Un caro benvenuto a Marco Causin (M.C.), Daniele Ravagnan (D.R.) e Paolo Ongaro (P.O.): Elisir d’Ambrosia.
M.C.: Grazie mille per averci concesso l’onore di questa intervista! È sempre un piacere dialogare con degli appassionati di musica.
D.R.: Ciao! Grazie mille, è un piacere immenso.
P.O.: Benvenuto a te e grazie per questa intervista.
Iniziamo la nostra chiacchierata con una domanda di rito: come nasce il progetto Elisir d’Ambrosia e cosa c’è prima degli Elisir d’Ambrosia nella vita di Marco?
M.C.: Prima degli Elisir d’Ambrosia, suonavo con una band di Progressive Metal chiamata Soul Mirror, nella quale militava anche Paolo Ongaro alla batteria e Alessio Uliana alle tastiere. Eravamo tutti ragazzini (Alessio aveva sedici anni credo) e suonavamo pezzi nostri! Anche se, a volte, le composizioni erano ingenue (mio modesto parere), eravamo interessanti. Peccato non aver inciso nulla.
Elisir d’Ambrosia: come avviene la scelta del nome?
M.C.: Non c’è un motivo particolare! L’ambrosia è il nettare degli dèi. Mi sembrava carino!
Il 2018 vi vede esordire con “Elisir d’Ambrosia”. La band in studio vede, accanto a Marco, anche Simone Sossai, Alessio Uliana e Andrea Stevanato. Come si arriva alla formazione definitiva?
M.C.: Ci sono stati un sacco di cambi di formazione, alcuni rilevanti altri meno! Simone, il batterista e fondatore, non è mai uscito completamente dal gruppo, ma si è preso una pausa. Paolo è un mio amico fraterno e gran batterista, quindi non c’è stato neanche il bisogno di chiedergli se volesse unirsi a noi. Inoltre, lui e Simone sono amici.
“Elisir d’Ambrosia”, dicevamo. Mi narri la sua genesi? E quali sono i temi trattati nei testi?
M.C.: Tutte le musiche ed i testi (“Tenebra” a parte, che è stato scritto da Andrea Stevanato, il nostro precedente cantante) sono state composte da me. Fondamentali, però, sono stati gli arrangiamenti di Alessio e di tutta la band. Alessio è anche un gran compositore, ma è entrato nella band quando i pezzi erano già scritti. Nei nuovi brani l’apporto compositivo di Alessio sarà più rilevante. Tornando alla domanda, ti posso dire che i testi sono molto oscuri e narrano le mie vicende personali (ovviamente con l’utilizzo di metafore). Credo di non essere molto bravo a scrivere testi allegri. Le musiche sono un po’ il sunto delle mie influenze musicali che spaziano molto in diversi generi (non solo Prog Rock ma anche metal, hard rock e musica cantautorale). Sono un grande appassionato di dischi e di musica!
Il Progressive Rock, quello di matrice settantiana, c’è tutto, ma non disdegnate suoni più duri, neri, contemporanei. Quali sono, dunque, le fonti d’ispirazione che ti hanno “guidato” nella composizione dell’opera?
M.C.: Potrei citare gruppi storici come PFM, Banco, Jumbo, Black Sabbath, Pink Floyd, Deep Purple (Blackmore è uno dei miei idoli da sempre), Queen, Dire Straits ma anche molto metal (Savatage, Iron Maiden, Dream Theater, Elegy, Threshold, Megadeth, Death SS, ecc.). Adoro anche il blues inglese ed americano, così come il grande pop di Peter Gabriel o Sting. Il mio artista preferito in assoluto resta comunque Fabrizio De Andrè.
L’album vede anche la presenza di alcuni ospiti speciali quali Riccardo Scivales, Paolo Ongaro, Riccardo Brun ed Enrico Callegari. Come nascono le collaborazioni (in special modo con Paolo… ma più avanti approfondiremo!) e cosa hanno portato in “dono”?
M.C.: Sono tutti amici! Persone fantastiche oltre che gran musicisti! Da tutti loro c’è molto da imparare. Riccardo Scivales è un maestro assoluto (basta sentire i Quanah Parker, il suo eccezionale gruppo, per rendersene conto) ed è una persona di grande spessore ed umiltà. Riccardo Brun ed Enrico Callegari sono due musicisti (entrambi polistrumentisti) che hanno una grande visione d’insieme (senza Enrico, che ha prodotto l’album, non andavamo da nessuna parte). Di Paolo c’è poco da dire: siamo amici d’infanzia e gli voglio bene più di un fratello, anche se ha volte mi fa incazzare (scherzo!!). Vorrei citare anche Alberto dalla Francesca, che ci ha aiutato a registrarlo.
Molto onirica e accattivante la copertina di “Elisir d’Ambrosia”. Mi parli un po’ della parte grafica?
M.C.: La parte grafica è stata curata da Simone Faggian, un ragazzo conosciuto durante un concerto da Andrea, il nostro precedente cantante. Sono stato io a chiedergli di mettere un lupo in copertina (è il simbolo della band). Io adoro i lupi!
Com’è stato accolto l’album da pubblico e critica?
M.C.: Non è stato praticamente accolto! Le poche recensioni sono state tutte entusiaste e lusinghiere, ma noi non siamo riusciti a suonare molto dopo la produzione del nostro lavoro. Inoltre, è autoprodotto. Questo limita fortemente la diffusione del lavoro. Anche se in alcuni negozi di dischi ben forniti del Veneto e del milanese, si trova.
Negli anni la formazione ha subito alcuni movimenti interni sino a giungere a quella attuale che vede, accanto a Marco e Alessio, anche Mattia Mariuzzo, Daniele Ravagnan e Paolo Ongaro. Come mai, dunque, questa sorta di instabilità?
M.C.: Perché è difficile trovare musicisti che amano questo tipo di musica nella provincia di Venezia.
E per Daniele e Paolo, come entrate in “orbita” Elisir d’Ambrosia? E cosa c’è prima di questa nuova avventura nelle vostre vite?
D.R.: L’ingresso negli Elisir è stata una cosa inaspettata. Marco mi scrisse un messaggio e lì è cominciato tutto, trovare un gruppo di genere Progressive per me era un sogno ed è bellissimo far parte di questo progetto. Naturalmente all’inizio ho fatto un po’ fatica ad ambientarmi anche per la differenza di età, ma la musica va oltre a queste barriere. Prima degli Elisir ci sono state tante altre cose, ho suonato con tanti gruppi e ho anche avuto qualche esperienza come turnista.
P.O.: Elisir D’Ambrosia è un progetto che ho sempre considerato molto valido e interessante, quindi, alla chiamata di sostituzione temporanea, non ho potuto dire di no! Conoscevo già i brani e per me era solo una gioia suonarli nonostante avessi altri progetti musicali in opera. Come già accennato da Marco nelle risposte precedenti, ci conosciamo e condividiamo la musica fin dall’adolescenza, una passione che ci ha portato sempre a grandi condivisioni e scontri costruttivi. Entrambi siamo cresciuti con il progetto Soul Mirror, poi le strade si sono divise per esigenze diverse. Personalmente ho avuto il modo di lavorare con molte band del territorio veneziano, sia di cover che di composizioni originali (spaziando per svariati generi musicali), con i quali ho avuto modo di svolgere molti live e lavori in studio di registrazione. Insegnante di batteria per alcune prestigiose scuole locali dal 2003 e dal 2005 faccio parte, in pianta stabile, nella band di Riccardo Scivales Quanah Parker dove, appunto, suoniamo Progressive Rock, che poi è il genere che amo di più suonare.
So che ci sono dei brani già pronti “in pentola”. Cosa prevede, dunque, il futuro? C’è qualcosa che è già possibile anticipare?
M.C.: Speriamo di poter registrare, magari con una qualità superiore, i brani nuovi. Purtroppo la situazione pandemica ed i precedenti cambi di formazione non hanno certamente contribuito alla band. Da poco abbiamo ripreso a suonare con costanza.
D.R.: Nonostante i vari intoppi, finalmente stiamo lavorando a materiale nuovo e il mio basso uscirà dalla sala prove. Alessandro (il bassista precedente) ha scritto per gli Elisir delle linee meravigliose e spero di rendere quanto lui nei nuovi pezzi, nonostante lo stile bassistico e il suono siano completamente diversi.
P.O.: Qualche brano è già pronto e molte buone idee ancora da sviluppare. Purtroppo, come dice Marco, questa pandemia non ci ha permesso di incontrarci e ci ha fatto ritardare molto. Ora che siamo ripartiti siamo carichi per realizzare questo atteso lavoro futuro.
Cambiando discorso, il mondo del web e dei social è ormai parte integrante, forse preponderante, delle nostre vite, in generale, e della musica, in particolare. Quali sono i pro e i contro di questa “civiltà 2.0” secondo il vostro punto di vista per chi fa musica?
M.C.: Il mondo del web permette di potersi informare molto velocemente. Una piccola band come la nostra può essere fruita da un utente che si trova dall’altra parte del mondo. Questo fattore è sicuramente positivo, anche se spesso la grande mole d’info che si trova in rete ha un valore altalenante. Il web è un terreno barbaro e spesso spietato e ci si può perdere, soprattutto se non si hanno le basi culturali e intellettive che ti permettono di distinguere le notizie dalle idiozie. La musica suonata, i dischi e ora anche i concerti (se escludiamo i soliti nomi affermati) non sono più quegli oggetti del desiderio che ti spingevano a mettere via i soldi per andare a comprarti il disco o il biglietto del live del tuo artista preferito. Non ci sono più le riviste specializzate che ti facevano conoscere band nuove e i concerti piccoli sono sempre più difficili da organizzare. Credo che il panorama sia desolante! Ovviamente ci sono una miriade di band fantastiche in giro, che suonano e continuano a fare musica. Ma quale seguito possono avere se non c’è nessun investimento su di loro e nemmeno questo grande interesse da parte dei ragazzi/e, se escludiamo gli
appassionati come noi? Personalmente continuerò a suonare ed a fruire della musica solida finché avrò vita, perché è la mia passione ed è intrinseco nella mia personalità.
D.R.: Internet è formidabile, ma come ogni cosa formidabile va usato nel modo giusto, le possibilità per scoprire musica e di divulgare la propria arte sono infinite, ma alla fine, come nel mercato solido, trovare l’utenza compatibile con te è un’impresa, soprattutto considerando le tendenze attuali. In entrambi i mondi, riuscire a trovare ciò che si cerca è un’impresa in un modo o nell’altro.
P.O.: Credo che oggi il mercato musicale sia cambiato totalmente dal passato, molto mordi e fuggi. Basta vedere che le grandi band restano sempre e solo quelle storiche e ben poche quelle di oggi che, fatta una super hit, poi spariscono nel dimenticatoio. Oggi chiunque, anche senza un’etichetta discografica, può ritagliarsi un momento di gloria. Il web, appunto, è una vetrina dove tutti si possono esporre, quindi, in questo senso, è più facile rispetto un tempo farsi conoscere (chi più chi meno). Lo trovo un mezzo utile soprattutto per le tante band del panorama underground come noi. Da un altro lato credo che la massa e l’ascoltatore siano cambiati, nel senso che non ci si ferma più ad apprezzare ed ascoltare un’opera completa di un’artista, non si ricerca più l’acquisto di un disco ma tutto si consuma nel web velocemente e velocemente si passa ad altro!
E quali sono le difficoltà oggettive che rendono faticosa, al giorno d’oggi, la promozione della propria musica tali da ritrovarsi, ad esempio, quasi “obbligati” a ricorrere all’autoproduzione o ad una campagna di raccolta fondi online? E, nel vostro caso specifico, quali ostacoli avete incontrato lungo il cammino? Non avete mai pensato di tentare la “carta” etichetta discografica?
M.C.: Non voglio fare di tutta l’erba un fascio, ma le etichette discografiche underground non garantiscono nessuna distribuzione degna di nota. Spesso sono formate da amatori che propongono dei contratti demenziali a discapito delle band. Proprio perché la musica è ormai stata smembrata, dovremmo essere tutti “nella stessa barca”, per cercare di promuovere delle iniziative culturali. La mia non vuole essere una pregiudiziale, pertanto sono sempre pronto ad essere smentito.
D.R.: Alla fine rivolgersi a un’etichetta indipendente e autoprodursi porta gli stessi risultati, naturalmente le attenzioni delle grandi labels vanno verso ciò che cercano le masse, non di certo le nicchie, e noi naturalmente siamo una nicchia. La formula per riuscire ad avere risultati degni di nota è l’equilibrio tra talento, impegno e un grandissimo colpo di fortuna. Ora molti artisti sono i tecnici, produttori, grafici e promoter di sé stessi, e magari con qualche movimento giusto si può ottenere anche un risultato soddisfacente.
P.O.: A mio parere posso dire che ad oggi, rispetto al passato, è molto più semplice autoprodursi grazie a mezzi e costi molto più contenuti. Questo dà libertà anche ad un’artista di potersi esprimere liberamente nella totalità delle proprie idee. Non sempre è facile, però, promuoversi e qui sposo le parole di Marco Causin. Purtroppo l’underground italiano, ai giorni nostri, è fatto di grandi appassionati, così anche le piccole etichette (parlo per l’ambito Progressive Rock), che spesso fanno promesse che poi non sanno mantenere, cercano di lucrare alle spalle della buona fede, d’altro canto le major italiane non ti guardano neanche, almeno che tu non abbia un nome derivante dagli anni ‘70!
L’aver pubblicato inizialmente il vostro album nel solo formato digitale non vi ha fatto sentire un po’ “limitati” o, addirittura, “estromessi” dal mercato discografico Progressivo? Mi spiego meglio, la maggior parte degli ascoltatori del genere è anche un “feticista” del supporto fisico (sia esso LP o CD)…
M.C.: Il formato CD esiste. Sono state stampate diverse copie che si possono trovare in alcuni (pochi) negozi di dischi importanti (vedi i “Dischi Volanti” a Verona; Green Record a Padova o alla Lovat a Villorba). Ai nostri prossimi concerti, ci saranno anche le copie fisiche del disco.
D.R.: Alla fine, se qualcuno apprezza un determinato artista lo può ascoltare su qualsiasi supporto, naturalmente è più soddisfacente avere sottomano una copia fisica, ma alla fine la musica è musica.
P.O.: È possibile acquistare il cd fisico anche contattando direttamente Marco Causin.
Facendo un parallelo tra letteratura e musica, tra il mondo editoriale e quello discografico, è, non di rado, pensiero comune etichettare un libro rilasciato tramite self-publishing quale prodotto di “serie B” (o quasi), non essendoci dietro un investimento di una casa editrice (con tutto il lavoro “qualitativo” che, si presume, vi sia alle spalle) e, in poche parole, un giudizio “altro”. In ambito musicale percepite la stessa sensazione o ritenete questo tipo di valutazione sia ad uso esclusivo del mondo dei libri? Al netto della vostra esperienza, consigliereste alle nuove realtà che si affacciano al mondo della musica la via dell’autoproduzione?
M.C.: Mah, io ho nella mia discografia un sacco di dischi underground. Chiaramente la pochezza di mezzi e la qualità di registrazione potrebbe essere considerato un limite. Credo che questo tipo di produzione vada sempre contestualizzata: è chiaro che se noi paragoniamo un lavoro underground con una produzione miliardaria, facciamo un grande errore di valutazione. Dobbiamo imparare ad ascoltare con le orecchie allenate per poter apprezzare questo tipo di suono più povero, anche perché spesso possiamo trovarci di fronte ad una grande qualità, sia per quanto riguarda le capacità dei musicisti, sia per le idee (ovviamente sto parlando in generale, non sono di certo autocelebrativo).
D.R.: La buona musica va oltre alla qualità, spesso anche produzioni colossali hanno una qualità inferiore a certi dischi di basso rilievo, nonostante i mezzi e i nomi alla fine. Se la musica vale, si può ottenere qualcosa di soddisfacente. Non esiste serie A o serie B, piuttosto esiste ciò che è bello e ciò che è brutto.
P.O.: Sposo il pensiero di Marco Causin.
E qual è la vostra opinione sulla scena Progressiva Italiana attuale? C’è modo di confrontarsi, collaborare e crescere con altre giovani e interessanti realtà? E ci sono abbastanza spazi per proporre la propria musica dal vivo?
M.C.: La scena Progressiva Italiana è colma di grandi gruppi (Quanah Parker; VIII Strada, Mad Fellaz, Lamanaïf, Quarto Vuoto, Give us Barabba, ecc.). Gli spazzi per proporre la propria musica dal vivo sono quasi inesistenti.
D.R.: La musica dal vivo in questo scenario è quasi inesistente e purtroppo non ho avuto ancora modo di entrare in un ambiente del genere al di fuori degli Elisir. Spesso anche l’arroganza di molti peggiora la situazione. Sono stato rifiutato da gruppi anche di basso livello esecutivo sentendomi dire che “sono giovane e di conseguenza incapace”. Finché ci sono realtà del genere, anche pensare a una community o a un grande festival diventa impossibile, alla gente piace massacrarsi a vicenda.
P.O.: Oggi ci sono molte band valide nell’ambito Progressive Rock Italiano, basta essere curiosi e se ne scoprono a centinaia. Personalmente ho avuto piacere di collaborare con band odierne e del passato in alcuni festival del settore, o aprendo il concerto per esse, e ho trovato sempre grande condivisione e collaborazione. Purtroppo mancano i live frequenti, nel senso che per poter presentare questo genere al pubblico o ci si prende carico di un organizzazione di un evento o si ha la fortuna di trovar spazio in qualche evento organizzato da altri appassionati. Personalmente con i Quanah Parker siamo riusciti a portare in teatro questo genere creando il “Rock Progressive Festival” (arrivato alla quarta edizione prima della pandemia) presentato al teatro Astra di San Donà di Piave con artisti del passato e dei nostri giorni sullo stesso palco. Posso dire che l’impresa non è stata facile e ha richiesto (oltre a tanta burocrazia) un lavoro durato mesi, ma alla fine e stato molto soddisfacente.
Esulando per un attimo dal mondo Elisir d’Ambrosia e “addentrandoci” nelle vostre vite, ci sono altre attività artistiche che svolgete nel quotidiano?
M.C.: Beh, certamente. Io non faccio il musicista professionista. Sono uno psicologo e lavoro come educatore in una struttura per disabili intellettivo relazionali da moltissimi anni.
D.R.: Io sono uno studente e punto a lavorare come musicista professionista, sono nato come violinista e ho suonato con varie orchestre ma il basso è la morte mia. Suono in una live band da intrattenimento (Frittura Mista) e in un meraviglioso trio fusion (Asian Turtle Project), ho anche un progetto da solista (Rava) e sta per uscire il mio primo CD.
P.O.: Oltre alla musica sono un grande collezionista di dischi e strumenti musicali a percussione, credo che anche la ricerca di questi oggetti possa essere una forma d’arte…
E parlando, invece, di gusti musicali, di background individuale (in fatto di ascolti), vi va di confessare il vostro “podio” di preferenze personali?
M.C.: Fabrizio De André.
D.R.: Pink Floyd, Muse, King Crimson e Franco Battiato.
P.O.: Difficile rispondere, vado molto a periodi e adoro molti artisti di svariati generi, difficile riassumere con due nomi.
Restando ancora un po’ con i fari puntati su di voi, c’è un libro, uno scrittore o un artista (in qualsiasi campo) che amate e di cui consigliereste di approfondirne la conoscenza a chi sta ora leggendo questa intervista?
M.C.: “L’antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters, ma anche “I fiori del Male” di Charles Baudelaire.
D.R.: “Narciso e Boccadoro” di Herman Hesse, questo libro ha ispirato la maggior parte della mia musica e rappresenta i concetti che plasmano la mia filosofia di vita.
P.O.: Nell’ambito cinematografico Woody Allen! Regista non sempre capito e a volte snobbato dalle masse ma credo che sia uno dei geni della cinematografia.
Tornando al giorno d’oggi, personalmente e artisticamente, come avete affrontato e reagito al “periodo buio” della pandemia che abbiamo vissuto recentemente (e che, in parte, stiamo ancora vivendo)? Pensate che l’arte e la musica, in Italia e a livello globale, siano state solo “ferite di striscio” o abbiano
subito un “colpo mortale”?
M.C.: Siamo stati fermi più che mai. Fermi immobili senza la possibilità di vederci e suonare. Credo che la musica abbia subito un colpo mortale. Credo che anche oggi continui ad essere martoriata nel disinteresse più totale dei più. Ho 42 anni, non sono di certo Matusalemme, ma nemmeno un ragazzino, e non credo di aver mai visto in vita mia la musica così ferita ed umiliata.
D.R.: Le arti sono crollate, la musica ha subito un colpo letale e per i giovani musicisti (me compreso) sarà una strada più difficile che mai, certo la quarantena ha ispirato molta gente e molti han comprato la prima chitarra mentre erano chiusi in casa. Si spera solo in un gran ritorno, dipende anche dalla volontà degli artisti.
P.O.: Concordo con Marco.
Prima di salutarci, c’è qualche aneddoto che vi va di condividere sui vostri primi anni di attività?
M.C.: Tanti ricordi mentre ci scambiavamo i dischi (soprattutto con Paolo). Ma sono cose che continuiamo a fare anche da adulti. Mi ricordo che tutti i weekend prendevo il treno da Milano a Venezia, solo per suonare con la mia band! Una follia che poi accomuna tutti i musicisti che amano nel profondo la musica, sia i giganti sia quelli piccoli e sconosciuti come me.
D.R.: Suono dal vivo da cinque anni, questi sono i miei primi anni di attività! Vivo praticamente in treno, sono sempre in giro per cercare di suonare o trovare qualche data. Un aneddoto simpaticissimo è stato quando con i Frittura Mista abbiamo letteralmente sfondato il palco!
P.O.: Ho un bellissimo ricordo da bambino che mi porto sempre nel cuore e che è stato poi il trampolino di lancio per convincere i miei genitori a farmi suonare la batteria. Premetto che la mia famiglia ha sempre lavorato nell’ambito della ristorazione, quindi fin da bambino mi trovavo in mezzo a pentole e stoviglie che rubavo temporaneamente per creare il mio set di batteria, due cucchiai alla mano e lì facevo un sacco di baccano tutto il giorno… Immagino la gioia dei mie genitori! Credo che quasi tutti i batteristi abbiano iniziato così!
E per chiudere: c’è qualche altra novità sul prossimo futuro degli Elisir d’Ambrosia che vi è possibile anticipare?
M.C.: Non ci sono grandi novità: speriamo di riprendere a suonare la nostra musica dal vivo ed a dare voce ai brani nuovi con un nuovo lavoro.
D.R.: L’unica novità possono essere le nuove tracce, mi piacciono molto e spero di salire finalmente sul palco con gli Elisir per eseguirle dal vivo.
P.O.: Sicuramente sarà un disco da possedere nella propria collezione… Altro non posso dire.
Grazie mille ragazzi!
M.C.: Grazie a te. Un saluto.
D.R.: É stato un piacere, alla prossima!
P.O.: Grazie mille a te.
(Giugno, 2022 – Intervista tratta dal volume “Dialoghi Prog – Volume 3. Il Rock Progressivo Italiano del nuovo millennio raccontato dai protagonisti“)
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