppi più Prog).
L’opera è dedicata a Nikola Tesla (perché non sempre la storia la scrive chi vince), una delle menti più geniali nella storia dell’uomo e mai ricordato abbastanza. Come mai vi siete ispirati allo scienziato (definizione piuttosto riduttiva, lo ammetto) e come “rivive” nelle vostre note?
E.F.: La leggenda vuole che Nikola Tesla sia nato in una notte tempestosa tra il 6 il 7 luglio del 1856, non sappiamo se questo sia vero ma sappiamo che tutta la sua vita fu molto tempestosa.
Le sue scoperte furono lampi di genio, scientifico ma anche visionario; oltre alla fertile immaginazione e inventiva, c’era anche una straordinaria memoria e la capacità di visualizzare, nella sua mente, i progetti fin nei minimi dettagli e anche nel funzionamento.
Al suo tempo, il mondo scientifico lo considererà un ingegnere contadino matto e fissato, proveniente da un luogo sperduto della Serbia non riportato neanche sulle cartine geografiche e i suoi studi, le sue idee, il suo genio vennero sfruttati, e poi boicottati, dall’establishment e dall’élite dell’epoca, costituito da industriali spietati che avevano come unico obiettivo quello di fare profitto piuttosto che migliorare le condizioni di vita dell’umanità. Uno fra tanti Thomas Edison, oggi incoronato dalla letteratura scientifica come un grande inventore ma sarebbe più corretto definirlo un imprenditore senza scrupoli.
Molte delle sue invenzioni furono occultate e rubate dopo la sua morte; tra quelle di cui oggi possiamo godere ci sono il motore ad induzione e la trasmissione di energia elettrica in forma di corrente alternata. Per onestà intellettuale, bisognerebbe attribuirgli anche l’invenzione della radio che, invece, viene attribuita al nostro G. Marconi il quale, in realtà, non aveva particolari doti scientifiche ma era pieno di soldi e si sa che con i soldi si può ottenere tutto.
L’omaggio a Tesla è evidente nell’artwork della copertina e nella title track dell’album.
Entriamo nello specifico.
All’inizio del XX secolo, Tesla propose il World Wireless System, un rivoluzionario sistema di telecomunicazione e di erogazione di energia elettrica basato su alcune sue teorie riguardo ad un possibile utilizzo della Terra e della sua atmosfera, in particolare della ionosfera, come conduttori elettrici. Secondo Tesla, sarebbe stata possibile la trasmissione di energia elettrica senza fili.
Oggi questo avviene nelle telecomunicazioni wireless e nella radiodiffusione.
Il progetto ottenne un cospicuo finanziamento dal banchiere J. P. Morgan e fu così che venne realizzata la Wardenclyffe Tower a Long Island, una stazione wireless che avrebbe dovuto trasmettere messaggi attraverso l’Atlantico all’Inghilterra nonché energia elettrica a distanza e senza fili sotto forma di onde elettromagnetiche.
Ma chiaramente un’energia senza fili non può essere controllata e questo può avere implicazioni sul profitto che se ne può ricavare, per cui fu lo stesso Morgan a sospendere i finanziamenti.
La Wardenclyffe Tower, che il maestro Raffaele Bocchetti ha rappresentato nell’artwork del disco in diversi scenari in cui i colori diventano energia, non è altro che una gigantesca bobina di Tesla, un dispositivo costituito da un trasformatore a risonanza che sfrutta l’induzione elettromagnetica ad alta frequenza per generare scariche elettriche simili ai fulmini atmosferici, la rottura dielettrica dell’aria genera un suono la cui frequenza e quella di risonanza del circuito.
Nel brano “The Second Sun” – The Sweet Song Of Reel – cerchiamo di evocare le atmosfere dell’esperimento Colorado Springs che precede la realizzazione della WCT. Tesla costruì un potente oscillatore all’interno di un granaio, sormontato da una torre di legno sulla quale era installata un’asta di metallo di 43 metri con in cima una sfera di rame, un fulmine uscì da quest’ultima e crebbe di dimensioni fino ad allargarsi in un globo elettrico che mandava verso il cielo fulmini di 50 m; molti testimoni videro accendersi 200 lampadine senza collegamento di fili elettrici a 40 Km di distanza.
Era la prima trasmissione di energia elettrica senza fili.
Adesso voglio concludere perché questa è un’intervista che parla del disco e non una lezione sull’elettromagnetismo, anche se le due cose sono inscindibili, almeno per me! Concludo dicendo che, per noi, Nikola Tesla rappresenta non solo lo scienziato ma è soprattutto l’uomo che la storia scritta dai forti ha fatto il possibile per cancellare e resta difatti un esempio di vittoria del pensiero sul denaro, del debole sul forte; un esempio per tutti coloro che lottano per affermare le proprie idee e che impiegano la loro esistenza per migliorare le condizioni di vita dell’intera umanità.
Perché non sempre la storia la scrive chi vince.
Elemento importante che caratterizza l’album è il policromo artwork creato dall’artista Raffaele Bocchetti. Vi va di spendere qualche altra parola su “Wardenclyff Tower”? Come si sposa con la vostra musica?
R.B.: Raffaele Bocchetti è mio padre. È la prima volta che condividiamo un progetto e, per me, è stato emozionante vedere come nascesse e si sviluppasse tra le sue mani, interpretando a pieno le nostre emozioni.
G.G.: Quando abbiamo cominciato a parlargli di Tesla, Bocchetti ne è rimasto affascinato e così entusiasta da proporci diversi lavori. Era così difficile sceglierne uno che li abbiamo messi tutti e ci siamo ritrovati con un fantastico booklet.
Una curiosità: nel brano “Pitch Black” compaiono questi versi: Matachi camina camina / Kodomotachi comina comina / Kami no kodomatachi wa mina odoru!. Ad orecchio mi sembra un idioma orientale (ma ammetto la mia completa ignoranza in materia). Che lingua è e cosa significa?
R.B.: Questa citazione ha già suscitato molta curiosità. Ci hanno chiesto spesso che cosa significasse e molti sono stati colpiti anche dalla sua musicalità. Quindi, tu sarai il primo a conoscerne il significato.
E.F.: E qui voglio fare io i complimenti a Romilda per la musicalità conferita a questa citazione!
G.G.: Beh, qui devo rispondere io. Tutto parte dalla mia passione per lo scrittore giapponese Murakami Haruki, di cui ho l’opera completa. Romilda canta le parole giapponesi 神の子どもたちは皆踊る (Kami no Kodomotachi wa mina odoru), titolo di uno dei suoi racconti che significa “Tutti i figli di Dio danzano”.
La scelta di Murakami non è casuale. Infatti, la sua scrittura è intrisa di riferimenti alla musica, dal jazz al rock e alla musica classica. Si può dire quindi che è uno scrittore che, in chiave letteraria, rappresenta in nostro approccio alla musica.
Eccezion fatta per quanto detto nella domanda precedente, i testi dell’album sono in inglese. Pensate sia più funzionale, per la vostra proposta, cantare in una lingua diversa dall’italiano?
R.B.: No, scriviamo anche in altre lingue. Che in questo primo disco le canzoni siano tutte in inglese, è un puro caso. Questo disco è stato il frutto di una scelta, tra tutti i pezzi che avevamo, perché c’è un filo conduttore che li unisce: il viaggio, la speranza e la follia.
F.M.: Penso che la lingua inglese, a prescindere dalla musicalità, arrivi in più parti del mondo e poi si bacia bene con il genere.
Cambiando discorso, il mondo del web e dei social è ormai parte integrante, forse preponderante, delle nostre vite, in generale, e della musica, in particolare. Quali sono i pro e i contro di questa “civiltà 2.0” secondo il vostro punto di vista per chi fa musica?
R.B.: I pro sono proprio quelli che abbiamo sperimentato in questo periodo di emergenza pandemica: è stato l’unico mezzo di comunicazione con il mondo esterno. Per noi è stata una risorsa. Il nostro disco è stato promosso solo ed esclusivamente sui social in un momento in cui non avevamo altri mezzi.
F.M.: Ormai il web fa parte di questo mondo e non puoi tenerti fuori, i dischi non si vendono più e solo attraverso i vari canali digitali puoi farti conoscere e cercare di entrare in un circuito di vendita online.
E.F.: In ogni caso, promuoversi sul web richiede molto tempo e richiede una presenza costante più che nella realtà, per l’infinità dei rapporti da curare, contatti da trovare e materiale da inviare. Il web è effettivamente alla portata di tutti ma non è così facile come potrebbe apparire. In realtà bisogna stare molto attenti a quello che si scrive, come si scrive e a chi lo si scrive perché il risultato non è garantito.
E quali sono le difficoltà oggettive che rendono faticosa, al giorno d’oggi, la promozione della propria musica tali da ritrovarsi, ad esempio, quasi “obbligati” a ricorrere all’autoproduzione o ad una campagna di raccolta fondi online? E, nel vostro caso specifico, quali ostacoli avete incontrato lungo il cammino? Non avete mai pensato di tentare la “carta” etichetta discografica?
E.F.: All’inizio ci siamo posti il problema e abbiamo anche contattato qualcuno, ma ci è sempre stato detto che eravamo poco vendibili, che i pezzi erano troppo lunghi, che il genere non andava, ecc. A quel punto abbiamo deciso di fare da soli. La difficoltà sta nel fatto che questa musica non rientra negli standard di mercato per cui è veramente difficile, almeno a Napoli, trovare qualcuno interessato. E voglio precisare che è difficile trovare un’etichetta che si occupi di musica Progressive.
G.G.: Quindi, le etichette discografiche, nel nostro caso, non servono a niente. Ma, comunque, non ci cagano proprio per niente!
Facendo un parallelo tra letteratura e musica, tra il mondo editoriale e quello discografico, è, non di rado, pensiero comune etichettare un libro rilasciato tramite self-publishing quale prodotto di “serie B” (o quasi), non essendoci dietro un investimento di una casa editrice (con tutto il lavoro “qualitativo” che, si presume, vi sia alle spalle) e, in poche parole, un giudizio “altro”. In ambito musicale percepite la stessa sensazione o ritenete questo tipo di valutazione sia ad uso esclusivo del mondo dei libri? Al netto della vostra esperienza, consigliereste alle nuove realtà che si affacciano al mondo della musica la via dell’autoproduzione e/o del crowdfunding?
R.B.: Non credo che nel campo musicale ci sia questo snobismo. Al giorno d’oggi, fare un crowdfunding, una autoproduzione o avere un’etichetta alle spalle non fa molta differenza. L’unica differenza sta nella promozione e, si sa, molte etichette oggi pensano a fare catalogo e la promozione devi fartela da solo.
E.F.: Il crowdfunding è una elemosina che non accetterei mai. Io se faccio un disco è per offrire qualcosa, non lavoro a commissione.
G.G.: Per quanto riguarda le nuove realtà, beh, non so neanche bene cosa fare io, figurati se posso dare consigli agli altri.
E qual è la vostra opinione sulla scena Progressiva Italiana attuale? C’è modo di confrontarsi, collaborare e crescere con altre giovani e interessanti realtà? E ci sono abbastanza spazi per proporre la propria musica dal vivo?
E.F.: In questo caso, come dicevamo prima, è il web che ci aiuta, che in questo momento è l’unico luogo di incontro. Ci sono molte web radio e gruppi social con una fervente attività, tra cui permettimi di citare ProgSky, RadioVertigo1 e Prog e Dintorni, che ci ha dato molta visibilità e in cui abbiamo trovato riscontri positivi e sinergie.
G.G.: Ci sono molti gruppi di giovani che sono di un livello molto alto, oserei dire mostruoso, che ci fa ben sperare per il futuro.
F.M.: Dal mio punto di vista, credo che il Prog sia la migliore espressione da proporre dal vivo, con le variazioni ritmiche-armoniche che vengono proposte non è mai niente scontato, non è mai la stessa cosa e questo fa si che chi ti ascolta non si stufi, anzi ne viene coinvolto.
Esulando per un attimo dal mondo Alias e “addentrandoci” nelle vostre vite, ci sono altre attività artistiche che svolgete nella vita quotidiana?
R.B.: Io ho ereditato da mio padre la passione per la pittura anche se non ho il suo talento.
E.F.: Io insegno matematica e fisica, ve ne eravate accorti??? La prima regola che insegno ai miei allievi è la regola delle tre M: “Nella vita ci sono tre M che non vi abbandoneranno mai: La Mamma, la Musica e la Matematica!”.
G.G.: Io insegno nei licei musicali, leggo molti libri e faccio qualche flessione per terra!
F.M.: Io insegno la batteria privatamente da quarant’anni, ho sempre amato l’insegnamento come il suonare, ho scritto un metodo pubblicato da “Sinfonica Jazz” e distribuito da New Carisch, “Programma di Batteria”.
E parlando, invece, di gusti musicali, di background individuale (in fatto di ascolti), vi va di confessare il vostro “podio” di preferenze personali?
R.B.: Molo difficile da dire, il podio sarebbe troppo stretto, ma di sicuro, se dovessi andare su un’isola deserta, non dimenticherei King Crimson (tutto), Camel, Khan, Tonton Macute, David Bowie, Pink Floyd (tutto)… Oddio, forse la zattera affonderebbe, meglio fermarsi qui!
E.F.: Non ho dubbi! “The Piper At The Gates of Dawn” – “Atom Heart Mother” – “Animals”.
G.G.: Dico una sola parola “Ummagumma”!
F.M.: Io ascolto di tutto, dalla A alla Z, mi serve per crescere e suonare meglio.
Restando ancora un po’ con i fari puntati su di voi, c’è un libro, uno scrittore o un artista (in qualsiasi campo) che amate e di cui consigliereste di approfondirne la conoscenza a chi sta ora leggendo questa intervista?
R.B.: Consiglierei di leggere Il Collettivo Wu Ming, per l’infinità di scenari, la scrittura raffinata, la cultura storica e soprattutto perché sono Prog!
E.F.: Se ci penso troppo ho difficoltà a scegliere, quindi i primi che mi son venuti in mente sono: Richard Feynman “Sei pezzi facili”, Fritjof Capra “Il Tao della Fisica”, Erwin Schrödinger “Che cosa è la Vita” …tutti a piccole dosi e accompagnati da buon vino.
G.G.: Paul Auster.
F.M.: Io consiglierei di ascoltare Frank Zappa.
Tornando al giorno d’oggi, alla luce dell’emergenza che abbiamo vissuto (e che stiamo ancora vivendo), come immaginate il futuro della musica nel nostro paese?
R.B.: Esattamente come il recente passato. Non credo ci saranno cambiamenti sostanziali. C’è un universo di musica bella che si spera trovi un suo spazio.
E.F.: Sono seriamente preoccupato per i giovani perché la maggior parte della musica che arriva a loro proviene dai talent e quindi si tratta, nella maggior parte dei casi, di prodotti preconfezionati. Il rischio è che si perda la memoria di certa musica e senza memoria non può esserci futuro. C’è stato un tempo in cui la musica era la voce della società e rappresentava quei grossi cambiamenti culturali che hanno caratterizzato il secolo scorso, legati ad una certa ideologia. Oggi di ideologia non ce n’è ma, in compenso c’è autotune, questo per quanto riguarda il mainstream ma, fortunatamente, per le nostre piccole soddisfazioni, c’è anche un “underground” musicale che è tutt’ora fucina di prodotti molto interessanti ma bisogna andarseli a cercare, non certo nei negozi.
F.M.: Ormai sono anni che la Musica (buona) ha un ruolo secondario. Adesso la situazione è peggiorata causa forza maggiore, ma non ci sono più agenzie o promoter di una volta che erano capeggiate da chi veramente amava questo mondo. Bisogna guardare fuori dall’Italia.
G.G.: Volevo dire quello che ha detto Fredy!
Prima di salutarci, c’è qualche aneddoto che vi va di condividere sui vostri anni di attività, non solo legati agli Alias?
E.F.: Nei primi anni ’90 mettemmo su una band, una cover band che chiamammo (solo dopo che si era sciolta!) “Volevamo essere gli Iron Maiden”. Provavamo in un posto che si chiamava “Lo Scandinight” (una visione club di scantinato!) e, per imitare al meglio Steve Harris, avevo smontato il potenziometro dei toni dal mio basso e lo avevo sostituito con un selettore sul quale avevo incollato un adesivo con su scritto “selettore Harris”.
G.G.: In realtà, ci sono aneddoti molto divertenti che potrei raccontare ma in effetti è molto meglio che non si sappiano in giro!
F.M.: Posso dire che, se faccio questo mestiere, lo devo al “colera”, (ahahah!). Appena diplomato in segreteria alberghiera, dovevo iniziare a lavorare in un rinomato albergo napoletano ma, a causa del colera, l’albergo chiuse e poiché già suonavo con un gruppo, ho continuato nel settore e non mi sono più fermato.
E per chiudere: c’è qualche novità sul prossimo futuro degli Alias che vi è possibile anticipare?
F.M.: Spero in un tour mondiale.
R.B.: Spero in un tour mondiale.
E.F.: Spero in un tour mondiale.
G.G.: Spero in un tour mondiale.
Grazie mille ragazzi!
R.B.: Grazie a te Donato, soprattutto per la pazienza, visto che ce la siamo presa un po’ comoda e hai dovuto aspettare un bel po’!
E.F.: Grazie a te, per l’opportunità che ci stai dando di raccontarci un po’!
G.G.: Grazie!
F.M.: Grazie!
(Giugno, 2021 – Intervista tratta dal volume “Dialoghi Prog – Volume 2. Il Rock Progressivo Italiano del nuovo millennio raccontato dai protagonisti“)
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