Un caro benvenuto a Paolo Musolino (P.M.), Marco Palma (M.P.), Paolo Perilli (P.P.), Luciano Stendardi (L.S.), Daniele Sorrenti (D.S.) e Damiano Daniele (D.D.): Laviàntica.
Laviàntica: Ciao Donato!
Iniziamo la nostra chiacchierata dalle origini: Alterego. Come nasce il progetto che “amalgama” il bagaglio di rock classico di Marco e Paolo P. con la New Age ed elettronica mista ad accenni di fusion jazz di Luciano e Paolo M., creando una “miscela” Neoprog? E cosa c’è nelle vostre vite prima degli Alterego?
P.M.: Io e Luciano ci conosciamo sin dall’età di sei anni ed è proprio vedendo lui al piano verticale regalatogli dai genitori che sviluppai una grande curiosità verso la musica suonata! Comprai una tastiera e assieme suonavamo interi pomeriggi. Con il passare del tempo ci rendemmo conto che la cosa appassionava entrambi ed ascoltavamo spesso i dischi in vinile del fratello maggiore: soprattutto Genesis e Brand X, ma poi spaziavamo su diversi generi musicali. Intorno ai 14/15 anni decidemmo di formare un gruppo con altri due amici (Pierpaolo e Claudio), rispettivamente batterista e chitarrista, ma fu una esperienza poco produttiva. Per un po’ continuammo quindi da soli ma con la grande novità di un nuovo parco strumenti: Luciano passò al piano elettrico e io mi dilettavo con un Davolisint monofonico dai suoni molto particolari! Questo set di strumenti ci limitava molto sul piano delle sonorità ma avevamo deciso che comunque ci saremmo dati alla musica originale. Un paio di anni dopo incontrammo Paolo Perilli e Marco Palma in un importante negozio di strumenti della zona. Suonavano strumenti complementari ai nostri e bastò una chiacchierata per capire che eravamo sulla stessa lunghezza d’onda!
P.P.: Eravamo adolescenti e abitavamo tutti nello stesso quartiere di Roma (Montesacro). Io conoscevo già Paolo Musolino e Marco conosceva già Luciano Stendardi ma non sapevamo del reciproco interesse per la musica. Un pomeriggio, come ricordato da Paolo M., ci incontrammo in un negozio di strumenti musicali e decidemmo di fare qualcosa assieme. La particolarità interessante è che tutti noi ci cimentavamo già in pezzi originali e non era assolutamente un fatto scontato. Loro facevano cose molto d’atmosfera (un po’ alla Tangerine Dream per capirci) e noi eravamo decisamente più Classic Rock. Avevo altri amici che suonavano e la maggior parte si specializzava in cover di band famose. Nel periodo immediatamente precedente, io e Marco ci vedevamo spesso per fare musica assieme ad un altro amico e occasionalmente suonavamo con un batterista. Eravamo tre chitarristi ma, visto che ero il meno “dotato”, fui scelto per suonare il basso!
M.P.: Prima degli Alterego suonavo con un compagno di scuola, anche lui chitarrista. Cercavamo di riprodurre brani dei nostri gruppi preferiti, soprattutto Deep Purple e Led Zeppelin. Dopo aver incluso Paolo P. come bassista (che conoscevo dai tempi dell’adolescenza) abbiamo tentato la strada della scrittura di pezzi originali, di stampo rock e cantati in italiano, fino all’incontro con Paolo M. e Luciano. Quando abbiamo iniziato a sviluppare brani con la nuova formazione, l’altro chitarrista ha preferito seguire altre strade. La musica scaturita da noi quattro rimasti era appunto una miscela tra le nostre due differenti “anime” musicali.
L.S.: Durante il periodo delle scuole medie, ma già dall’ultimo anno delle elementari (la nostra prima composizione fu una canzonetta per la fine della quinta elementare), io e Paolo M. consolidammo la nostra amicizia condividendo la passione per la musica e per i nostri rispettivi strumenti. Io più orientato e affascinato dalle emozioni che un pianoforte può regalare, intrinseche del suono caratteristico dello strumento, con capacità espressive altissime; Paolo M., invece, più preso dalle potenzialità delle atmosfere create dai suoni elettronici, dai soft synth, dai violini e da tutto ciò che poteva ricondurre ad una citazione del nostro background musicale (Genesis in primis per entrambi, poi Pink Floyd, Peter Gabriel, molti musicisti appartenenti alla Windham Hill Records – come deriva New Age per me -, Pat Metheny e Lyle Mays per entrambi). La “Fusione” tra noi due era esattamente questo: il piano presente nei dischi di Metheny – a saperlo suonare! – e le sonorità più soft rock dei Genesis.
Durante i primi anni delle medie conobbi un amico con la passione per il sax; frequentammo per un paio di anni una scuola di musica decisi ad orientarci verso il jazz. Mi ricordo interi giorni passati a suonare in casa dei miei, con la partecipazione anche di Paolo M. Eravamo comunque molto piccoli e inesperti, il progetto non si concretizzò ma io e Paolo M. rimanemmo comunque legati all’interesse per la musica e la cosa ci consentì di proseguire.
Successivamente ci fu quell’incontro fortuito in un negozio di strumenti musicali con Paolo P. e Marco; conoscevo già bene Marco perché abitavamo nelle stesse palazzine e Paolo P. era una conoscenza di quartiere. Parlammo di musica, dei rispettivi interessi, di un eventuale progetto insieme e di dove poter suonare (all’epoca potevamo suonare principalmente da me perché l’unico piano che avevo era un acustico verticale che mi regalarono i miei). Pomeriggi felici nella mia cameretta, con il piano “aperto” sulla parte anteriore, cavi a terra e amplificatori con un volume esagerato. Le nostre prime ed embrionali composizioni videro la luce proprio lì, nella cameretta celeste.
Arrivarono anche strumenti nuovi, un piano trasportabile, per gentile concessione dei miei genitori, che per inciso mi hanno sempre appoggiato/sopportato, e arrivò anche la nostra prima “saletta” allestita nella cantina di Paolo M., foderata con gli immancabili cartoni per l’imballo delle uova. Quello fu l’inizio degli Alterego.
D.S.: Sfortunatamente per loro io dovevo ancora nascere!
Una cosa che mi ha davvero incuriosito sui vostri primi anni è il vostro “piglio tecnologico” che vi vede tra i primi italiani a sfruttare la multimedialità del web iscrivendosi nel 1998 alla versione 1.0 del primo vero sito di free music sharing (www.mp3.com). Come nacque l’iniziativa e come si sviluppò?
P.M.: Intanto diciamo che da sempre i più pratici in fatto di informatica della band erano (e sono) Paolo Perilli e Marco Palma. In quel periodo non mi spiegavo come Paolo facesse a trascorrere tutto quel tempo davanti al computer, fin quando un giorno ci parlò di questa possibilità. L’idea di esportare un nostro brano (“Bird Without Wings”) oltre i confini nazionali ci sembrava incredibile, ma così fu e raggiunse anche un’ottima posizione in classifica. Probabilmente ha aiutato anche il fatto che il brano fosse scritto in inglese, rendendolo più appetibile ad un pubblico internazionale.
P.P.: Successe un po’ per caso. Nel 1998 internet era ancora una novità per la maggior parte delle persone. Mi ricordo che al tempo possedevo un modem US Robotics a 56K che permetteva di scaricare un brano musicale compresso in formato MP3 a 128kbps di media lunghezza in circa quindici minuti. Un’eternità. Non era ancora il momento del free sharing e di Napster ma già esistevano siti specializzati in musica dove era possibile scaricare legalmente brani musicali da artisti di tutto il mondo. Al tempo www.mp3.com era molto ben strutturato ed era suddiviso per genere musicale. Un po’ per gioco caricammo il file di un nostro pezzo registrato anni prima con un multitraccia analogico a cassette. Il pezzo si intitolava “Bird Without Wings” ed era composto principalmente da me, anche se poi arrangiato con l’aiuto di tutti i componenti del gruppo. La formazione al tempo era composta da me, Marco, Paolo Musolino e Andrea Bongiovanni alla batteria. In quel periodo Luciano si era allontanato dal gruppo ed eravamo rimasti in quattro. Dopo pochi giorni iniziammo a ricevere i primi commenti positivi e il pezzo saliva sempre di più nella classifica. Erano tantissimi brani da gruppi provenienti da tutto il mondo ed alcuni erano anche molto bravi e preparati. Il nostro era poco più di un demo eppure piaceva. È stata la prima volta che abbiamo ricevuto un feedback su scala internazionale. Per noi fu un grande successo!
M.P.: All’epoca lo standard mp3 era esploso su internet come mezzo per scambiare musica. C’era questa opportunità di far ascoltare brani originali in giro per il mondo e, visto che avevamo alcuni brani pronti, abbiamo provato a caricarne uno, ricavandone molta soddisfazione, come già spiegato da Paolo P.!
L.S.: In questo periodo “tecnologico” io ero assente.
Oltre al brano “Bird Without Wings” (che, appunto, raggiunse la posizione numero 10 nella sezione Progressive Rock Internazionale su www.mp3.com), avete scritto dell’altro materiale prima di trasformarvi in Laviàntica? E qualcosa di quell’esperienza fa ancora parte del vostro repertorio?
P.M.: Ci sono state diverse composizioni, tra cui “Apice”, “Approccio ortogonale”, “Pieces of Mind”, “Charleston”, “Sogni”, “Nightfly”, “Bird Without Wings” e altre. Ad alcune di queste ero anche affezionato e mi sono ripromesso di riprenderle, ma le idee che abbiamo sono in costante evoluzione e, forse, è più semplice lavorare su materiale nuovo. Alcune parti sono state riprese e funzionano molto bene, come, ad esempio, nel caso di “Nel Vento”, ma è difficile collegarle a brani del passato da cui provengono.
P.P.: Non avevamo ancora un repertorio molto vasto ma avevamo diversi brani che continuavamo a mettere a punto. Molti di quei pezzi sono finiti su “Clessidra” (il nostro primo album) gli altri sono stati accantonati perché, prima di pubblicare il disco, avevamo già altri brani che abbiamo ritenuto più maturi e interessanti. “Nel Vento”, “Laviàntica”, “Sole”, “La Pioggia” e “Tempo” sono stati composti tra la fine degli anni ’80 e gli anni ’90. Ne abbiamo scartati parecchi (tra i quali la stessa” Bird Without Wings”) e non è detto che non riprenderemo in futuro, magari con qualche modifica per attualizzarli. Chissà…
M.P.: Quando abbiamo deciso di creare il primo album, abbiamo anche trovato il nuovo nome, Laviàntica. Da allora in poi il lavoro è stato quello di prendere tutto il materiale che avevamo a disposizione, scegliere le cose migliori e riarrangiarle al meglio. A questo proposito l’incisione su piste ci ha enormemente aiutato a mettere a punto i brani che poi sono finiti su “Clessidra”.
L.S.: Ricordo bene gli anni precedenti alla pubblicazione di “Clessidra”; anche se non avevamo ancora avuto esperienza in fatto di pubblicazione di album, avevamo le idee chiare sulla direzione da intraprendere. Dopo anni di saletta insieme, tante composizioni, tanti tentativi, avevamo acquisito la capacità di “sentire” cosa ci avrebbe rappresentato al meglio come gruppo. Scegliemmo di scendere in campo con il nostro primo album, iniziammo a fare sul serio e questo ci diede una ulteriore carica; nessuno di noi era (o è) un professionista nel mondo della musica, ma in quel momento ci sentivamo al settimo cielo, oberati di lavoro, di tracce da incidere, di arrangiamenti da affinare e ci sentivamo bisognosi di un nome nuovo per sottolineare il cambio di passo.
Come anticipato in parte nella precedente domanda, ad un certo punto, dopo alcune “turbolenze interne” che hanno rallentato il cammino della band, tornate in scena con un nuovo nome: Laviàntica. Quando nasce, dunque, la volontà di riprendere la strada (quasi) interrotta? E come mai il cambio di nome?
P.M.: Ripensando alla grande passione che ci ha unito in questi anni (e non sono pochi) sembra strano che ci fossimo allontanati, di fatto sciogliendo la formazione. Ci eravamo trovati ad un punto morto e, dopo numerose prove in sala senza risultati rilevanti, è decaduto un po’ l’interesse anche per mancanza di un obiettivo. Luciano era già fuori da un po’ e pian piano ognuno si è agganciato con altre formazioni… senza rancore. Un giorno misi giù un pezzo con la chitarra (“Clessidra”) e chiamai Luciano per aiutarmi ad arrangiarlo. Chiamammo anche Marco per la chitarra e poi Paolo per il basso… Anche se era trascorso qualche anno ci ritrovammo insieme come se nulla fosse, anzi, ognuno arricchito di esperienza e con maggiore consapevolezza della nostra chimica! Lavorammo inizialmente con più tranquillità, a casa di Marco Palma che aveva allestito una sorta di “Home studio”, poi decidemmo di fare un passo più importante creando uno studio vero e proprio in uno spazio messo a disposizione sempre da Marco e, soprattutto, decidendo di incidere il primo CD! A questo punto occorreva un nome che desse una identità rinnovata e dopo una rosa di nomi proposti scegliemmo “Laviàntica”, una contrazione della frase “La Via Antica” ad indicare una certa linea stilistica…
P.P.: Come già anticipato, verso l’inizio degli anni ’90 Luciano decise di interrompere la collaborazione e siamo rimasti in quattro. Con l’inizio dei 2000 abbiamo iniziato a fare ognuno diverse esperienze musicali diverse e il gruppo si era un po’ “smembrato”. Ci continuavamo a vedere in amicizia ma non per suonare, a parte alcuni momenti isolati in cui siamo stati chiamati a collaborare con una cantante per una produzione di genere totalmente diverso. In quel periodo iniziammo la nostra collaborazione con Andrea Schiappelli, che poi rimase con noi per diverso tempo. Qualche anno più tardi (non ricordo bene il momento preciso), Luciano manifestò interesse per riprendere la collaborazione. Inizialmente si vedevano solo Luciano, Paolo Musolino e Marco e il lavoro consisteva principalmente nella composizione di nuovi brani (“Icaro” e “The Journey” sono stati concepiti in quella fase, anche se in fase embrionale). Io ero ancora impegnato con un altro gruppo che stava funzionando e quindi non avevo molta disponibilità. Verso il 2007 abbiamo rimesso stabilmente in piedi il gruppo con la formazione che è rimasta inalterata fino alla pubblicazione di “Clessidra” e del periodo immediatamente successivo. Se non sbaglio la decisione di chiamarci Laviàntica è nata proprio in quel momento; volevamo trovare un nome più originale rispetto ad Alterego e vedevamo la cosa come una sorta di “rinascita”.
M.P.: Come detto prima, il nome è nato dopo aver deciso di incidere un album, perché il nome Alterego era già stato utilizzato da più di una band nel mondo, e una di queste ci mandò una e-mail di diffida dall’utilizzo del nome. Abbiamo a maggioranza optato per Laviàntica, che era già il nome dato da Paolo M. alla minisuite che è poi finita nel primo album. Io ho appoggiato questo nome anche perché, essendo un neologismo, sarebbe stato molto semplice fare le ricerche su internet. Se metti il nostro nome su un motore di ricerca trovi infatti solo notizie che ci riguardano.
L.S.: Per ciò che riguarda le turbolenze interne personali, posso dire che negli anni ‘90 persi gradualmente interesse nel progetto per cause matrimoniali. La mia vita cambiò e persi di vista una delle cose più importanti per me. Per diversi anni non toccai una sola nota di piano con la scusa che ormai, con moglie e figlio, dovevo crescere. Tornai nel gruppo una decina di anni dopo senza aver intrapreso alcun percorso di crescita. I miei amici e la musica condivisa mi “guarirono” dalle conseguenze del mio divorzio. Ricominciai quando Paolo M. mi contattò per arrangiare “Clessidra”, ci rivedemmo più o meno tutti nello stesso periodo e ricominciammo dandoci l’obiettivo di produrre il nostro primo album. Questo segnò l’inizio dei Laviàntica.
D.S.: Secondo me non lo sanno neanche loro perché hanno cambiato nome…!
Il nuovo nome vi dà quella spinta in più che vi porta alla realizzazione del vostro primo album “Clessidra” (2013). Mi narrate la sua genesi? Com’è vi siete approcciati al tema del concept (il Tempo) e come è stato “trasformato” nei brani che compongono l’opera?
P.M.: Dopo esserci ritrovati insieme e dopo aver arrangiato i nuovi pezzi, ci siamo resi conto che i mezzi a disposizione ci consentivano possibilità ben più ampie di realizzare un CD (qui torna il ricordo di ore trascorse da Paolo Perilli nel mix delle varie tracce e nello studio infinito nel perfezionamento dei suoni). Avevamo molto materiale del periodo precedente e del materiale nuovo, occorreva rivedere l’arrangiamento di ogni pezzo per dare coerenza al lavoro sviluppato in momenti creativi diversi. Rimettere le mani su brani di qualche anno non è stato semplice, ognuno teneva a forme oramai acquisite ma lo sforzo di superare questa resistenza ha dato buoni risultati! Per quanto riguarda l’aspetto “concept” direi che è venuto un po’ da sé, nel primo periodo di lavorazione del disco ci siamo resi conto che era tutto lì… si parlava del tempo a tutto tondo…
M.P.: Ricordo che un giorno Paolo P. venne in saletta, e ci disse: “Ragazzi, col materiale che abbiamo vogliamo fare un demo oppure vogliamo provare a produrre un CD?”. La risposta è stata unanime per la seconda ipotesi… E così è nato tutto!
P.P.: Intorno al 2010 iniziavamo ad avere un repertorio consistente anche se composto di brani che coprivano circa venti anni di attività. Spinto da una recente esperienza di produzione discografica con un altro gruppo, proposi agli altri di fare una sorta di “best of” dei Laviàntica per iniziare a “fermare” le cose su cui lavoravamo da tanti anni e anche perché molte persone che ci seguivano ce lo chiedevano da tempo. Fummo tutti d’accordo e iniziammo la lavorazione del disco. “Clessidra” è un “finto” concept album nel senso che i brani erano stati concepiti indipendentemente l’uno dall’altro. Poi ci siamo resi conto che molti avevano dei tratti comuni. Il tempo, inteso sia dal punto di vista atmosferico che da quello di scansione cronologica, riusciva in qualche modo ad abbracciarli tutti e abbiamo deciso di usare quella chiave di lettura.
L.S.: Avevamo bisogno di un obiettivo che permettesse il rilancio del gruppo e il nome ci ha fornito una bella identità con cui presentarci. Quasi contestualmente abbiamo iniziato il lavoro su “Clessidra”, spinti dalla volontà di fermare tutto ciò su cui avevamo lavorato per anni. Molto materiale era stato già composto e molto altro è venuto fuori durante le rivisitazioni di brani da attualizzare. Come detto da Paolo M. e Paolo P., ci siamo resi conto successivamente che ognuno dei brani, a suo modo, poteva essere riconducibile al Tempo nell’interezza del suo significato.
Musicalmente, tra strutture ben articolate e atmosfere di sovente luminose, si sente il vostro amore per il Prog (e la vostra conoscenza del genere). Ma quali sono gli artisti che più vi hanno ispirato/influenzato nella stesura del disco?
P.M.: Mi ricordo che nell’82/83 mio fratello e un suo amico ascoltavano a ciclo continuo il live dei Genesis “Seconds Out” e stranamente non mi stancava mai, anzi, più lo ascoltavo e più mi piaceva… Oggi nella mia casa fuori Roma ho una cornice con dentro quel doppio LP dei Genesis che mi ha fatto appassionare al Prog e, più in generale, alla musica e poi a tanti altri gruppi: Banco, PFM, Pink Floyd, Le Orme… Anche Marco Palma ha contribuito a farmi conoscere gruppi mai sentiti prima… è un po’ una enciclopedia del Prog, spesso mi ha fornito dischi che mi hanno veramente sorpreso.
P.P.: Per quanto riguarda “Clessidra” le influenze sono tantissime proprio perché i brani che lo compongono sono stati creati in un periodo estremamente ampio. Sicuramente i Genesis, i Pink Floyd, la PFM, i Camel, Le Orme e i romani Ezra Winston, per ciò che riguarda specificatamente il genere Progressive, ma poi cose assai distanti come i Brand X, Vangelis, Vollenweider, Bowie e tanti altri. Per “The Experience” (2018) posso affermare con assoluta sicurezza che in quel periodo eravamo tutti molto attratti dai lavori di Steven Wilson (lo andammo anche a vedere dal vivo al Teatro Sistina) e in qualche modo ha sicuramente condizionato i nostri arrangiamenti.
M.P.: Personalmente io sono stato sempre attratto sia dalle composizioni complesse e non banali, sia dai ricchi arrangiamenti. Ho trovato nel Progressive Rock esattamente il genere con cui ho più affinità. Ho approfondito i grandi gruppi inglesi (Genesis, Gentle Giant e Jethro Tull in primis) e successivamente il Prog Italiano, sia la “sacra trimurti” (Banco, PFM e Le Orme) che tutti i gruppi “minori” degli anni ’70 (Locanda delle Fate, ecc.) e naturalmente i nuovi gruppi New Prog che si sono affacciati alla scena musicale nei primi anni ’90. La ricchezza e la cura meticolosa negli arrangiamenti che si può trovare in “Clessidra” derivano anche dalle suddette influenze.
L.S.: Nel periodo relativo agli arrangiamenti di “Clessidra” mi ricordo di non aver avuto alcuna influenza da parte di gruppi affermati. Piuttosto ero particolarmente attento a NON suonare cose che sapevano troppo del mio bagaglio di comfort, guidato anche dagli altri. Dopo anni di saletta volevo uscire dalla mia zona “calda” per fare cose meno scontate e dare un contributo con un maggior spessore.
In definitiva, com’è stato accolto il vostro esordio da pubblico e critica?
P.M.: Questo è un aspetto da cui dovremmo imparare qualcosa… In fase compositiva ci siamo spesso fatti condizionare proprio dal timore della critica da parte del pubblico! Alcune volte ci venivano idee balorde e ci siamo limitati… “Cosa diranno gli ascoltatori? cosa si aspettano?”. Ogni volta siamo stati noi a sorprenderci leggendo le critiche nazionali ed internazionali. Un esempio è su un brano di “Clessidra”, “Icaro”, che alcuni di noi ritenevano più Pop che Prog ma che, invece, è stato apprezzato da un pubblico di quest’ultimo genere. Generalmente abbiamo avuto critiche che ci hanno fatto piacere e anche quelle meno belle ci sono servite!
M.P.: Direi molto meglio di quanto ci aspettassimo. Fino ad allora avevamo ricevuto consensi soprattutto da amici e conoscenti, ma vedere l’apprezzamento da parte di chi ci ha conosciuto solo per la nostra musica, e per di più a livello internazionale, ci ha dato la consapevolezza del fatto che forse siamo dei buoni compositori, e ci ha dato la spinta che ci ha permesso di continuare a comporre e pubblicare nuovo materiale.
P.P.: Siamo stati molto sorpresi nel constatare che “Clessidra”, pur cantato in italiano, riceveva ottime recensioni internazionali. Alcuni ci catalogarono come Pop Progressive, e forse anche a ragione, ma per noi non è mai stato un punto a sfavore. Abbiamo sempre sentito che la nostra musica era un po’ “diversa” da quella proposta da altri nuovi gruppi Prog e, se quella era una discriminante, andava bene anche così. Siamo sempre stati interessati alle melodie e per noi questo è un aspetto caratterizzante del nostro lavoro, ancor prima dei tempi dispari o delle performance dei singoli musicisti. Le melodie caratterizzano ovviamente anche il pop e forse quello è il comune denominatore. Secondo me la nostra forza è nell’unità. Se ascolti i nostri arrangiamenti, difficilmente diamo troppo spazio al singolo esecutore, a parte rari casi che sono sempre funzionali al brano.
L.S.: Abbiamo avuto moltissime recensioni positive e ovviamente ne siamo rimasti piacevolmente sorpresi. Il denominatore comune è stato la fusione tra il Prog più tradizionale e le melodie Pop, il nostro saper dosare l’una e l’altra cosa senza eccessi. Con il senno di poi e con le recensioni ricevute, avremmo potuto osare qualcosina in più. Ma diciamo che “Clessidra”, come tipo di composizioni, è perfettamente in linea con i Laviàntica del 2013.
Il 2015 vede la famiglia Laviàntica “allargarsi” con l’ingresso di Daniele Sorrenti (in realtà, c’è già anche il batterista Andrea Schiappelli). Daniele, come si sono incrociate le vostre strade e cosa c’è prima dei Laviàntica sul tuo cammino? Ad esempio i Semiramis…
D.S.: È stata una pura e semplice casualità. I “Ragazzotti” in questione, al Progressivamente Free Festival di Guido Bellachioma, nell’edizione del 2014, hanno aperto il concerto ai Semiramis nei quali milito dal 2013… e, naturalmente, è inutile negarlo, si sono innamorati di me! A parte ogni tipo di scherzo, altrimenti poi mi bacchettano, mi hanno contattato mesi dopo chiedendomi di entrare a far parte di questa avventura come flautista, e come ulteriore “picchiatore di tasti bianchi e neri”, e così ho messo a disposizione il mio sapere e la mia personalità al servizio della band… È figa questa ultima affermazione! Prima dei Laviàntica sul mio cammino c’è stato di tutto, dai concerti pianistici classici, a collaborazioni fusion, funky e naturalmente il Rock Progressivo… amore che è nato quando, uscendo quattordicenne dalla lezione di piano insieme a mio fratello Alessandro Sorrenti, anch’egli pianista, un signore ci regalò un CD citando testuali parole “Qui ci suonano due fratelli come voi!”… Gianni e Vittorio Nocenzi… e il CD era “Darwin”! Non penso ci sia da aggiungere altro.
L.S.: Dal 2015 c’è un tipo strano con la barba che si aggira nella nostra saletta con un utensile cilindrico che sembra un flauto… Ma chi è?
Nello stesso anno iniziate a lavorare al secondo album, quello che sarà “The Experience”, pubblicato nel 2018, un concept album relativo all’esperienza di un’entità intelligente (Galbat), proveniente da un’altra dimensione che entra in contatto con la terra e i suoi abitanti. Mi parlate, dunque, dell’esperienza di Galbat?
P.M.: Nel periodo in cui “The Experience” è stato messo in cantiere ho attraversato un momento particolare della mia vita, è nata mia figlia Chiara e ho dovuto temporaneamente rallentare la mia partecipazione alla lavorazione del disco. Opposta è stata la condizione di Luciano, che ha prodotto inverosimilmente quasi tutti i brani in un periodo relativamente breve, non si fermava, insieme con Marco Palma. Si incontravano tutti i giorni ed io mi trovavo costantemente in ritardo sugli sviluppi, tanto che questo mi ha creato anche qualche disagio non potendo essere adeguatamente propositivo! Anche Daniele ha dato un contributo importante con il flauto e suggerendo alcune soluzioni di tastiera, e Marco che personalmente trovo abbia fatto un ottimo lavoro con la chitarra e, più in generale, dando indicazioni su alcuni passaggi dei brani!
P.P.: Credo che la persona più indicata a parlare di questi aspetti sia Luciano Stendardi che, assieme a Marco Palma, ha composto e immaginato l’opera nel suo complesso. Noialtri abbiamo partecipato solo in parte alla composizione e maggiormente nell’arrangiamento.
M.P.: “The Experience” è nato in un periodo in cui io e Luciano avevamo più tempo libero rispetto ai due Paoli e quindi ci siamo messi a lavorare su alcune idee di Luciano che poi sono sfociate in un concept album sull’entità Galbat (sulla cui “esperienza” lascio la parola a Luciano). È stato un periodo decisamente stimolante, in cui abbiamo lavorato molto gomito a gomito per plasmare e arrangiare i pezzi.
L.S.: Caro Marco, ricordo con nostalgia quel periodo compositivo. Personalmente ero in una fase lavorativa abbastanza down e ho potuto dedicare molto tempo allo sviluppo dei demo che sarebbero poi diventati “The Experience”. Attraversavo un periodo di ulteriore cambiamento e questo si è riflesso indubbiamente anche sulla musica. Ho sempre creduto nell’esistenza di qualcosa di superiore all’uomo, non nel senso cattolico del termine; piuttosto qualcosa che possa essere simile ad una forma di energia, una coscienza senza l’ingombro della parte corporea.
Ecco, Galbat rappresenta essenzialmente questo: l’incontro di una coscienza evoluta con il nostro mondo materiale. Volevo raccontare la sua storia, una storia a cui credo, anche se nel concept è abbastanza romanzata. L’incontro tra la bellezza della natura del nostro pianeta, in cui ogni creatura possiede l’innata capacità di essere consapevole del proprio posto, e la comprensione di una coscienza superiore, capace di apprezzare appieno tale bellezza senza interferire. Nella dimensione da cui proviene Galbat non esiste la materia così come noi la conosciamo; per lui, quindi, l’esperienza terrena è totalmente sconosciuta e affascinante. Diversa e fallimentare è, invece, la descrizione dell’incontro con l’uomo, rapito dalle frenesie della quotidianità, dalla fredda tecnologia e poco incline ad ascoltare la propria anima.
D.S.: Impersonificando io Galbat “flautisticamente”, non lo definirei troppo intelligente! Mi sa che si è capito che sono il burlone della band! Sin da subito ho capito che il ruolo che mi era stato ritagliato nella band sarebbe stato assai complicato, perché dare voce musicalmente e trasmettere le varie sensazioni emotive di questo ‘’esserino’’ non sarebbe stato per nulla semplice. Ho messo in campo tutto il mio essere Operaio della Musica ed ho cercato di essere nell’animo Galbat.
L.S.: Sì, ma l’ultima volta ti sei portato il cappellino con i quattro pompon… Sembravi il Jolly delle carte Modiano! Mi sembra troppo!
Alcune delle differenze tra i due album riguardano la presenza del canto in “Clessidra” e la sua assenza in “The Experience”, così come l’utilizzo dell’italiano nel primo lavoro e quello dell’inglese (per i titoli) nel secondo. Cosa vi ha portato a tali scelte?
P.M.: Il canto è sempre stato un punto discusso per noi, anche in base alla lingua… inglese, italiano, oppure fare un lavoro solo strumentale: eravamo abbastanza inconsapevoli del pubblico che avrebbe ascoltato la nostra proposta! “Clessidra” è stato un lavoro pilota che ha svelato un certo gradimento anche all’estero e forse uno strumentale avrebbe coinvolto tutti! Di fatto Luciano ha impostato il lavoro non prevedendo testi cantati!
P.P.: Per sua stessa ammissione, Luciano non si sente molto portato a scrivere testi. In quel periodo, per varie ragioni, lui era quello più concentrato sul progetto e abbiamo deciso di assecondare la sua capacità di raccontare cose senza un vero e proprio cantato che, invece, potremmo considerare sostituito dal flauto! Dopo le recensioni positive a “Clessidra” provenienti da varie parti del mondo, eravamo convinti che “The Experience” dovesse avere dei tratti più “internazionali”, da quello la scelta dei titoli in inglese.
M.P.: Considerando anche il fatto che i cantanti del gruppo durante la lavorazione di “The Experience” non erano disponibili, con Luciano abbiamo deciso di sviluppare un album solo strumentale. Ci siamo, però, resi conto che ci voleva uno strumento che rappresentasse la “voce” di Galbat e la scelta più naturale è ricaduta sul flauto traverso. Questo ha portato all’ingresso di Daniele nella formazione.
L.S.: Nel concept di “The Experience” non ci sono parti cantate; come detto da Paolo P., non ho una particolare ispirazione per la stesura dei testi, mentre mi trovo più a mio agio con gli arrangiamenti e le composizioni musicali. Quindi la scelta di comporre demo strumentali è nata in modo automatico, ma serviva comunque uno strumento solista che rappresentasse le emozioni che Galbat avrebbe provato nel suo percorso. Dopo vari tentativi con suoni di synth molto soft e con vari altri suoni lead, la scelta si è orientata verso uno strumento acustico per via del suono naturale, che poteva rappresentare al meglio e senza fronzoli l’essenzialità di Galbat. Il flauto ci è sembrato il più efficace, abbastanza dolce per essere paragonato ad una “voce”, e non ultimo il fatto che si tratta di uno strumento molto usato in ambito Progressive; volevamo qualcosa di diverso rispetto a “Clessidra”, avevamo la consapevolezza di cui sopra nell’osare di più e questo ci ha dato la giusta determinazione. La scelta di proporre titoli e booklet in inglese è stata pensata e approvata da tutti per via delle precedenti recensioni di “Clessidra” a livello internazionale. Non avendo i testi in italiano, cosa molto apprezzata all’estero al tempo del primo album, eravamo liberi di proporre un concept con una storia comprensibile a livello globale.
E, secondo il vostro punto di vista, quali sono (se ci sono) i punti di contatto e le (altre) differenze sostanziali tra i due album? Il vostro modo di creare musica, negli anni, ha subito dei “cambi di rotta” o siete rimasti fedeli alle origini?
P.M.: Sicuramente tra i due album ci sono sostanziali differenze… Alcuni ascoltatori hanno affermato che i due album potrebbero essere di due gruppi diversi riconoscendo “una certa crescita”. In realtà, il gruppo è lo stesso, è il periodo ed il metodo di lavoro nel suo insieme che sono cambiati, la partecipazione dei compositori, le idee, gli strumenti, i mezzi tecnologici e via dicendo! Tutti questi elementi hanno influenzato e reso diversi i due lavori. Punti in comune, a detta di chi ci conosce, ci sono. Sicuramente nelle intenzioni, ovvero quello di adottare soluzioni che sorprendessero chi ascolta evitando cose già sentite! Riguardo le composizioni dei pezzi direi che una sostanziale differenza è che qualche anno fa trascorrevamo molto più tempo in sala e le idee venivano elaborate in tempo reale con una partecipazione uniforme… oggi, per varie ragioni, si lavora molto in studio singolarmente o con due, tre elementi e poi si va in sala tutti insieme per le prove… Per certi versi è più comodo ma sbilancia un po’ la partecipazione dei compositori!
P.P.: “Clessidra” e “The Experience” sono due album piuttosto differenti. Innanzitutto “Clessidra” nasce come raccolta di brani composti in un periodo di tempo molto ampio, mentre “The Experience” è nato tutto in un tempo relativamente breve. “Clessidra” è un disco più eterogeneo (ma forse è anche il suo punto di forza) mentre “The Experience” è, secondo me, estremamente omogeneo come sonorità e soluzioni di arrangiamento. Di solito i brani partono da un demo prodotto da qualcuno di noi e poi cerchiamo di arrangiarlo tutti assieme. Per varie ragioni, come detto in precedenza, “The Experience” ha seguito meno questa modalità e il compositore ha avuto più controllo sul risultato finale rispetto a come avevamo lavorato per “Clessidra”. Bisogna anche considerare che, dopo il primo album, abbiamo lavorato veramente molto in studio e sicuramente siamo cresciuti e maturati anche come musicisti; questo credo che abbia determinato ulteriori differenze tra i due lavori.
M.P.: Oltre a quello che ha detto Paolo, come punto di contatto sicuramente c’è la cura quasi maniacale negli arrangiamenti in entrambi gli album, ogni nota è stata attentamente studiata e niente è stato lasciato al caso.
L.S.: Per ciò che mi riguarda la prima differenza (ovvia) tra “Clessidra” e “The Experience” è la scelta di proporre un prodotto esclusivamente strumentale; riallineandoci al discorso “Tempo” relativo a “Clessidra”, potremmo dire che i due album sono entrambi dei concept, anche se su “The Experience” il concetto è proposto in modo molto diverso, con un racconto che guida l’ascoltatore durante il percorso del protagonista.
A livello compositivo sicuramente lo stile è diverso da “Clessidra”. Le composizioni sono nate in un altro periodo storico e in un tempo molto più breve e, per questo motivo, emergono meno differenze stilistiche tra un brano e l’altro. “Clessidra” ha visto l’apporto compositivo di Paolo P. e Paolo M., con a seguire me e Marco per la messa a punto degli arrangiamenti, sempre assieme ai Paoli.
“The Experience” fondamentalmente nasce da una mia idea, sia musicale che concettuale, supportata in grande misura da Marco per la stesura finale degli arrangiamenti e delle chitarre. Ci tengo a precisare che i brani “The Journey” e “The Wait”, invece, sono composizioni che hanno visto in egual misura l’apporto di tutti i componenti della band.
Bello bello, in ultimo arrivò il flautista…!
Abbiamo inizialmente registrato le parti così come suonate nei demo, salvo poi renderci conto, con l’aiuto di Daniele, che alcuni passaggi funzionavano meglio se suonati in modo diverso (da flautista).
D.S.: Solo una differenza sostanziale, nel primo non ci sono e nel secondo si!
L.S.: Falla finita!
Altro elemento di discontinuità tra i due lavori: mentre “Clessidra” è uscito in autoproduzione, “The Experience” ha, invece, visto la sua distribuzione in tutto il mondo da parte della Musea Parallèle. Come entrate in contatto con l’etichetta francese? E quanto è effettivamente cambiato nel “mondo Laviàntica” con il loro “aiuto”?
P.M.: Per quanto oggi con la rete e le varie piattaforme si può arrivare ovunque e chiunque può ascoltare la tua musica, il tentativo dell’autoproduzione del primo album (con esiti apprezzabili) ci ha fatto capire anche i limiti di questo approccio! Un’etichetta come Musea Parallèle, con un catalogo così importante e che distribuisse in tutto il mondo, è stato per noi anche un passo verso una maggiore professionalità!
M.P.: Abbiamo seguito l’esempio di un altro gruppo con cui eravamo entrati in contatto, i Möbius Strip, che avevano da poco iniziato la distribuzione del loro primo album con Musea. Ho quindi spedito in Francia tre copie del demo dell’album in formato CD, ed in breve tempo ci hanno risposto positivamente proponendoci un contratto di distribuzione su scala mondiale.
P.P.: Creare un album completamente autoprodotto può dare grandi soddisfazioni ma è anche un lavoro extra per un qualsiasi musicista che può spesso essere sfiancante. Per “The Experience” abbiamo voluto da subito affidarci ad una etichetta specializzata che potesse aiutarci nel raggiungere punti di distribuzione che ad un indipendente sono più difficili da raggiungere. Dopo aver prodotto il master, lo abbiamo fatto ascoltare a diverse etichette. Quelli di Musea furono i primi a rispondere, facendoci i complimenti per il lavoro e dichiarando di essere interessati alla distribuzione. Conoscevamo già abbastanza bene la Musea e abbiamo deciso di lavorare con loro. Credo che molti negozianti abbiano preso in considerazione il fatto di acquistare il nostro album anche perché distribuiti dalla Musea che generalmente è una garanzia di qualità.
L.S.: Mi accodo e confermo quanto detto da Marco P. e Paolo P.
Intanto, il ruolo del batterista nella band è piuttosto “inquieto” e, dopo Schiappelli, il turnista Marco Rovinelli (che ha inciso le parti di batteria in “The Experience”) e Roberto Rossi, oggi in squadra troviamo Damiano Daniele. Damiano, anche per te la stessa domanda posta a Daniele: come entri in “orbita” Laviàntica e cosa c’è prima dei Laviàntica sul tuo cammino?
D.D.: Sono stato contattato da Daniele a luglio per partecipare come sostituto al Trasimeno Prog Festival, dopodiché gli altri del gruppo mi hanno proposto di entrare in pianta stabile ed ho accettato molto volentieri. Vedremo come andrà, le sensazioni sono molto positive! Prima dei Laviàntica, un po’ di questo e un po’ di quello… Mi sono formato, in particolare, al Saint Louis College of Music di Roma, dove ho seguito il percorso di laurea in batteria jazz. Nel mentre, e successivamente, ho suonato in contesti jazz, funk, pop, rock, big band, teatro e persino punk (inaspettatamente per me in primis, eheheh!). Mi piace spaziare fra i generi e le commistioni, spero di riuscire a dare il mio contributo ai Laviàntica.
Spostandoci sul fronte live, uno dei vostri primi concerti come Laviàntica, come già ricordato, vi ha visti sul palco insieme ai Semiramis, era il 2014. Com’è stato condividere la scena con la storica band dei fratelli Zarrillo, Faenza & Co.?
P.M.: Ricordo abbastanza bene quella serata a cui fummo invitati per esserci posizionati tra i primi ad un concorso di gruppi romani gestito dalla stessa organizzazione. La ricordo anche perché ci furono diversi problemi tecnici che impedirono una buona esecuzione dei brani. L’incontro con i Semiramis direi che è stato determinante ed emozionante, non solo perché sono un gruppo storico, ma anche perché abbiamo incontrato il signor Sorrenti che poi è salito sul nostro carrozzone!
P.P.: Dal punto di vista musicale ho un ricordo confuso della serata. I Semiramis ebbero qualche problema tecnico e il nostro soundcheck si ridusse a pochi minuti. Questo influenzò in parte la nostra performance anche se la partecipazione ad un Festival è sempre una bella esperienza. Nel backstage ci furono diversi scambi interessanti con i vari componenti del gruppo. Paolo Faenza oggi è un amico ed è stato un piacere ritrovarlo al Trasimeno Prog. Inoltre, come detto in precedenza, in quella serata conoscemmo Daniele Sorrenti e quindi potrebbe essere ricordata anche solo per quello!
M.P.: Sicuramente è stata una bellissima esperienza condividere il palco con i Semiramis, che io già conoscevo molto bene musicalmente essendo appassionato di Prog Italiano. A parte i problemi tecnici che purtroppo hanno influito sulla nostra performance, l’evento mi ha consentito di conoscere di persona alcuni dei miei idoli dell’epoca, come Maurizio Zarrillo e Paolo Faenza, e naturalmente il nostro Daniele!
L.S.: Esperienza bellissima ed emozionante, sembra scontato dirlo. È stato il primo vero live in un contesto esclusivamente Prog, contornati da artisti di grande calibro (eravamo anche un po’ intimoriti da questo). Precedentemente, parlando di live su palchi importanti, abbiamo partecipato al Musiche Roma Festival, tenutosi all’Atlantico Live, ma posso dire che l’impatto emotivo è stato molto maggiore sul palco dei Semiramis. Confermo il fatto che ci furono vari problemini tecnici un po’ per tutti, ma la cosa non ci scoraggiò e cercammo di dare il massimo. Mi ricordo la tensione emotiva che durò fino alla fine del secondo brano, poi iniziammo a divertirci per fortuna.
D.S.: Fu la loro definitiva rovina, perché di lì a poco appresero che grandissimo errore fecero contattandomi!
Nel 2021, invece, dopo la sosta forzata della pandemia, siete tornati su uno dei palchi Prog italiani più prestigiosi: il Trasimeno Prog Festival. Com’è andata? E com’è stato riprendere con i live?
P.M.: Ero stato alla edizione 2020 al Trasimeno Prog Festival come spettatore e la possibilità di suonarci mi entusiasmava moltissimo… Purtroppo il Covid a fine luglio mi ha bloccato ed i miei compagni si sono dovuti riorganizzare rapidamente con risultati soddisfacenti!
P.P.: Il 2020 e il 2021 sono stati anni difficili per tutti. Praticamente durante la pandemia e il lockdown abbiamo smesso di incontrarci. Il lavoro di composizione è proseguito a pezzi e bocconi e, nel frattempo, Roberto Rossi, il nostro batterista, ha avuto un problema importante in famiglia ed è dovuto andare a vivere a Torino. Tutto questo è stato complesso da affrontare. Quando abbiamo ricevuto l’invito a partecipare al Trasimeno Prog Festival eravamo molto contenti ed emozionati di tornare on stage. Luciano Stendardi ci disse da subito che non gli sarebbe stato possibile esserci e abbiamo pensato alla cantautrice Alice Pelle come sostituzione per le parti pianistiche. Tra l’altro, Alice era già stata una nostra collaboratrice ai tempi di “Clessidra” (la voce femminile sul brano “Clessidra” è la sua). Abbiamo avuto qualche difficoltà anche nel cercare un sostituto del batterista e alla fine la scelta è ricaduta su Damiano Daniele, che aveva già suonato con Daniele Sorrenti nel gruppo Collettivo Miniera Fonica. Durante il mese di agosto Paolo Musolino si è ammalato di Covid e, fino all’ultimo, abbiamo sperato si negativizzasse per poter partecipare, ma non andò così. Ci siamo trovati ad affrontare il festival senza uno dei tastieristi e Daniele ha fatto un grande sforzo per districarsi tra il flauto e molte delle parti che erano di Paolo. Abbiamo avuto modo di rivedere la performance in video e devo dire che siamo molto contenti di come è andata, soprattutto considerando le varie avversità che abbiamo dovuto superare.
L.S.: In questo Live, per la prima volta, non sono stato presente. Per la band è stato di certo un grande momento di affermazione.
D.S.: A differenza dell’anno precedente nel quale, sullo stesso palco, sono stato chiamato, insieme a Damiano, a Giuliano Stacchetti (Wish) e all’orchestra da camera del Trasimeno Diretta da Silvio Bruni con arrangiamenti di Giuseppe Bruni, ad omaggiare il grande Francesco “Big” Di Giacomo, per me è stato un live molto “duro” da affrontare per un mio momento storico non particolarmente sereno… The show must go on, sempre e comunque.
D.D.: Come ha detto Paolo, molto bene nonostante tutti i problemi che si sono presentati. Personalmente, comunque, da esterno in quel momento, ho trovato un gruppo dalle idee e dal suono solidi, che mi hanno reso il lavoro più facile di quanto mi aspettassi.
M.P.: L’esperienza al Trasimeno Prog è stata per me finora la più gratificante dal punto di vista dei live! Conoscevo gli eventi Prog di Castiglione del Lago già dal 2018, quando ho assistito al tributo a Luis Bacalov in cui si sono esibiti, tra gli altri, Vittorio De Scalzi e gli Osanna. Già all’epoca sognavo di potermi esibire su quel palco con il gruppo e nel 2021 il sogno si è avverato! Sono particolarmente contento anche della resa del concerto, nonostante il fatto che la formazione fosse pesantemente rimaneggiata per cause di forza maggiore, e mi è piaciuto molto suonare con la nostra amica Alice anche su un suo brano.
Sempre in tema concerti, facendo nuovamente un passo indietro, vi va di raccontare anche l’esperienza del Musiche Roma Festival che vi ha visti arrivare tra i dieci finalisti del concorso (dopo essere stati selezionati tra più di 500 artisti)? E, in definitiva, come sono i Laviàntica sul palco?
P.M.: Questa esperienza è stata molto interessante, anche visto il risultato totalmente inatteso, non tanto per la nostra performance quanto per il genere proposto! Il pubblico ed anche la giuria, invece, hanno apprezzato e questa è stata una importante conferma per noi!
P.P.: Quella fu una bella esperienza. Il palco dell’Atlantico Live era molto prestigioso rispetto alle precedenti esperienze che avevamo fatto come gruppo fino a quel momento. Mi ricordo un pubblico attento che rispose bene ai nostri pezzi. Fu un set breve ma intenso! Il Festival era aperto a tutti i generi musicali e c’erano diversi artisti molto bravi (anche Alice Pelle, che lo vinse tra l’altro). Il fatto di essere arrivati tra i primi dieci fu una grande soddisfazione, anche considerando che il nostro genere non è proprio così immediato.
M.P.: Il Musiche Roma Festival è stata la nostra prima esperienza “importante”, dove, per la prima volta, ci siamo resi conto della qualità della nostra proposta, visto che siamo arrivati in finale tra centinaia di altri artisti. Ricordo la gioia quando seppi che avevamo passato la prima selezione che ci ha consentito di suonare sul palco dell’Atlantico, dove avevo visto esibirsi artisti del calibro dei Porcupine Tree. Sul palco forse siamo stati un po’ “timidi”, vista la poca esperienza live all’epoca, però sicuramente efficaci.
L.S.: Come accennato prima, questo fu uno dei palchi più importanti che vide la nostra partecipazione. Mi ricordo che era ENORME, non riuscivo a vedere il pubblico, che era comunque numeroso, per il fatto che il festival ospitava quattro gruppi per ogni serata. Per cui, oltre al nostro pubblico, c’erano tantissime persone che non sapevano assolutamente nulla di noi e che ci hanno comunque apprezzato. Quella sera fu l’inizio di tutta una serie di riconoscimenti, grandi e piccoli, che ci hanno portato fino ad oggi.
Cambiando discorso, il mondo del web e dei social è ormai parte integrante, forse preponderante, delle nostre vite, in generale, e della musica, in particolare. Quali sono i pro e i contro di questa “civiltà 2.0” secondo il vostro punto di vista per chi fa musica?
P.M.: Portai un nostro CD a mia cugina vicino Napoli, la quale chiamò subito suo figlio che navigava H24 sul web. Senza neanche scartare il CD, lo ascoltò su una piattaforma (non ricordo quale)… circa cinque o sei secondi a brano e poi mi disse con aria disinvolta: “Carino!” e posò il CD sulla scrivania!!! Questa è una domanda a cui sinceramente non saprei rispondere!
M.P.: Beh, con le possibilità aperte dal web, il pro è sicuramente quello di poter far ascoltare la tua musica potenzialmente in ogni parte del mondo, ma in pratica per poter avere un minimo di diffusione occorre lavorare molto. Il marketing sul web è un mestiere a parte, ci vorrebbe un professionista dedicato solo a questo. Inoltre, come diceva Paolo M., le proposte ormai sono tantissime, ed è veramente difficile riuscire a destare l’interesse dei possibili ascoltatori.
P.P.: Per alcuni versi è tutto più facile. Per altri è tutto più difficile. Mi spiego meglio. Quando siamo nati come gruppo, si lavorava con registratori analogici di scarsa qualità e i demo erano dei “veri” demo di qualità piuttosto mediocre. Fare un disco autoprodotto era estremamente complicato per chi non aveva già fatto questa esperienza e lo si vedeva come un obiettivo molto lontano. Oggi è tutto più a portata di mano: i dischi si possono registrare anche a casa con l’ausilio di un computer e di strumentazione relativamente economica. Allo stesso tempo, però, c’è tantissima concorrenza e, in generale, tantissime proposte musicali che creano tanto rumore di fondo. Emergere da questo rumore di fondo è complicato.
L.S.: Io ho iniziato a dedicarmi alla composizione in modo serio relativamente “tardi” nella mia vita, successivamente a “Clessidra”, che mi ha visto in qualità di arrangiatore partecipante; la civiltà “2.0” era iniziata ormai da molti anni e il supporto tecnologico per me è stato fondamentale. Oggi posso dire di non poterne fare a meno per tutta una serie di motivi tecnici che facilitano ogni cosa e rendono la proposta “demo” il più possibile simile a quello che si vuole finalizzare. Poi ovviamente bisogna registrare in studio.
Sono d’accordo con il rumore di fondo a cui Paolo P. ha accennato; dal mio punto di vista, anche noi ne facciamo parte e l’obiettivo è uscirne nel modo più rappresentativo per la band.
D.D.: Mah, non saprei, non sono particolarmente ferrato in materia. Da utilizzatore passivo di web e social, posso dirti che la direzione che il mondo sta prendendo non mi piace troppo.
D.S.: Paradossalmente, Damiano ed io che siamo i più giovani la pensiamo alla stessa maniera… Tutto più fruibile ma se non si ha comunque una certa voglia, stimolo ecc., rimane tutto uno “Smoke on the water”!
E quali sono le difficoltà oggettive che rendono faticosa, al giorno d’oggi, la promozione della propria musica tali da ritrovarsi, ad esempio, quasi “obbligati” a ricorrere all’autoproduzione o ad una campagna di raccolta fondi online? E, nel vostro caso specifico, quali ostacoli avete incontrato lungo il cammino?
P.M.: Il genere che abbiamo scelto non facilita questi aspetti di tipo pratico! Anni fa, quando ci siamo costituiti come gruppo, abbiamo inconsapevolmente accettato di fare musica originale e di un genere non semplice come il Progressive Rock… ma questo ci ha confermato che gli ascoltatori di questo genere sono curiosi e dedicano del tempo per cercare, conoscere chi sei! Noi siamo entrati in punta di piedi in questo mondo, forse in modo troppo timidi… Certo è che le case discografiche non corrono da te per un contratto! Intanto noi ci siamo autoprodotti ed in qualche modo la nostra musica è stata ascoltata… Pare che oggi, prima devi fare ascolti sul web e quindi, in qualche modo, successo e poi ti vengono a cercare a cosa fatta! Sicuramente dobbiamo migliorare l’aspetto legato alla divulgazione della nostra musica con i mezzi oggi a disposizione e sono tanti!
P.P.: Parlando di musica di nicchia, come possiamo intendere il Rock Progressivo, credo che iniziare in modo indipendente sia quasi una scelta obbligata. Le major, o comunque le grandi etichette, ragionano sulla base dei ritorni economici e un genere come questo, a parte rari casi, non porta successi tali da garantire il ritorno di grandi investimenti. Quello della raccolta fondi è un interessante metodo di autofinanziamento ma fino ad oggi non lo abbiamo mai preso in considerazione. In pratica si fa un disco “su ordinazione”. Gli ostacoli che abbiamo incontrato sono quelli abbastanza comuni a chi si avvicina al mondo musicale in autonomia. Il primo è il processo di registrazione, mixing e mastering. In questa fase, se non si hanno conoscenze nel settore e nessuno del gruppo è un tecnico del suono, bisogna necessariamente affidarsi a dei professionisti. Non appena si ha il master, bisogna decidere se stampare un supporto fisico o prendere la sola strada della musica liquida. Nel primo caso i costi possono essere importanti. Dopo tutto questo c’è l’aspetto promozionale e divulgativo. Le piccole etichette aiutano ma poi bisogna stare sul pezzo ed essere un po’ “social” oppure affidarsi ad un ufficio stampa (altri soldi).
M.P.: Paolo P. ha spiegato la situazione in maniera esaustiva…
L.S.: Mi associo a Paolo P. La promozione in autonomia è di fatto obbligatoria per un genere musicale non di massa. Per “Clessidra” abbiamo avuto contatti diretti con i fruitori/acquirenti dell’album e abbiamo promosso il lavoro in autonomia grazie a Marco che si è calato nel ruolo di “ufficio stampa”. Le difficoltà non sono mancate e non avendo tempo interminabile da dedicare alla parte burocratica della musica (facciamo tutti un altro mestiere), per il secondo album abbiamo deciso di comune accordo di cercare un’etichetta che ci potesse almeno distribuire, sollevandoci dalle incombenze delle spedizioni. In ogni caso una parte delle vendite di “The Experience” è frutto del lavoro della band, dei concerti e di Marco, per i fruitori che preferiscono contattare direttamente noi.
D.S.: Rispondo solo alla prima parte della domanda e anche molto “dispiaciuto”. La difficoltà per me è solo una: degrado sociale che porta con sé altri sottoinsiemi di degrado ma il discorso sarebbe troppo lungo da affrontare.
Facendo un parallelo tra letteratura e musica, tra il mondo editoriale e quello discografico, è, non di rado, pensiero comune etichettare un libro rilasciato tramite self-publishing quale prodotto di “serie B” (o quasi), non essendoci dietro un investimento di una casa editrice (con tutto il lavoro “qualitativo” che, si presume, vi sia alle spalle) e, in poche parole, un giudizio “altro”. In ambito musicale percepite la stessa sensazione o ritenete questo tipo di valutazione sia ad uso esclusivo del mondo dei libri? Al netto della vostra esperienza, consigliereste alle nuove realtà che si affacciano al mondo della musica la via dell’autoproduzione e/o del crowdfunding?
P.M.: Credo che questo dipenda molto anche dal tipo di proposta musicale… dal riscontro di mercato che questa proposta ha! Il nostro genere è di nicchia e questo rende difficile trovare un produttore che sostenga il tuo progetto… In effetti, al di là della propria preferenza, occorre adattarsi alle possibilità che ci si aprono davanti.
M.P.: Dipende. Ad oggi, se si vuole fare qualcosa al di fuori del “mainstream”, dove la major di turno investe in toto sull’intero progetto, per avere un prodotto di qualità occorre purtroppo investire di tasca propria.
P.P.: Ho visto ottimi lavori creati tramite il crowdfunding e anche molto professionali quindi, perché no? Ormai è una realtà consolidata. Addirittura i Marillion, qualche anno fa, hanno pubblicato un disco in questo modo.
L.S.: Da quello che posso ascoltare, sempre dal mio punto di vista, le proposte musicali attuali, di qualsiasi tipo, non sono ordinabili in termini di qualità in relazione agli investimenti iniziali di una casa discografica. Ci sono bellissimi brani prodotti autonomamente e altri con l’ausilio di una major ugualmente belli; oppure si può incappare in cagate cosmiche derivanti da storture compositive del singolo artista o da investimenti discografici votati al guadagno e alla promozione del tormentone di turno. Non ci sono a mio avviso certezze che l’uno o l’altro prodotto sia di fatto migliore. Bisogna ascoltare.
E qual è la vostra opinione sulla scena Progressiva Italiana attuale? C’è modo di confrontarsi, collaborare e crescere con altre giovani e interessanti realtà? E ci sono abbastanza spazi per proporre la propria musica dal vivo?
P.M.: Ogni volta che incontro Marco Palma a casa sua mi si apre un mondo e mi rendo conto di quanto poco sono attento a tutto ciò che accade intorno a livello di Rock Prog, trovo che lui sia un vero estimatore e conoscitore di questo genere… Io, un po’ per pigrizia, ma soprattutto per lo scarso tempo, riesco a seguire meno. Ho comunque la percezione che ci sia un certo fermento in Italia, purtroppo però, quando ascolto gruppi emergenti, ho spesso la sensazione del “già sentito” e questo mi dispiace un po’! Collaborazioni con altri gruppi sarebbero interessanti, magari proprio per organizzare dei live, anche perché le possibilità (in particolare in questo periodo) non sono molte!
M.P.: Devo dire la verità, non seguo molto la scena italiana attuale, anche perché è difficile stare dietro a tutte le proposte. Uno dei gruppi che mi ha maggiormente impressionato negli ultimi anni è stato Il Tempio delle Clessidre. Molti dei gruppi che ho ascoltato, invece, non sono riusciti ad emozionarmi, perché non ho trovato quelle atmosfere e melodie che riescono a “muovermi” qualcosa “dentro” a livello emotivo. In generale, ad oggi non abbiamo ancora collaborato con altre realtà emergenti, vedremo in futuro.
P.P.: La scena Progressiva Italiana è abbastanza viva. Non tutto mi piace perché troppe volte si punta sull’abilità tecnica dei musicisti e sui tempi dispari. Alla fine, secondo me, il brano è la cosa più importante e questo è l’unico aspetto a cui pongo attenzione. Un pezzo mi deve emozionare innanzitutto e per farlo deve avere determinate caratteristiche. Per questo motivo preferisco i lavori nei quali si curano le melodie. L’aspetto collaborativo è molto legato agli aspetti personali. Noi, ad esempio, siamo in contatto con gli Wish ma, fino ad oggi, non abbiamo ancora mai collaborato.
Il discorso della musica live è molto complesso. C’è penuria di locali o teatri interessati alla musica originale (a prescindere dal Prog) e spesso e volentieri si finisce per suonare in localetti gestiti in modo improvvisato davanti a poche persone. Ci sono ovviamente delle eccezioni per fortuna…
L.S.: Passo.
D.S.: La musica deve essere condivisione e, fra musicisti, se manca quella non ci si può definire tali! Mancano persone che investono e che ci credono sul far suonare le nuove ‘’scene’’, è impensabile poter diffondere la propria musica live con pochi posti dove la stessa è considerata un mestiere al pari di tante altre professioni. Prendo al balzo questa domanda per fare un ringraziamento Speciale a Massimo Sordi, Alfredo Buonumori, Eugenio Stefanizzi e pochi altri che credono che ci sia un solo mezzo per trasmettere emozioni con la musica, ossia suonare LIVE!
Esulando per un attimo dal mondo Laviàntica e “addentrandoci” nelle vostre vite, ci sono altre attività artistiche che svolgete nel quotidiano?
P.M.: Al momento potersi occupare del progetto “Laviàntica” è già molto per me… non per mancanza di idee ma solo per ragioni di tempo… Comunque sono e rimarrò sempre un possibilista!
M.P.: Al momento, dal punto di vista artistico, non svolgo altre attività al di fuori dei Laviàntica, ma in futuro non lo escludo.
P.P.: Oltre ai Laviàntica, attualmente sto suonando anche con Alice Pelle e con David Zulli, due belle realtà cantautorali. Inoltre, mi capita spesso di gestire le produzioni di altri artisti occupandomi del lavoro tecnico di mixing e mastering. Al di fuori della musica mi piace scrivere. Spero di finire presto il mio primo libro!
L.S.: Personalmente no.
D.S.: Tolte le varie attività musicali, lo studio di registrazione e le varie collaborazioni con altri musicisti, mi chiamano il tuttofare, amo costruire, realizzare, aggiustare. Non so se si possa definire arte ma nella maggior parte dei casi so dove mettere le mani! (NdR ride).
D.D.: Principalmente l’attività con altri gruppi o situazioni musicali.
E parlando, invece, di gusti musicali, di background individuale (in fatto di ascolti), vi va di confessare il vostro “podio” di preferenze personali?
P.M.: L’ascolto della musica per anni è stata un’attività che non prevedeva parallelismi, ovvero mettere il vinile sul piatto, posizionarsi al centro dei diffusori ed ascoltare l’opera per intero!!! All’età di 14-15-16 anni non avevo molti dischi e alcuni li ho ascoltati a ruota continua… tra questi, quelli a cui sono particolarmente legato, e che trovo ancora straordinari sono: “Seconds Out” dei Genesis, e ancora “A Trick of the Tail” e “Wind & Wuthering”, “Spectral mornings” di Hackett, “Uomo di pezza” de Le Orme, “The song remains the same” dei Led Zeppelin ma anche tanti altri gruppi… Dire Straits, Tear For Fears… veramente di tutto… troppa roba… non riuscirei a stabilire una classifica assoluta…
M.P.: Anche se da giovanissimo amavo l’hard rock (Deep Purple in primis) e i Beatles, da quando ho scoperto i gruppi Prog non sono più riuscito a trovare (a parte qualche eccezione) altri generi che mi emozionino seriamente. Nel mio podio personale ci sono sicuramente Genesis, Gentle Giant e Jethro Tull, poi via via tanti altri (Locanda delle Fate, PFM, Banco, Yes, ELP, Cervello, Balletto di Bronzo, Steven Wilson ecc…). Nel campo del rock citerei sicuramente gli Who, e i musical rock come JCS, Hair e, naturalmente, Tommy. Ho molto apprezzato anche alcune cose italiane degli anni ‘70, come ad esempio Battisti, i primi brani di Mia Martini, “Parsifal” dei Pooh.
P.P.: I miei gusti spaziano molto. Ascolto molti generi musicali tra cui anche il jazz e il pop. Per me i Beatles sono al primo posto, poi anche Pink Floyd, Bowie, Supertramp, Camel, Rush, Genesis, Rolling Stones, Yes, PFM, Peter Gabriel, Kate Bush, XTC, David Sylvian, Steven Wilson, U2, Simple Minds, Queen, Weather Report, Earth Wind & Fire, Francesco De Gregori, Garbo, Eugenio Finardi e la finisco qui perché mi servirebbero diverse pagine…
L.S.: Steven Wilson forever…
D.S.: BMS una fede… Area, Genesis, Focus, Jethro Tull, ELP, tantissimi del Prog Italiano: servirebbero pagine per elencarli. Poi, spaziando di generi, Deep Purple, Jimmy Cliff, Jimmy Smith, Chick Corea, Led Zeppelin, Pink Floyd, Finardi, Dalla, Allman Brothers, Bach, B.B. King.
Restando ancora un po’ con i fari puntati su di voi, c’è un libro, uno scrittore o un artista (in qualsiasi campo) che amate e di cui consigliereste di approfondirne la conoscenza a chi sta ora leggendo questa intervista?
P.M.: Negli ultimi anni ho fatto letture molto tematiche sia di carattere scientifico legati alla nutrizione, e parlo di Kevin Trudeau, Collin e Thomas Campbell, Christopher Brusset, e poi, per prepararmi all’arrivo di mia figlia, ho letto Jessica Joelle Alexander e Alessio Roberti. Ma per questo pubblico suggerirei un libro di Giovanni Rossi della Tsunami Edizioni, “Roger Waters: Oltre il Muro”… molto interessante ma che confesso non ho ancora terminato…
M.P.: Da anni mi sono avvicinato alla spiritualità (cosa ben diversa dalla religione, attenzione!) e ho letto centinaia di saggi sul tema. In questo momento sto leggendo un libro che trovo splendido e utile per la propria crescita personale: “No time for karma” di Paxton Robey.
P.P.: Ho conosciuto da poco l’attrice/sceneggiatrice britannica Phoebe Waller Bridge, ovvero la creatrice di “Fleabag”. Sta riscuotendo grandi consensi anche negli USA e non l’avrei mai detto considerando il suo stile che valuto geniale e molto “british”. Per quanto riguarda la musica consiglio di approfondire la conoscenza di Alice Pelle, anche se purtroppo, in streaming, si trova solo un album.
L.S.: Le mie letture sono state, e sono ancora, molto simili a quelle di Marco. Devo riconoscere che in un momento particolare della mia vita, in cui cercavo risposte non scontate, i consigli di Marco mi hanno davvero aperto gli occhi. Qualsiasi lettura che possa avvicinare l’uomo al suo spirito e alla sua essenza va bene.
D.S.: Non mi sento di consigliare nessuno in particolare ma mi sento di consigliare i lettori di questa intervista ad approfondire la propria personale curiosità, la propria passione verso qualsiasi persona, oggetto, mestiere, attività ecc., e a loro volta di trasmetterla… Solo così, per me, riusciremo nuovamente a far rifiorire la vera bellezza del mondo che ci circonda. In fin dei conti non abbiamo sempre detto che la miglior pubblicità è il passaparola? (NdR Daniele fa l’occhiolino).
D.D.: A me piacciono molto i Khruangbin, un trio texano che già da qualche anno ha riscosso molto successo in diverse parti del mondo, ma che in Italia si conoscono ancora poco.
Tornando al giorno d’oggi, personalmente e artisticamente, come avete affrontato e reagito al “periodo buio” della pandemia che abbiamo vissuto recentemente (e che, in parte, stiamo ancora vivendo)? Pensate che l’arte e la musica, in Italia e a livello globale, siano state solo “ferite di striscio” o hanno subito un “colpo mortale”?
P.M.: Colpo mortale no, per quanto è stato strano vedere il Festival di Sanremo del 2021 con il pubblico fatto da sagome di cartone… No, scherzo!!! Certamente c’è stato un forte impatto che ha fortemente condizionato tutto il mondo produttivo e, in particolare, quello dell’arte e della musica… ma comunque noi, come band, alla fine, ci siamo preoccupati molto poco, non tanto perché non ci fossero problemi, quanto perché ormai siamo temprati… abbiamo superato molte fasi critiche e siamo ancora qui!! Gli artisti, per definizione, vivono nell’incertezza, procedono secondo il proprio credo, secondo la propria motivazione, superando tanti ostacoli… La pandemia è uno di questi… uno dei tanti!
M.P.: È stato un periodo difficile e frustrante, personalmente ho cercato di sfruttarlo migliorando il mio bagaglio tecnico e la manualità sullo strumento, esercitandomi e suonando tutti i giorni. La musica, come tutti gli altri campi, ne ha sicuramente risentito molto, ma questo penso che ora stia creando una sorta di “contraccolpo”, per cui i musicisti e gli artisti sono molto motivati a ricominciare. Credo che nel prossimo futuro assisteremo ad un sensibile aumento sia di proposte nuove che di eventi, o almeno me lo auguro!
P.P.: Tutto questo periodo molto buio dovuto al Covid mi ha dato come la sensazione che le nostre vite fossero “in pausa”; sia dal punto vista personale che artistico. Sicuramente tutta l’arte ha subito un trauma importante ma secondo me non mortale. Ora che le cose si stanno riprendendo vedo spiragli interessanti…
L.S.: Io ho trovato rifugio nella composizione, ho cercato di lanciare nuove proposte alla band per non lasciare vuoti dovuti alla non frequentazione.
D.S.: L’arte e la personalità non si fermano mai per me… si modellano in base a ciò che accade! Non vedo perché debba essere diverso questa volta! Dobbiamo solo vedere che effetto avrà avuto questa modellazione nei prossimi anni.
D.D.: Secondo me gli artisti sono quelli che fanno arte stimolati dai fatti del mondo, a prescindere da quali essi siano. Magari inizieremo a vedere e sentire cose diverse da prima.
Prima di salutarci, c’è qualche aneddoto che vi va di condividere sui vostri anni di attività?
P.M.: Una sera, in un locale dove stavamo per salire sul palco, io misi un borsello nero sotto il mio sgabello, ben nascosto, convinto che fosse il mio (era identico) tipico borsello con bretella dove ci si mette di tutto: portafogli, smartphone, chiavi di casa, della macchina e altro… Poco dopo Marco Palma chiese in giro se qualcuno lo avesse visto… inizialmente con fare mediamente agitato ma poi sempre più agitato… Alla fine era agitatissimo, convinto che lo avessero rubato… oltre al fatto che doveva settare gli strumenti e a breve avremmo iniziato a suonare… Aveva guardato ovunque! Io, a mia volta, non feci caso più di tanto, in quanto anche io ero impegnato per i miei aspetti tecnici, quando… ebbi l’illuminazione, ricordando che il mio borsello era in una sacca a parte, per cui quello sotto il mio sgabello non poteva essere il mio… non vi racconto la reazione di Marco…
P.P.: Un aneddoto divertente. Ai concerti sono io quello che presenta i musicisti sul palco e, in diverse occasioni, mi sono scordato di presentare Marco Palma, ma giuro che non lo facevo a posta! Al Trasimeno ho cercato di interrompere questa consuetudine!
M.P.: Ogni volta che Paolo P. fa la presentazione del gruppo sul palco mi chiedo: stavolta si ricorderà di me? (NdR ride).
L.S.: È vero, Perilli si dimentica dei chitarristi!
D.S.: Io sono circa venti anni che provo a diventare un Capomastro, ma niente, sono ancora un semplice Operaio della Musica. Altro che Covid, qui ce serve un miracolo!
D.D.: Io sono circa dieci anni che provo a farmi mettere il microfono vicino alla batteria per cantare, ma nessuno mi permette di farlo perché sono stonato…
E per chiudere: c’è qualche novità sul prossimo futuro dei Laviàntica che vi è possibile anticipare?
P.M.: Sicuramente! Ci sono diversi brani in cantiere, alcuni da molto tempo… magari accantonati temporaneamente! Ora stiamo facendo un po’ di ordine per mettere in piedi un album ma c’è molto da fare ancora. La buona notizia è che ognuno dei compositori originali ha delle proposte, alcune ad un buon livello di lavorazione, quindi il materiale non manca… La macchina Laviàntica è in movimento…
M.P.: Ha spiegato Paolo qui sopra.
P.P.: In cantiere abbiamo un nuovo disco. Non sappiamo ancora se sarà un concept album come “The Experience” ma sappiamo già da ora che sarà diverso, forse più eterogeneo. Parliamo da diversi mesi di fare un disco live in un posto speciale senza pubblico, o solo con qualche invitato. L’idea prevederebbe anche le riprese video. Magari la prossima estate!
L.S.: Posso dire che ci stiamo lavorando…
D.S.: Damiano ancora non lo sa ma alle prossime prove in studio avrà un microfono tutto suo per cantare anche se stonato… perché a noi piace così com’è!
Grazie mille ragazzi!
P.M.: Un ringraziamento a te che con questa intervista ci hai dato modo di analizzare così dettagliatamente il percorso dei Laviàntica e quello individuale!!!
M.P.: È stato un piacere!
P.P.: Grazie a te per questa intervista estremamente analitica!
L.S.: Grazie Donato!
D.S.: Grazie a te! Scusa, ma il compito di Giullare tocca sempre a me. Potrò mai fare carriera così?
D.D.: Grazie a te!
(Aprile, 2022 – Intervista tratta dal volume “Dialoghi Prog – Volume 3. Il Rock Progressivo Italiano del nuovo millennio raccontato dai protagonisti“)
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