Un caro benvenuto a Cosimo D’Elia (C.D’E.) e Francesco Festinante (F.F.): Il Sogno di Rubik.
C.D’E.: Ciao Donato.
F.F.: Ciao Donato!
Iniziamo la nostra chiacchierata con una domanda di rito: come nasce il progetto Il Sogno di Rubik e cosa c’è prima de Il Sogno di Rubik nelle vite di Cosimo e Francesco?
C.D’E.: Il progetto nasce dalla nostra più che ventennale amicizia, naturalmente dalla passione comune per la musica e dal forte desiderio di utilizzarla come strumento evolutivo per esprimerci e raccontarci.
F.F.: Il Sogno di Rubik nasce dalla voglia di finalizzare e rendere fruibile, soprattutto a me stesso, anni ed anni di opere incompiute. Nel mio passato, infatti, ci sono hard disk pieni di registrazioni e spunti che non hanno mai visto la luce, per difficoltà gestionali con vari elementi delle band precedenti, ma anche per la mia scelta nell’affrontare un percorso complesso non da solista. Ad un certo punto, il desiderio di fare un disco, anche solo per soddisfazione personale, è diventato fortissimo: in tal modo – coinvolgendo l’unica persona che con concretezza avrebbe potuto darmi quel quid – sebbene a 1000 km di distanza, è nato Il Sogno di Rubik.
Oltre alla composizione, mi sono dedicato ad omaggiare, attraverso locali, sale concerti e piazze, artisti di valenza storica: King Crimson, PFM, Jimi Hendrix, Led Zeppelin, Iron Maiden, ecc., ecc.
Il Sogno di Rubik: il nome del progetto è piuttosto curioso. Come avviene la scelta e qual è il suo significato?
C.D’E.: Appunto, siamo molto curiosi e ci piacciono gli enigmi e i misteri che ci circondano. Il famosissimo Cubo di Rubik in questo senso è stato, lo è tuttora e credo continuerà ad essere, una icona e un punto di riferimento per intere generazioni. Così, essendo molto affascinati dal suo significato e dalla sua ideazione, abbiamo provato a rispondere ad una domanda molto singolare: quale potrebbe essere la colonna sonora dei sogni di Erno Rubik, il creatore del mitico cubo? La nostra musica è una risposta possibile a questo originale quesito.
Una data, 21 giugno 2020, il giorno del vostro esordio discografico: “Tentacles and Miracles”, un disco prog, senza compromessi che, attraverso atmosfere cupe, articolate, evocative, teatrali, narra di un viaggio onirico, in un labirinto magico governato da “Tentaclenight”… Vi di parlare della sua genesi e del contenuto del concept?
C.D’E.: La genesi è molto semplice. Quasi simultaneamente Francesco mi fece ascoltare dei pezzi a cui stava lavorando ed io gli parlai di una idea che avevo in mente per un ipotetico album. Il concept portante intorno al quale costruire il lavoro sarebbe stato il “viaggio” di un uomo dentro se stesso, attraverso se stesso per andare oltre la vecchia idea di sé e cosi poter dar vita a quell’uomo migliore, che aspetta solo la giusta occasione per manifestarsi. Questo tema sarebbe poi diventato la preziosa rilegatura che avrebbe connesso e tenuto insieme tutti i brani, come fossero un unico racconto dalle molteplici chiavi di lettura.
Cosimo, cosa ti attrae del mondo dei sogni (che, nel caso specifico dell’album, si rivela, appunto, un viaggio introspettivo)?
C.D’E.: Mi piace molto il concetto di “sogno lucido”. Con un allenamento costante possiamo sviluppare una sorta di “attenzione” per poterci rendere conto di noi stessi all’interno del sogno, mentre una parte di noi dorme, e così poter agire in esso consapevolmente. Considerando il fatto che il nostro cervello non distingue il sogno dalla realtà, ciò rappresenta uno strumento eccezionale per risolvere ansie, blocchi e paure che ci abitano e purtroppo ci limitano. Questo ci dà la grande possibilità di indagare, affrontarle con una nuova narrazione e prefigurare ciò che realmente desideriamo, realizzandolo nel sogno per poi iniziare a fare concretamente qualcosa nella realtà. D’altronde è risaputo che tutti coloro che nella vita hanno raggiunto grandi risultati, sono stati ottimi sognatori.
E per Francesco, quali sono state le fonti d’ispirazione che ti hanno “aiutato” nella creazione dei vari “scenari sonori”?
F.F: Per quanto possa sembrare inverosimile visto il genere, molte composizioni nascono dal nulla, inizio a registrare senza sapere cosa registrerò. Pertanto, mi piace credere che, quei soundscape siano la rappresentazione musicale del mio mondo interiore.
I testi dell’album sono in inglese. Pensate sia più funzionale, per la vostra proposta, cantare in una lingua diversa dall’italiano?
C.D’E.: “Tentacles and Miracles” è stato da subito pensato e concepito in inglese semplicemente perché meglio si adattava alle sonorità e al tipo di espressività vocale che desideravamo per l’album. Questo però non vuol dire che Il Sogno di Rubik userà sempre l’inglese o che non userà mai l’italiano… anzi.
F.F.: Non ne facciamo un discorso di funzionalità, noi lasciamo spazio alla creatività del momento.
Vi va di spendere qualche parola sull’artwork onirico decisamente azzeccato?
C.D’E.: L’artwork è opera dell’artista Monica Cimolato e, come tu hai giustamente sottolineato, è decisamente azzeccato. Lei è stata forse la prima a fare il “viaggio” di “Tentacles and Miracles”, ha voluto tutti i testi ed i vari riferimenti, musicali e non, che ci avevano ispirato per realizzarlo e dopo alcuni ascolti ci disse che aveva già in testa tutto l’artwork. Difatti le prime bozze che ci propose ci piacquero moltissimo… Il risultato è tentacolarmente bello e accattivante e non avremmo potuto desiderare di meglio.
F.F.: L’artwork, come ha già detto Cosimo, è stato realizzato da Monica Cimolato, che ritengo sia particolarmente riuscito in quanto, non essendo stato un lavoro commissionato, ma nato da una partecipazione attiva, penetrata nel nostro mondo, è il risultato di un’eccellente rappresentazione grafica, non dissimile dal discorso dei soundscape che facevo prima…
L’album è uscito per G.T. Music e M.P. & Records. Come siete entrati in contatto con le due etichette? E come si è svolta la collaborazione?
F.F.: Abbiamo contattato diverse etichette ed abbiamo avuto varie risposte positive, tanto da permetterci di sceglierne una abbastanza importante con una distribuzione molto conosciuta. Il referente di quest’ultima affermò di aver ricevuto il miglior disco in tanti anni di esperienza da produttore discografico, di conseguenza era deciso a contrattualizzarci. Il tempo iniziava a trascorrere, la comunicazione diventava sempre più “difficile” e decidemmo di ricominciare la ricerca. Dall’estate del 2019, in occasione dei grandi eventi che si svolgevano a Taranto (Medimex e Cinzella Festival) iniziai a distribuire i demo dell’album. Dopo aver assistito ad un concerto dei Plurima Mundi, decisi di avvicinarmi al maestro Massimiliano Monopoli, violinista e fondatore della band, e di lasciargli una copia per fargli ascoltare il nostro prodotto in quanto “colleghi di genere musicale”, in modo da creare un contatto ed eventuali collaborazioni future. Dopo un paio di mesi, quando la faccenda era caduta nel dimenticatoio, mi arrivò una telefonata del maestro Monopoli: aveva trovato il mio cd dimenticato nella custodia del suo violino, l’aveva ascoltato ed era certo che un lavoro del genere non potesse rimanere non prodotto. Pertanto, con la massima disponibilità, mi passò i suoi contatti, tra cui quello di Vannuccio Zanella, ed il resto penso sia intuibile.
Com’è stato accolto il vostro lavoro da pubblico e critica, in Italia e all’estero?
F.F.: Decisamente molto bene, direi anche sopra le aspettative. Sono arrivati consensi, quasi da ogni parte del mondo!
I compiti all’interno de Il Sogno di Rubik sono, dunque, equamente divisi: Cosimo si occupa della parte testuale e vocale mentre Francesco di quella musicale. Ma come nasce, in generale, un brano de Il Sogno di Rubik e come avviene la “fusione” dei due aspetti?
C.D’E.: Credo che il termine migliore per descrivere ciò che avviene quando nasce un nostro pezzo sia “sintonia”, dato che io e Francesco spesso, senza parlare, ci troviamo, da un punto di vista artistico-musicale, esattamente dove dovremmo essere, con l’idea giusta. Questo non vuol dire che non discutiamo mai o che non abbiamo, a volte, punti di vista differenti, ma quando necessario sappiamo restare nell’ascolto dell’altro e nutriamo grande fiducia e stima reciproca. Spesso partiamo da un’idea musicale, altre volte dal contenuto che una nostra canzone potrebbe avere, per incuriosire e catturare l’attenzione dell’ascoltatore. Ti porto un esempio pratico su un nuovo brano che abbiamo realizzato per il prossimo disco. Stavo scrivendo un pezzo sotto alcuni aspetti davvero assurdo e immaginavo di cantarlo su uno strumentale altrettanto fuori dagli schemi che mi permettesse vocalmente di esprimere quello che mi piace chiamare “un ordinato caos creativo”. Detto, fatto. Ne parlammo, ci piaceva l’idea anche se ne capivamo la difficoltà e in breve tempo Francesco realizzò la bozza di quello che oggi è uno dei miei pezzi preferiti all’interno del nostro prossimo album.
F.F.: Dipende, nella maggior parte dei casi siamo partiti da un’idea musicale e poi si è sviluppato il resto, ma ci sono anche casi dove da un testo, o un’idea di testo, ho cercato di sviluppare la giusta rappresentazione musicale. Comunque, al di là del punto di partenza, durante la realizzazione ci confrontiamo… anche se ormai abbiamo raggiunto un punto d’intesa tale da trovarci in sintonia, motivo per cui i confronti servono solo a darci conferma di questo.
Com’è, pertanto, lavorare in due? Ad oggi, escluso il fronte live, non avete mai sentito l’esigenza di allargare la squadra?
C.D’E.: Probabilmente proprio grazie alla “risonanza” che c’è tra di noi, ad oggi posso dirti che lavorare in due ci è piaciuto moltissimo. Mi ritengo molto fortunato perché Francesco oltre ad avere una grande visione di insieme quando compone, ha l’incredibile capacità di tradurre splendidamente in musica tutto quello che mi passa per la testa. “Due cose simili si attirano e si amplificano, due cose differenti si respingono”. Per il futuro vedremo, anche se posso già anticiparti che a breve ci sarà un maggiore coinvolgimento di altri elementi, in studio e non solo.
F.F.: Dal punto di vista psicologico, lavorare in due, specie con la sintonia che abbiamo, è molto semplice e rilassante. Dal punto di vista musicale, invece, è molto faticoso perché devo comporre le parti di tutti gli strumenti e registrarle o programmarle da solo.
Comunque, la possibilità di allargare la squadra non è da escludere. Come sempre non ci poniamo mai limiti.
Sulla vostra pagina Facebook vi definite Italian Progressive Punk Rock Band. Quando, dunque, avviene l’incontro (e lo scontro) tra Prog e Punk? E com’è la “convivenza” tra due generi piuttosto distanti “caratterialmente”?
C.D’E.: Il termine “punk” è stato suggerito dalla nostra etichetta in seguito ai primi ascolti che avevano fatto su “Tentacles and Miracles”, poiché avevano sentito tale influenza, non tanto nello strumentale, quanto più nel mio modo di cantare alcune parti. Non è per me assolutamente importante definire e catalogare il mio stile vocale ma certamente tra i miei ascolti e tra le mie influenze c’è anche il punk.
F.F.: La definizione “progressive punk” nasce dal nostro editore Vannuccio Zanella, ed avendo grande stima ed essendo consapevoli della sua cultura musicale, l’abbiamo accolta con entusiasmo sulla pagina. Lungi da noi provare ad indirizzare la composizione…
E sempre restando sul fronte social, di recente avete pubblicato una foto in cui si vede Francesco al lavoro con Richard Sinclair. Cosa bolle, dunque, in pentola? Vi è possibile anticipare qualcosa?
C.D’E.: Hai detto bene. Nel pentolone del Sogno di Rubik bolle un ottimo gulasch e posso solo dirti che Mr. Sinclair sarà la paprika che lo renderà squisito.
F.F.: Ho avuto l’onore di conoscere Richard una ventina di anni fa perché la sua live band era composta da musicisti con i quali spesso ho collaborato. È un artista puro, una personalità che mi ha sempre affascinato. Ricordo con piacere l’apertura di un suo live con la mia band dell’epoca, nel 2005. La sera precedente ero nei salottini della sala in cui Richard stava provando. Al termine, uscì dalla sala con la sua chitarra e, venendomi incontro, accennammo una “Never let go” insieme. La serata proseguì tra cibo, vino e Richard che imperterrito continuava a suonare a tavola. Inutile precisare che il giorno seguente, recandoci presso il luogo del concerto, Richard, con la sua chitarra, suonò per tutto il tragitto. Per chiudere in bellezza il ricordo, al cambio palco, si avvicinò e mi disse: very good sound! Fui felicissimo!
Detto questo, rispondo alla domanda: Già nell’album “Tentacles and Miracles” avevo chiesto a Richard se volesse registrare qualcosa con noi e lui con grande umiltà ed entusiasmo mi rispose positivamente. A causa di una serie di impedimenti personali, nonché l’urgenza di pubblicare l’album, l’idea di collaborare con Richard non si concretizzò. Tuttavia, mi ripromisi che nel secondo disco, lui sarebbe stato “dei nostri”! Avevo 12 anni quando ascoltai per la prima volta “In the Land of Grey and Pink”…
Tornando al vostro aspetto live, il palco vede, appunto, esibirvi con una formazione a cinque (completata da Vito Rizzi, Massimo Bozza e Claudio Del Giudice). Come entrano in “orbita” Il Sogno di Rubik i tre musicisti e com’è suonare con loro dal vivo? E cosa c’è da aspettarsi da un vostro concerto?
F.F.: Il punto di forza della formazione live è la stima reciproca, di conseguenza suonare con loro è piacevole, rassicurante e non mancano i loro spunti nel creare arrangiamenti che rendano il live più entusiasmante! Da un nostro concerto c’è da aspettarsi energia, non intesa esclusivamente come “carica”…
Facendo un passo indietro, nel 2016 i Litfiba celebrano i trent’anni di “17 Re” con una compilation in cui compare anche la vostra versione di “Tango”. Mi raccontate l’esperienza?
C.D’E.: All’epoca “Tentacles and Miracles” era in fase embrionale ed avevamo solo due o tre brani realmente completi. Francesco mi parlò di questo contest fatto dagli stessi Piero e Ghigo per celebrare i trent’anni di “17 Re” ed essendo io un grande fan dei Litfiba, e in particolare di quell’album, non potei che essere d’accordo sul parteciparvi (ciò avrebbe significato mandare due nostri brani inediti). Fummo selezionati e ci affidarono l’eclettica e bellissima “Tango”. Per me è stato un onore cantarla e spero un giorno di poter ringraziare i Litfiba di persona per l’opportunità che ci hanno dato.
F.F.: Esperienza meravigliosa: io ho la fortuna di apprezzare svariati generi musicali e da piccolo sono stato un fan dei Litfiba. Conoscevo i testi di tutte e, sottolineo, veramente tutte, le loro canzoni. Essere scelti da loro, tra l’altro con due brani nostri inediti, a commemorare quello che è il disco artisticamente più importante della loro carriera, è stata un’emozione indescrivibile!
E restando in tema cover, di recente avete pubblicato una vostra versione di “Profondo rosso” (il brano) dei Goblin. Come va letta questa iniziativa? E quale piacere provate nel rileggere capolavori di questo calibro?
C.D’E.: Inutile dirti che siamo fan dei Goblin e di Dario Argento. L’idea di fare una cover per così dire “Rubik style” di Profondo Rosso è venuta a Francesco; ascoltando la sua prima stesura ho subito pensato che ci avrei tranquillamente potuto cantare scrivendo un testo ispirato al film, anche perché una cover in questi termini non era mai stata realizzata. Sotto certi punti di vista è stato un po’ un azzardo, ma abbiamo ricevuto ottime critiche e siamo molto soddisfatti del risultato raggiunto. Un pezzo bellissimo di storia musicale e cinematografica italiana come Profondo Rosso merita attenzione e giusto riconoscimento perché, al di là dei tecnicismi, è stato, ed è ancora oggi, grande fonte di ispirazione.
F.F.: Che dire… I Goblin penso sia evidente facciano parte delle nostre influenze. Abbiamo voluto affrontare con audacia questa “sfida”, ci siam detti “probabilmente ci odieranno”, ma noi non siam capaci di porci dei limiti nella creatività e quindi abbiamo modificato tutta la struttura del pezzo e per di più il “buon Cosimo” ha osato scrivere un testo ad hoc, creando una non convenzionale linea vocale. Un’esperienza piacevolissima e terrificante allo stesso tempo, come è giusto che sia, visto l’argomento…
Cambiando discorso, il mondo del web e dei social è ormai parte integrante, forse preponderante, delle nostre vite, in generale, e della musica, in particolare. Quali sono i pro e i contro di questa “civiltà 2.0” secondo il vostro punto di vista per chi fa musica?
C.D’E.: Per chi fa musica oggi è uno strumento sì importante, ma che a mio parere deve essere utilizzato con attenzione e parsimonia, senza perdere il contatto con la vita reale perché il rischio è quello di iniziare a scambiarlo con essa, perdendo il contatto vero e profondo con noi stessi e con gli altri.
F.F.: Diciamo che è cambiato il metodo di propagazione delle notizie. Prima ci si affidava alle tv, testate giornalistiche, le radio ecc., mentre oggi i social prendono la più grossa fetta della comunicazione in tutti i settori. Di contro, c’è il calo delle vendite dei dischi, ma non credo dipenda dalla “civiltà 2.0”: semplicemente ritengo che l’arte in generale sia diventata più “usa e getta” (non che non lo fosse già prima); al giorno d’oggi, la percentuale della popolazione interessata all’arte più elaborata è sicuramente diminuita.
E quali sono le difficoltà oggettive che rendono faticosa, al giorno d’oggi, la promozione della propria musica tali da ritrovarsi, ad esempio, quasi “obbligati” a ricorrere all’autoproduzione o ad una campagna di raccolta fondi online? E, nel vostro caso specifico, quali ostacoli avete incontrato lungo il cammino?
F.F.: Dunque, già vent’anni fa, avevo amici che producevano dischi lamentandosi della situazione già evoluta negativamente, in quanto le case discografiche esigevano il master già finito. Oggi, invece del master, siamo arrivati alla richiesta del singolo già prodotto da commercializzare in streaming. Noi abbiamo la fortuna di fare Prog, un genere che abbraccia un bacino d’utenza che ha ancora voglia di acquistare i dischi e che, soprattutto, li ascolta dall’inizio alla fine.
L’autoproduzione non è male. Ti permette di fare tutto quello che ti passa per la testa: poi se non dovesse piacere all’etichetta, pazienza… ma almeno hai creato il tuo prodotto!
Qual è la vostra opinione sulla scena Progressiva Italiana attuale? C’è modo di confrontarsi, collaborare e crescere con altre giovani e interessanti realtà? E ci sono abbastanza spazi per proporre la propria musica dal vivo?
F.F.: Noi siam venuti fuori praticamente in piena pandemia Covid-19, quindi non abbiamo avuto modo di stringere molti contatti. Per quello che vedo, c’è molto movimento di festival nel nord Italia, totale assenza nel meridione. Ma, nonostante questo, c’è un movimento Prog anche da queste parti: abbiamo assistito ai concerti degli Osanna, della PFM, de Il Banco, di De Scalzi, che ha suonato il “Concerto Grosso” con la nostra meravigliosa orchestra della Magna Grecia, nonché i restanti New Trolls in altre occasioni, i Soft Machine, alcuni componenti degli Hatfield and the North e altri gruppi. Insomma, non ci possiamo lamentare. Però, fuori da questo giro di band già affermate, credo che gli spazi per le nuove Prog band non siano tantissimi, perché, diciamoci la verità, siamo un po’ fuori contesto storico…
Esulando per un attimo dal mondo Il Sogno di Rubik e “addentrandoci” nelle vostre vite, ci sono altre attività artistiche che svolgete nel quotidiano?
C.D’E.: Dal 2008 sono il cantante e frontman della metal band Simus con cui siamo impegnati nella preproduzione del terzo album e attualmente lavoro anche ad un altro progetto, sempre con testi e voce ma dal carattere piu “made in Italy”, che dovrebbe uscire per l’estate 2022.
F.F.: Io ho sempre portato avanti più band contemporaneamente, ma al momento sto preferendo concentrarmi solo su questa, salvo collaborazioni veramente interessanti.
E parlando, invece, di gusti musicali, di background individuale (in fatto di ascolti), vi va di confessare il vostro “podio” di preferenze personali?
C.D’E.: Per me un podio è quasi impossibile anche perché non ne ho mai avuto uno, a meno che non si inizino a fare podi ex aequo da 10… Comunque ti direi: Tool, Meshuggah, King Crimson, Franco Battiato, Area, Ramones, Depeche Mode, Radiohead, Klaus Schulze… ma ce ne sarebbero molti molti altri.
F.F.: Qualora non si fosse capito: King Crimson su tutti! Ma, come dicevo prima, adoro tante band: passo dai The Mars Volta a Franco Battiato, dai Matching Mole agli Afterhours, dai Camel agli Iron Maiden, dai Gentle Giant ai Depeche Mode e potrei continuare all’infinito… Adoro Gracious, Arti & Mestieri, Locanda delle Fate, Standarte, High Tide, PFM, Tomorrow, Beatles, non riesco a fermarmi, sono veramente troppi!
Restando ancora un po’ con i fari puntati su di voi, c’è un libro, uno scrittore o un artista (in qualsiasi campo) che amate e di cui consigliereste di approfondirne la conoscenza a chi sta ora leggendo questa intervista?
C.D’E.: Alejandro Jodorowsky, Italo Calvino e Georges Ivanovič Gurdjieff.
F.F.: Sicuramente Herman Hesse mi ha aperto la mente con riscontri positivi anche nella composizione. In ambito Prog, non posso non segnalare chi sta facendo un grande lavoro per portare a conoscenza il vasto mondo del Prog come te, Donato Ruggiero, che ci hai voluti in questa meravigliosa iniziativa che è “Dialoghi Prog”. Cito anche Massimo Salari che ha portato alla luce tante band underground nei suoi scritti; Fabio Rossi che ha approfondito tutto il Prog classico, Athos Enrile con il suo Mat2020, Peter Patti con il suo “Zerovirgolaniente”, ecc. Ecco, in questo, la “civiltà 2.0” è stata molto utile, basta saper cercare, ed emergono tante realtà interessanti che prima ignoravo.
Tornando al giorno d’oggi, alla luce dell’emergenza che abbiamo vissuto (e che, in parte, stiamo ancora vivendo), come immaginate il futuro della musica nel nostro paese? E voi come avete vissuto (e state ancora vivendo) questo periodo, artisticamente e non?
C.D’E.: Nonostante tutto siamo rimasti agganciati ad un flusso positivo e non ci siamo fatti portare via ed assorbire dalle notizie negative. Possiamo dire di aver sfruttato ed ottimizzato al massimo questo lungo periodo perché, pur non potendo suonare dal vivo, artisticamente abbiamo creato davvero tanto materiale sia per il nuovo album che per i nuovi video, che pian piano stiamo pubblicando sul nostro canale YouTube. Abbiamo piuttosto vissuto l’emergenza come una grande opportunità di concentrarci e focalizzarci sui nostri obiettivi e come un tempo prezioso per pianificare dettagliatamente le migliori strategie per raggiungerli.
F.F.: Questo periodo di emergenza sanitaria, per me, è stato molto positivo dal punto di vista psicologico. Per forza di cose, si è eliminato il “superfluo” ed ho potuto dedicarmi al 100% alla composizione. Inoltre, credo che questo “clima pandemico” abbia in qualche modo creato delle nuove sensazioni da esprimere musicalmente.
Prima di salutarci, c’è qualche aneddoto che vi va di condividere sui vostri primi anni di attività?
F.F.: Ciò che ci ha sempre caratterizzato, che può sembrare paradossale, è l’aver interagito fin dall’inizio via sms, perché “qualcuno” è restio ad aggiornare i propri mezzi di comunicazione…
E per chiudere: c’è qualche altra novità sul prossimo futuro de Il Sogno di Rubik che vi è possibile anticipare?
C.D’E.: Album nuovo in uscita per il 2022 e mi fermo qui altrimenti rischio di spoilerare troppo.
F.F.: Certamente! Come si sarà capito, stiamo registrando un nuovo disco, o meglio, siamo in fase di mix. Un disco diverso, missato e masterizzato a Londra in coproduzione (volevamo dei suoni nuovi) con una grossa novità vocale che non svelo. Come già anticipato, abbiamo la partecipazione di Richard Sinclair e di altri musicisti classici…
Grazie mille ragazzi!
C.D’E.: Grazie a te per l’intervista e alla prossima.
F.F.: Grazie a te, Donato!
(Settembre, 2021)
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